Il Green Deal è un piano di competitività industriale per l’Europa. Il punto di Arvea Marieni

Arvea Marieni, partner e board member di Brainscapital, è una degli esperti di Europe Direct alla Rappresentanza permanente d’Italia a Bruxelles
6 mesi fa
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Arvea Marieni

Nei giorni scorsi, su Eurofocus abbiamo pubblicato un’intervista a Pieter Cleppe, direttore di BrusselsReport.eu, in cui criticava alcune politiche green dell’Unione, che sono alla base delle proteste di agricoltori e gruppi di industriali. Oggi abbiamo discusso con Arvea Marieni, partner e board member di Brainscapital, nonché una degli esperti di Europe Direct alla Rappresentanza permanente d’Italia a Bruxelles, del perché il Green Deal è invece un piano di competitività industriale.  

“Malgrado le criticità, alcuni risultati del Green Deal cominciano a vedersi. Le rinnovabili hanno coperto nel 2023 ben il 44% della domanda di elettricità nella Eu, mentre I fossili sono scesi del 19%, e per la prima volta restano sotto il 30% del fabbisogno. La maggiore penetrazione di rinnovabili ha portato alla caduta dei prezzi medi dell’elettricità. Un fatto che sta rafforzando la competitività industriale, e contribuisce alla ripresa di produzione e occupazione, particolarmente visibile nelle regioni dove la quota di rinnovabili e la spinta sugli investimenti in tecnologie verdi è più marcata”, esordisce Marieni, che dà un po’ di dati: “Durante i primi due mesi di quest’anno, nella maggior parte dei paesi europei i prezzi all’ingrosso sono diminuiti tra il 30% e il 70% rispetto allo stesso periodo del 2023, con medie mensili che oscillavano tra 40 e 70 euro/MWh. Il trend è strutturale e rende  evidente che investimenti e politiche coerenti per la transizione verde sono un volano alla crescita. Se gestita bene, la transizione si traduce in un vantaggio competitivo immediato per i paesi che accelerano”.

Il caso spagnolo e la decarbonizzazione dell’acciaio

Particolarmente significativo è il caso della penisola iberica, dove i prezzi sono rimasti costantemente ben al di sotto del resto d’Europa, anche durante il 2022, soprattutto grazie all’aumento della generazione da tecnologie rinnovabili.

“Se il prezzo medio di marzo in Spagna era già attorno ai 24 euro/MWh (86 in Italia nello stesso mese),  con un ulteriore balzo avanti, in aprile le rinnovabili hanno coperto il 68 percento del fabbisogno nazionale spagnolo, un valore record. Questo ha contribuito all’ulteriore diminuzione dei prezzi che sono scesi a 13 euro al MWh. Il crollo dei prezzi dell’energia elettrica sta rendendo la vita difficile ai reattori nucleari spagnoli, che producono a prezzi meno competitivi”.

Il punto di Marieni è che la transizione verde ha forti impatti anche sulle industrie tradizionalmente più difficili da decarbonizzare: “Basta pensare all’acciaio. Il gruppo indiano ArcelorMittal ha avviato la costruzione di un forno elettrico ad arco (EAF) per prodotti lunghi presso lo stabilimento spagnolo di Gijón sfruttando la capacità di produzione rinnovabile per alimentare gli impianti. Si tratta di un investimento di 213 milioni di euro, il primo grande progetto per l’elettrificazione realizzato nell’ambito del programma di decarbonizzazione dell’azienda in Europa. Questo investimento porterà a Gijón la più recente tecnologia per i forni elettrici ad arco e permetterà al gruppo di essere competitivo per rispondere alla crescente domanda di prodotti a basse emissioni per l’industria automobilistica, edile e delle infrastrutture ferroviarie”.

Le gare pubbliche e la situazione italiana

Gli impatti si vedono oltre il settore privato: “Negli appalti pubblici, tra i criteri per le gare si prevedono ormai requisiti climatici e ambientali. Lo stesso meccanismo é applicato anche alle frontiere della Ue, per proteggere l’industria europea dalla competizione di produttori meno puliti e dal dumping  ambientale, grazie alla recente entrata in vigore di un dazio sui prodotti importati, calcolato sul contenuto di carbonio dei prodotti, che vale anche per l’acciaio”.

