La 30esima edizione del vertice annuale delle Nazioni unite sul clima (Cop30) si terrà il prossimo novembre. Ma già in questi mesi si inizia a parlare di alcune criticità che ne minerebbero la credibilità. Prima fra tutte, l’assenza al tavolo dei negoziati di rappresentanti diplomatici degli Stati Uniti. Con l’eliminazione dell’Office of Global Change del Dipartimento di Stato americano (l’ufficio che rappresenterebbe gli Usa nei negoziati internazionali sul cambiamento climatico) si rischia avere uno dei più grandi inquinatori mondiale assente ai tavoli d Belem, in Brasile.
E se da un lato l’Unione europea può farsi spazio per guidare le politiche della transizione climatica del prossimo decennio, dall’altro c’è l’ombra del Dragone pronta a incombere sulle future scelte. Nel frattempo, l’Onu punta già il dito contro un problema logistico: a Belem mancano i posti letto per gli oltre 40 mila delegati previsti, mentre quelli disponibili raggiungono cifre come 600 euro a notte a persona.
Cop30 senza gli Stati Uniti?
Esperti dei negoziati sul clima, come Harjeet Singh, direttore della Satat Sampada Climate Foundation, hanno apertamente dichiarato, come riporta la Cnn, che gli Stati Uniti stanno “abbandonando le loro responsabilità nel mezzo di un’emergenza planetaria”. Sebbene il ruolo degli Usa nei negoziati climatici sia sempre stato segnato da contraddizioni, con una retorica ambiziosa affiancata dall’espansione dell’estrazione interna di combustibili fossili, la loro assenza crea un “vuoto pericoloso”.
Uno dei primi atti del presidente Donald Trump nel suo secondo mandato è stato proseguire l’impegno preso nel primo mandato: il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo di Parigi. L’Accordo è un trattato internazionale sul clima, adottato nel 2015, che mira a limitare il riscaldamento globale ben al di sotto di 2 gradi Celsius rispetto ai livelli preindustriali, puntando a 1.5 gradi e impegna i firmatari a ridurre le emissioni di gas serra e ad adattarsi agli effetti dei cambiamenti climatici.
I paesi ricchi, compresi quelli europei, potrebbero usarla come “licenza per fare marcia indietro“, ha affermato Chiara Martinelli, direttrice di Climate Action Network Europe, una coalizione di organizzazioni non-profit per il clima. “I paesi più poveri potrebbero perdere fiducia nel processo”, ha dichiarato alla Cnn.
La Cina: partner o nemico?
Se da una parte, il problema riguarda come impegnarsi nel prossimo decennio sulla salvaguardia del Pianeta, dall’altra parte c’è una questione che turba ancora di più i capi di governo di tutto il Mondo: chi deterrà il reale potere geopolitico al tavolo di Belem?
Il principale concorrente globale dell’America, la Cina, potrebbe posizionarsi come un partner globale più affidabile e stabile. Pechino, infatti, sta costruendo energia pulita a un ritmo vertiginoso, mentre gli Stati Uniti tagliano i loro settori e tornano ai combustibili fossili. Il ministero degli Affari Esteri cinese ha definito il cambiamento climatico una “sfida comune affrontata dall’umanità”, affermando che “nessun Paese può rimanerne fuori, e nessun Paese può esserne immune”.
L’ultimo vertice Bruxelles-Pechino si è chiuso con punti di incontro e punti di frizione in un panorama assolutamente teso, ma cooperativo. Uno dei punti che porterebbe il blocco dei 27 Paesi europei nella stessa direzione della Cina è proprio il clima.
Bruxelles, nelle scorse settimane, ha ribadito la sua determinazione a ridurre le proprie emissioni, dal 6% attuale al 4% entro il 2030 e ha incoraggiato Pechino a proporre un piano ambizioso per le proprie riduzioni di emissioni fino al 2035 e ad aumentare i propri contributi finanziari internazionali, commisurati alla sua dimensione e responsabilità globale.
Cop30, l’Onu e i problemi logistici
Oltre alle preoccupazioni sulla leadership climatica globale, la prossima Cop30 a Belém, Brasile, a novembre, sta affrontando urgenti sfide logistiche legate ai costi degli alloggi, che minacciano di escludere i Paesi più poveri e persino alcune nazioni più ricche dai negoziati cruciali. L’ufficio delle Nazioni Unite per il clima ha tenuto una riunione d’emergenza a causa dei timori che i prezzi alle stelle degli alloggi possano precludere la partecipazione, dato che Belém, una città di 1,3 milioni di abitanti, deve ospitare circa 45.000 persone.
I preventivi iniziali per gli hotel e i gestori immobiliari indicavano tariffe insostenibili di circa 651 euro. In risposta a queste crescenti preoccupazioni, il Brasile si è impegnato ad affrontare la situazione, assicurando che i Paesi più poveri avranno accesso a sistemazioni abbordabili e accettando di riferire in merito in una riunione successiva l’11 agosto. Tra le misure adottate, il governo brasiliano ha messo a disposizione due navi da crociera per offrire 6.000 posti letto aggiuntivi e ha aperto le prenotazioni per i Paesi in via di sviluppo con tariffe giornaliere fino a 200 euro. Tuttavia, questa cifra rimane superiore alla “diaria di sussistenza” di 140 euro che l’Onu offre ad alcune nazioni più povere per sostenere la loro partecipazione. Di conseguenza, paesi africani e funzionari di sei governi, inclusi alcuni dei più ricchi paesi europei, hanno espresso la volontà di non dover ridurre le proprie delegazioni a causa dei costi elevati, con alcuni che considerano persino l’eventualità di dimezzare la propria partecipazione o, in casi estremi, di non presentarsi affatto.