La Manovra 2026 mette per iscritto, nel capitolo agricoltura, un pezzo di lessico che finora era rimasto fuori dai testi contabili: “cage-free”, allevamento senza gabbie. La misura nasce in Commissione Bilancio al Senato e si traduce in un fondo dedicato alla conversione: 500mila euro per il 2026 e 1 milione per il 2027.
L’intervento non cambia regole, non fissa scadenze, non delimita specie o filiere. Sposta però il tema in un’area dove finora era entrato solo per via indiretta: quella dei costi di adeguamento e della politica industriale delle filiere. L’orizzonte non è domestico. Nel lessico europeo, il phase-out delle gabbie è un impegno formalizzato dal 2021, ma da allora la partita si gioca tra atti approvati e rinvii sulla proposta legislativa.
Il fondo nella Manovra 2026
Nel testo della legge di bilancio, l’intervento è incardinato come articolo ad hoc: “Fondo per la conversione a metodi di allevamento cage-free, senza uso di gabbie”, iscritto nello stato di previsione del Ministero dell’Agricoltura. La dotazione è definita su due esercizi: 500mila euro nel 2026 e 1 milione nel 2027. Il dossier del Senato ricostruisce anche la genesi: articolo introdotto nel corso dell’esame parlamentare in sede referente.
Il funzionamento operativo non è automatico. Il testo demanda l’attuazione a un decreto del Ministro dell’Agricoltura, di concerto con il Ministro della Salute, da adottare entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge, previa intesa in Conferenza Stato-Regioni. È in quel decreto che dovranno essere scritti criteri, modalità, beneficiari e spese ammissibili; senza quel passaggio, il fondo resta una posta contabile.
Sul piano giuridico, la misura resta nel campo degli incentivi: non introduce divieti, non modifica la normativa vigente sugli allevamenti, non stabilisce un calendario per l’uscita dalle gabbie. La stessa ricostruzione del Senato richiama il vincolo degli aiuti di Stato: le risorse costituiscono limite di spesa e l’attuazione deve rispettare le regole Ue sugli aiuti, con il riferimento al Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
Il cage-free passa da Bruxelles
La cornice europea è un passaggio obbligato per capire perché la parola “cage-free” sia entrata nella Manovra. Il tema si inserisce in una fase in cui la Commissione ha già avviato una revisione dell’impianto agricolo europeo, alleggerendo alcune delle regole verdi della PAC per rispondere alle tensioni nelle filiere. Il detonatore istituzionale è l’Iniziativa dei cittadini europei “End the Cage Age”: la Commissione la qualifica come una delle Ice che hanno raggiunto le soglie richieste e, nella comunicazione del 30 giugno 2021, riporta l’obiettivo dell’iniziativa e le specie coinvolte (galline ovaiole, conigli, pollastre, quaglie, anatre e oche; oltre a pratiche come gabbie/recinti individuali per vitelli e dispositivi per scrofe).
Nello stesso documento, la Commissione mette a verbale il percorso istituzionale: incontro con gli organizzatori, audizione pubblica al Parlamento europeo e dibattito in plenaria il 10 giugno 2021 con contestuale adozione di una risoluzione parlamentare. Quel voto è la sintesi ufficiale del Parlamento (procedura 2021/2633(RSP)) invita la Commissione a proporre una revisione della direttiva quadro (98/58/CE) mirata a eliminare progressivamente l’uso delle gabbie “possibilmente con l’obiettivo di un phase-out completo entro il 2027”, chiedendo un approccio specie per specie e un periodo transitorio adeguato.
Il punto che resta in sospeso è la proposta legislativa promessa. La comunicazione della Commissione del 2021 contiene una timeline e, nel dibattito pubblico successivo, l’impegno “entro fine 2023” è diventato la scadenza di riferimento; fonti che seguono l’iter Ue segnalano proprio quel termine come non rispettato e hanno portato la questione sul terreno del controllo amministrativo (anche attraverso iniziative presso l’Ombudsman europeo). La conseguenza pratica è una fase lunga di attesa regolatoria: il tema resta dentro la revisione complessiva del benessere animale, ma senza un testo di legge che chiuda la partita sulle gabbie.
La mappa dei Paesi
In Europa, il phase-out delle gabbie non è uniforme e riguarda soprattutto, finora, il comparto delle galline ovaiole. Alcuni Stati hanno introdotto divieti che vanno oltre il minimo Ue (che dal 2012 vieta le gabbie non arricchite, lasciando in uso le gabbie arricchite). La Commissione, nella pagina dedicata alle ovaiole, ricorda esplicitamente il divieto delle gabbie non arricchite dal 1° gennaio 2012 e l’attuale possibilità di sistemi con gabbie arricchite o alternativi.
Un caso documentato su fonte governativa è l’Austria: il ministero competente indica che la detenzione in gabbie arricchite è vietata dal 1° gennaio 2020. In Germania, la traiettoria è normativa e datata: il divieto totale dell’uso di gabbie per ovaiole entra in vigore dal 1° gennaio 2026, con eccezioni “hardship” fino al 1° gennaio 2029, come ricostruito anche in analisi specialistiche che citano la norma di riferimento.
C’è poi la Repubblica Ceca, che ha legiferato per vietare l’allevamento in gabbia delle ovaiole dal 2027: la data e l’approvazione della misura sono ricostruite da fonti civiche e media nazionali, oltre che da materiali presentati in contesti Ue. Questa geografia non si limita alle leggi: report e dossier utilizzati anche in ambito europeo segnalano come in alcuni Paesi le gabbie arricchite siano già bandite (Austria, Lussemburgo) e come altri abbiano adottato impegni o percorsi di uscita.
Per Francia e Spagna, il quadro è più stratificato e meno riducibile a un singolo divieto generalizzato sulle gabbie arricchite. Nel caso francese, oltre alle scelte della grande distribuzione e alle politiche di filiera, circola da anni l’orientamento a bloccare nuove installazioni in gabbia e a ridurre la quota di produzione da sistemi in gabbia, ma la solidità delle affermazioni dipende dalla fonte e dal perimetro considerato (norma nazionale, impegni di settore, vincoli commerciali). In Spagna, il peso degli adeguamenti legati alla direttiva Ue del 2012 ha avuto effetti misurabili sul settore uova e sulla consistenza del patrimonio avicolo negli anni immediatamente successivi, come ricostruito da analisi di mercato di settore.
Questo scenario spiega perché, in assenza di una norma Ue che uniformi tempi e obblighi, gli Stati si muovano con velocità diverse: divieti nazionali nel comparto uova in alcuni Paesi, transizioni più lente o affidate a dinamiche commerciali in altri, attesa della proposta europea per chi non vuole anticipare costi senza una cornice comune. Dentro questo perimetro, il fondo italiano della Manovra 2026 si colloca come strumento di accompagnamento finanziario definito, ma rimesso a un decreto per diventare operativo.