Finora abbiamo parlato dei casi più virtuosi, come la Spagna che viene da 30 anni di forte spinta innovativa. Cosa succede nei paesi come l’Italia in cui gli investimenti nel settore non sono altrettanto importanti? “Da noi la transizione è più lenta, l’industria nazionale meno competitiva, e la produzione di acciaio è già in calo. Ma ci sono notevoli opportunità di sviluppo per aziende che hanno investito nelle tecnologie per la decarbonizzazione come Tenova e Danieli”.

Il Mare del Nord, la più grande centrale elettrica sostenibile d’Europa

La dinamica è simile anche in nord Europa. Le energie rinnovabili (68%) e il nucleare (32%) hanno coperto tutto il fabbisogno elettrico della Svezia. “Anche qui i prezzi sono stati tra i più basi d’Europa, contribuendo a contenere l’inflazione, e proteggendo il potere di acquisto dei cittadini”, commenta l’esperta. “Ma soprattutto, nel Baltico, nel Mare del Nord e davanti alle coste belghe stanno sorgendo isole artificiali per la produzione di elettricità rinnovabile offshore destinate a rivoluzionare il sistema energetico europeo. Quelle del Mare del Nord avranno una capacità iniziale di 4GW, una quantità di energia sufficiente ad alimentare circa settecentomila abitazioni, ma a regime arriveranno a 10GW. Un ruolo importante lo giocano le interconnessioni elettriche per permettere lo scambio cross-border. É di pochi giorni fa l’annuncio che Belgio, Irlanda e Regno Unito stanno intensificando la loro cooperazione per trasformare il Mare del Nord nella più grande centrale elettrica sostenibile d’Europa con il sostegno della Commissione”.

A fronte di questi investimenti, la domanda di gas in Europa potrebbe scendere molto più velocemente delle attese. Contribuiscono anche le importanti misure di efficienza energetica, per esempio negli edifici, che potranno anche abbattere significativamente la bolletta domestica dei cittadini.

“La diminuzione dei costi legati alle importazioni fossili e l’aumento dell’autonomia energetica, libera importanti risorse economiche per gli investimenti pubblici necessari alla transizione. Come era previsto nel pacchetto legislativo del Green deal, la transizione comporta dei costi inevitabili. Per questo le misure tecnologiche e industriali sono integrate da strumenti per mitigarne il costo sociale, come il Fondo Sociale per il Clima, o la possibilità di utilizzare i proventi delle tasse sul carbonio per sostenere il potere di acquisto delle famiglie”.

Mitigare gli impatti sociali ed evitare il protezionismo

Abitualmente il Green Deal è oggetto di critiche relative alla fattibilità dei target industriali e ambientali. Mancano invece valutazioni e proposte per migliorare l’attuazione delle misure sociali. “In parallelo, la stessa disattenzione riguarda l’attuazione della strategia di adattamento UE ai cambiamenti climatici del 2021, che avrebbe inevitabili effetti positivi per la resilienza e sicurezza nazionale, ma anche immediati per l’occupazione.  Questo punto vale anche per l’agricoltura, oggi al centro delle polemiche. Al di là degli  evidenti impatti del cambiamento climatico su un settore chiave per la sicurezza elimentare e l’economia Eu, anche qui i nostri produttori rischiano di rimanere spiazzati dalla rapida transizione del mercato in Cina”.

E Marieni commenta anche i nuovi dazi ai prodotti cinesi: “Un documento pubblicato ieri e attribuito a fonti di governo, mette in guardia Bruxelles dall’applicare queste restrizioni al commercio, che potrebbero portare a contromisure anche sui prodotti agricoli europei. La Ue esporta molto in Cina, soprattutto vino e prodotti caseari. Interessante notare che le tariffe evocate sono basate su parametri ambientali. ‘Nel corso degli anni le emissioni inquinanti dell’agricoltura nei Paesi UE sono rimaste invariate, e questo è legato ai sussidi’, recita il documento. Nel 2023-2027, ‘l’UE paga 194 miliardi di euro in sussidi agricoli agli stati membri’. ‘Studi hanno dimostrato che l’82% dei sussidi agricoli dell’UE è destinato alle industrie zootecniche ad alte emissioni.” Questi sussidi ‘rendono l’agricoltura un settore particolarmente impegnativo per l’Europa nell’affrontare i cambiamenti climatici’. Rischiamo che la spinta decisiva alla decarbonizzazione del nostro agrifood venga da dazi cinesi calcolati sugli impatti ambientali del settore”, conclude Marieni.

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