È passato un anno dalla pubblicazione del suo rapporto sulla competitività europea. E oggi, l’ex presidente della Banca centrale europea e del Consiglio italiano Mario Draghi ha rilanciato con forza il suo appello all’Unione, affiancato dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, in un incontro a Bruxelles.
Von der Leyen ha ringraziato Draghi, in italiano, per il suo “rigore, visione e servizio all’Europa”, ricordando come un anno fa fosse stato pubblicato il suo rapporto sulla competitività del Vecchio Continente: il rapporto doveva “fare davvero la differenza“, non essere solo un “articolo accademico”, ma una “tabella di marcia per l’azione”, chiedeva Draghi.
Oggi, a distanza di 12 mesi e un panorama geopolitico diverso, il peso delle sue parole assumono ancora più valore.
L’Europa tra lentezza e minaccia alla sovranità
Mario Draghi ha delineato un quadro preoccupante per l’Europa, affermando che “a un anno di distanza, l’Europa si trova quindi in una situazione più difficile“. Ha dichiarato che “il nostro modello di crescita sta svanendo. Le vulnerabilità stanno aumentando. E non c’è un percorso chiaro per finanziare gli investimenti di cui abbiamo bisogno”. Cruciale è il suo monito: “ci è stato ricordato, dolorosamente, che l’inazione minaccia non solo la nostra competitività ma la nostra stessa sovranità”.
L’ex premier ha criticato aspramente la lentezza dell’Europa, sostenendo che “troppo spesso, vengono trovate scuse per la nostra lentezza“. Ha definito tale inerzia come “compiacimento”, rifiutando l’idea che sia semplicemente “come è costruita l’Ue” o “rispetto per lo stato di diritto”, sottolineando che i “concorrenti negli Stati Uniti e in Cina sono molto meno vincolati”. Ha avvertito che “continuare come al solito significa rassegnarsi a restare indietro”.
Draghi ha accolto con favore la decisione di Ursula von der Leyen di porre la competitività al centro del suo secondo mandato, riconoscendo il suo programma come “ambizioso”. Tuttavia, ha evidenziato una “crescente frustrazione” tra “cittadini e aziende europee”, i quali, pur apprezzando la diagnosi e i piani d’azione della Commissione, sono “delusi dalla lentezza con cui si muove l’Ue” e vedono l’Unione “fallire nel tenere il passo con la velocità del cambiamento altrove”. Essi sono “pronti ad agire, ma temono che i governi non abbiano compreso la gravità del momento”.
Le dipendenze esterne e la necessità di diversificazione
Mario Draghi ha poi posto l’accento sulle “dipendenze” dell’Ue, che limitano la sua capacità di rispondere alle sfide globali, nonostante il suo “peso economico sia e rimanga considerevole”. Ha citato specificamente la “dipendenza dagli Stati Uniti per la difesa” come una delle ragioni per cui l’Europa ha dovuto “accettare un accordo commerciale in gran parte a condizioni americane”. Similmente, la “dipendenza dalle materie prime critiche cinesi ha limitato la nostra capacità di impedire alla sovraccapacità cinese di inondare l’Europa o di contrastare il suo sostegno alla Russia”.
Per quanto riguarda la diversificazione dei mercati, Draghi ha ammesso che “diversificare dal [mercato statunitense] è irrealistico nel breve termine”, dato che gli Stati Uniti “assorbono circa tre quarti del deficit delle partite correnti globali”. Tuttavia, ha indicato che accordi come quello con il Mercosur e i Paesi dell’America Latina “possono offrire sollievo agli esportatori”, e l’Europa ha già “iniziato a rispondere con misure” di diversificazione, come la chiusura dell’accordo Ue-Mercosur.
Fabbisogni finanziari e spazio fiscale scarso
L’ex presidente della Bce ha messo in luce le enormi esigenze finanziarie che attendono l’Europa. Ha rilevato che gli “impegni per la difesa presi dall’Ue nel corso dello scorso anno si aggiungono a fabbisogni di finanziamento già enormi”. La Banca Europea per gli Investimenti (Bei) stima ora requisiti di investimento annuali per il periodo 2025-31 a quasi 1.200 miliardi di euro, un aumento significativo rispetto agli 800 miliardi di un anno fa. La quota pubblica in questi investimenti è quasi raddoppiata, passando dal 24% al 43%, il che significa 510 miliardi di euro extra all’anno, dato che la difesa è “principalmente finanziata pubblicamente”.
Draghi ha inoltre avvertito che “lo spazio fiscale è scarso”: anche senza queste nuove spese per la difesa, il debito pubblico dell’Ue è “destinato ad aumentare di 10 punti percentuali nel prossimo decennio, raggiungendo il 93% del PIL”. Queste stime, ha sottolineato, si basano “su ipotesi di crescita più ottimistiche della realtà odierna”.
