Afghanistan, il silenzio delle donne è legge. Borrell: “L’UE è sconvolta”

Josep Borrell: “Questa ultima decisione è un altro duro colpo che mina i diritti delle donne e delle ragazze afghane, cosa che non possiamo più tollerare"
4 mesi fa
4 minuti di lettura
Afghanistan, donne a Kabul (FACELLY/SIPA / ipa-agency.net / Fotogramma)
Afghanistan, donne a Kabul (FACELLY/SIPA / ipa-agency.net / Fotogramma)

L’Unione europea “è sconvolta dal decreto recentemente emanato dai Talebani”, la cosiddetta Legge sulla promozione della Virtù e la prevenzione del Vizio. A scriverlo in una nota è l’Alto commissario per le relazioni estere dell’UE, Josep Borrell.

Il decreto afghano conferma ed estende le severe restrizioni imposte dai Talebani alla vita delle donne, tra cui codici di abbigliamento, in particolare il coprirsi il corpo e il viso in pubblico. E ora aggiunge anche che le voci delle donne non debbano essere ascoltate in pubblico, il che di fatto le priva del loro diritto fondamentale alla libertà di espressione.

Il decreto dei Talebani

“Questa ultima decisione – ha scritto Josep Borrell – è un altro duro colpo che mina i diritti delle donne e delle ragazze afghane, cosa che non possiamo tollerare. Esortiamo i talebani a porre fine a questi abusi sistematici contro le donne e le ragazze afghane, che potrebbero equivalere a persecuzione di genere, che è un crimine contro l’umanità ai sensi dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale, di cui l’Afghanistan è uno Stato parte”.

Il decreto crea anche un ostacolo alle relazioni e al riconoscimento da parte della comunità internazionale, a cui i talebani aspirano pubblicamente. Tale possibile riconoscimento, come affermato nella valutazione indipendente delle Nazioni Unite, di cui la risoluzione 2721 (2023) del Consiglio di sicurezza ONU, richiederebbe ai talebani di rispettare pienamente sia i loro obblighi nei confronti dei cittadini dell’Afghanistan sia gli obblighi internazionali del Paese. Tuttavia, i Talebani promettono di moderare alcuni aspetti del loro regime, ottenendo anche recentemente la partecipazione alla terza conferenza sul Futuro dell’Afghanistan dell’ONU.

Il decreto, di fatto, estende il potere del cosiddetto Ministero per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio oltre un ruolo consultivo, poiché ora gli viene dato un chiaro mandato esecutivo. Questo, insieme alle restrizioni imposte, punibili ai sensi della legge talebana, viola gli obblighi legali e i trattati di cui l’Afghanistan è uno Stato parte, anche indebolendo il diritto del popolo a subire un giusto processo.

L’UE continua a sostenere le donne e le ragazze dell’Afghanistan e tutti coloro che in Afghanistan sono minacciati dai talebani”, si legge nella nota. Dall’agosto 2021 l’UE si è impegnata a erogare circa 1 miliardo di euro a sostegno della popolazione afghana per la drammatica crisi economica e alimentare.

Ma come si è arrivati fino a questo punto?

Crisi umanitaria in Afghanistan

L’Afghanistan è uno dei Paesi maggiormente segnati da decenni di conflitti e instabilità. Oggi vive una delle crisi umanitarie più gravi al mono. L’inizio di questa tragedia risale al 1979, quando l’invasione sovietica segnò l’inizio dell’ultimo conflitto della Guerra Fredda, durato fino al 1989. Nonostante il ritiro delle truppe sovietiche, l’Afghanistan non trovò pace. Al contrario, i conflitti interni riemersero, creando un vuoto di potere che favorì l’ascesa del movimento talebano.

I Talebani sono un movimento politico e militare islamista nato in Afghanistan nei primi anni ’90. La parola deriva dal termine pashtun “talib,” che significa “studente,” in particolare studente di teologia islamica. I più radicali si sono formati nel nord del Pakistan, nelle scuole religiose frequentate da rifugiati afghani durante l’invasione sovietica dell’Afghanistan.

Il movimento è nato ufficialmente nel 1994, nella provincia di Kandahar, sotto la guida del Mullah Mohammed Omar, un ex combattente mujaheddin. Il movimento si basava sulla promessa di riportare la sicurezza e di applicare una rigida interpretazione della legge islamica (sharia) in un Afghanistan devastato dalla guerra civile e dall’anarchia.

I ‘Talib’ instaurarono un regime fondamentalista e diedero ospitalità all’organizzazione terroristica al Qaeda e al suo capo, Osama Bin Laden. Il ripetuto rifiuto di consegnare quest’ultimo alle autorità internazionali determinò, nel 1999, le sanzioni da parte dell’ONU e, dopo l’attentato alle Torri gemelle di New York nel 2001, con conseguente intervento militare degli Stati Uniti, che rovesciarono il regime. Nel 2004, dopo tre anni di governo provvisorio, si sono svolte le prime elezioni democratiche della storia afghana, che hanno visto l’elezione di Hamid Karzai alla presidenza della Repubblica.

Ma è il 15 agosto 2021 che si è verificata la svolta. Dopo il ritiro delle truppe internazionali dall’Afghanistan, i Talebani riuscirono a riconquistare il controllo del paese, prendendo il potere a Kabul. Questo evento ha segnato l’inizio di una nuova fase della loro leadership, caratterizzata da un ritorno a molte delle restrizioni imposte durante il loro primo governo, soprattutto per quanto riguarda i diritti delle donne e delle minoranze.

Il (non) ruolo delle donne

In questo contesto così drammatico, le donne e le ragazze in Afghanistan sono tra i bersagli maggiormente colpiti. Dall’agosto 2021, con il ritorno dei Talebani, le restrizioni imposte alle donne sono diventate sempre più severe.

Alcune delle restrizioni principali alle donne includono:

Divieto di istruzione: le ragazze sono escluse dalle scuole secondarie e dalle università. Solo le scuole primarie rimangono aperte per loro, ma con un tasso di iscrizione in calo a causa di norme sociali restrittive e problemi di sicurezza.
Limitazioni alla mobilità: le donne non possono viaggiare per più di 77 chilometri senza essere accompagnate da un parente maschio. In molte aree, anche spostamenti più brevi richiedono la presenza di un “mahram” (accompagnatore maschio), e chi viaggia senza è soggetta a interrogatori e vessazioni.
Divieto di lavoro: le opportunità di lavoro per le donne sono fortemente limitate e generalmente confinate a lavori domestici o a settori come l’artigianato. Il lavoro femminile è sottoposto a strette restrizioni, e le donne che continuano a lavorare spesso lo fanno in condizioni precarie e non ufficiali.
Scomparsa dallo spazio pubblico e “silenzio” imposto: le donne sono progressivamente estromesse dalla partecipazione pubblica. Di recente, ulteriori “regole di modestia” impongono che le loro voci non siano udibili in pubblico, “vietando loro di cantare, leggere o recitare in pubblico, oltre a coprire il volto”.

Le famiglie guidate da donne affrontano tassi più elevati di insicurezza alimentare e lavoro minorile rispetto a quelle guidate da uomini. Le ragazze sono particolarmente vulnerabili: l’accesso all’istruzione è limitato da discriminazione, povertà e infrastrutture inadeguate, esponendole a un rischio maggiore di violenza e sfruttamento. Attualmente, quasi un nucleo familiare su tre formato da donne e ragazze dipende da strategie di sopravvivenza “di emergenza”.