Un target meno ambizioso e il rinvio del piano definitivo a un secondo momento, con l’obiettivo di non arrivare a mani vuote la prossima settimana al vertice sul clima dei leader mondiali. Dietro la Dichiarazione di intenti sugli obiettivi climatici al 2035 proposta ieri dalla Danimarca, che detiene la presidenza di turno del Consiglio Ue, si nasconde la necessità di guadagnare tempo e di presentare almeno qualcosa in sede Onu, vista la praticamente certa impossibilità di arrivarci con il piano formale richiesto.
La realtà è che i Ventisette restano divisi su come raggiungere gli impegni assunti con l’Accordo di Parigi, con il rischio di fare un buco nell’acqua e di infliggere un duro colpo all’immagine di leader globale della transizione verde sui cui l’Unione ha molto puntato negli ultimi anni.
Ora la mancata presentazione di un piano formale con i propri obiettivi ridimensionerebbe fortemente tali ambizioni. Tanto più in un momento in cui il presidente Usa Donald Trump conduce una crociata contro le leggi ambientali e la Cina cerca di approfittare del vuoto lasciato dagli Stati Uniti per affermarsi come leader mondiale in materia di clima.
Le divisioni interne sull’obiettivo 2035
Domani, 18 settembre, i ministri dell’Ambiente dei 27 Stati membri si riuniranno per discutere degli obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni al 2035, i cosiddetti Contributi Nazionali Determinati (Ndc), previsti dall’Accordo di Parigi. È praticamente certo che il piano definitivo non passerà, anche perché è richiesta l’unanimità, perciò la Danimarca ha messo sul tavolo la proposta di una Dichiarazione di intenti, in pratica una semplice promessa. Il documento prevede un obiettivo temporaneo di riduzione delle emissioni compreso tra il 66,3% e il 72,5% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2035. In seguito, i Paesi dovranno concordare un target definitivo.
Si tratta di una mediazione, pensata per prendere tempo: l’obiettivo originario era una riduzione del 72,5%, derivato dalla soglia del -90% di emissioni al 2040 su cui l’Ue sta lavorando e che ha generato molti disaccordi, a partire dalla Francia. A cascata, ne sta facendo le spese anche il piano al 2035 da presentare all’Onu entro fine mese. Alcuni Paesi, come la Polonia, hanno chiesto di fissare l’intervallo 66,3-72,5% un obiettivo formale, ma la scelta di stabilire il limite minimo a 66,3%, se confermata, è percepibile come un ripiego rispetto alle ambizioni del blocco.
Oltre al 2035, resta aperta la questione del target al 2040. La presidenza danese aveva previsto di mettere ai voti la decisione già la scorsa settimana, ma il tema è stato rinviato a un dibattito tra i leader nazionali fissato per il 23 ottobre. Ovvero, soltanto poco più di due settimane prima della Cop 30 in Brasile, al via il 10 novembre: un margine davvero esiguo per un’intesa. Anche perché le posizioni restano distanti, tra chi si vuole assestare sul -66% e chi vuole spingere di più e collegare il traguardo del 2035 con quello del 2040 (che dovrà essere formalmente adottato come emendamento alla Legge europea sul clima) per rafforzare la credibilità del blocco.
Cosa sono i Contributi Nazionali Determinati
I ‘Contributi Nazionali Determinati (Nationally Determined Contributions, Ndc)’ sono gli impegni che ciascuna parte aderente all’Accordo di Parigi assume volontariamente per contribuire alla lotta ai cambiamenti climatici. In pratica si tratta di piani nazionali che descrivono gli obiettivi di mitigazione (riduzione delle emissioni di gas serra) e, spesso, anche di adattamento ai cambiamenti climatici. Ogni Paese stabilisce il proprio contributo in base alle proprie circostanze, capacità e priorità.
Gli Ndc non sono vincolanti legalmente e non esiste una pena internazionale se non si raggiungono i target. Tuttavia, i Paesi sono obbligati a presentarli, monitorare e riferire su quanto fatto. Inoltre devono essere aggiornati ogni 5 anni, con l’obiettivo che ogni aggiornamento rifletta una maggiore ambizione climatica rispetto al precedente.
L’obiettivo finale è contenere l’aumento della temperatura media globale sotto i 2° C rispetto ai livelli preindustriali, e proseguire gli sforzi per limitarlo a 1,5° C.
L’Unione Europea, in quanto organizzazione di integrazione economica regionale, partecipa ai negoziati e dunque deve presentare un Ndc colletivo. Per essere chiari, l’Ndc di un Paese membro è quello dell’Ue, che viene poi attuato a livello nazionale tramite i Piani nazionali integrati energia e clima (Pniec). Ma questo significa appunto che occorre trovare un accordo tra i Ventisette su un obiettivo climatico comune.
E qui torniamo al punto: questo accordo non c’è, e per non uscirne distrutti la Danimarca ha proposto la Dichiarazione di intenti di cui si discuterà domani. Se verrà approvata, verrà poi presentata la settimana prossima in occasione dell’Assemblea Generale Nazioni Unite che si apre il 23 settembre, durante la quale si farà il punto sulla situazione della lotta ai cambiamenti climatici e si parlerà degli Ndc.
Sempre meglio di niente, ma forse non basterà per salvare la faccia.