Debito comune
L’Ue deve cambiare passo in fretta, perché non c’è più “tempo”. E, per farlo, l’unica via praticabile è andare avanti tramite “cooperazioni rafforzate”, la procedura che permette a un minimo di nove Stati membri di instaurare un’integrazione avanzata o una cooperazione in un ambito specifico all’interno dell’Ue, quando è evidente che l’Unione nel suo insieme non è in grado di procedere. Questo percorso porterà naturalmente a valutare l’emissione di “debito comune” per perseguire “obiettivi comuni”, almeno per quegli Stati che decideranno di procedere in questo modo. In alcune aree, ha osservato Draghi, “l’Ue può fare di più con i poteri che già possiede. La regolamentazione è il campo in cui l’Unione può agire più rapidamente e in modo più deciso. L’Europa si è a lungo definita una potenza normativa: ora deve dimostrare di sapersi adattare a un panorama tecnologico in rapida evoluzione”.
E, ha aggiunto, “se riusciremo a concentrare i nostri sforzi in questo modo, il passo logico successivo sarà considerare debito comune per progetti comuni, a livello Ue o tra una coalizione di Stati membri, per amplificare i benefici del coordinamento”.
Un’emissione congiunta di obbligazioni, ha osservato, “non espanderebbe magicamente lo spazio di bilancio. Ma consentirebbe all’Europa di finanziare progetti più grandi in aree che aumentano la produttività: innovazione dirompente, tecnologie su scala, ricerca e sviluppo per la difesa o reti energetiche”, vale a dire “dove la spesa nazionale frammentata non può più bastare”.er Draghi, “aumentando la produzione più rapidamente dei costi di interesse, questi progetti ripristinerebbero gradualmente lo spazio di bilancio e renderebbero più facile finanziare esigenze di investimento più ampie”.
Il rapporto di un anno fa “stimava che anche un modesto aumento del 2% della produttività totale dei fattori in un decennio potrebbe ridurre di un terzo l’onere per le finanze pubbliche”.
E dunque, “se abbattiamo le barriere nel mercato unico e consentiamo alle imprese di crescere più rapidamente, accelereremo anche lo sviluppo dei mercati dei capitali europei. Questi possono aiutare a finanziare la quota privata delle esigenze di investimento. In sostanza, più spingiamo le riforme, e questo è un punto che ho sollevato a più riprese anche in passato , più il capitale privato interverrà. E meno denaro pubblico sarà necessario”, ha concluso.
“Servono project manager, non burocrati”
“Le risorse devono fluire verso centri di eccellenza. Devono concentrarsi su progetti ad alto rischio e alto rendimento, scelti attraverso un processo in stile Darpa. Devono essere rafforzati da forti legami tra industria e istituzioni accademiche per trasformare la ricerca in applicazioni reali. L’attuazione deve essere affidata a project manager esperti, non a burocrati. E l’Europa dovrebbe essere in grado di effettuare investimenti diretti in poche, grandi iniziative strategiche di deep tech”, ha aggiunto Draghi.
“Un vero ’28° regime’ deve diventare realtà, consentendo alle imprese innovative di operare, commerciare e raccogliere finanziamenti senza ostacoli in tutti i 27 Stati membri, proprio come avviene in altre grandi economie. Questo è particolarmente importante per dare ai giovani europei una possibilità nel loro continente: loro vogliono restare qui, non vogliono dover andare altrove per avere successo. La Commissione si sta muovendo in questa direzione. Ma con un sostegno incerto da parte degli Stati membri, il primo passo sarà probabilmente limitato a un’identità digitale per le imprese”, evidenzia l’ex Bce.
“Anche il finanziamento nelle fasi iniziali necessita di un sostegno più forte. Il Fondo Scaleup Europe può aiutare le startup a crescere se la sua dimensione sarà adeguata alle loro esigenze finanziarie. L’aumento previsto di Horizon Europe a 175 miliardi di euro è positivo. Ma per la ricerca dirompente, sarà insufficiente a meno che le risorse aggiuntive non vengano concentrate in programmi prioritari di dimensioni significative”, aggiunge Draghi.
Concludendo il suo intervento, Mario Draghi ha delineato il percorso che l’Europa deve intraprendere. Ha affermato che un percorso diverso “richiede nuova velocità, scala e intensità”. Questo implica la necessità di “agire insieme, non frammentando i nostri sforzi“. Significa anche “concentrare le risorse dove l’impatto è maggiore”, e, soprattutto, “ottenere risultati in mesi, non anni”. Il suo messaggio è un chiaro invito all’azione rapida e concertata per salvaguardare la competitività e la sovranità europea.