La situazione in Siria, dove è il regime di Bashar al-Assad è caduto dopo oltre mezzo secolo, viene accolta con cauto ottimismo da Bruxelles e dai leader europei che parlano di “un’opportunità di libertà e pace” per il Paese. La presidente della Commissione condivide l’approccio ma ricorda che la situazione attuale “non è priva di rischi”.
“L’Europa è pronta a sostenere la salvaguardia dell’unità nazionale e la ricostruzione di uno Stato siriano che protegga tutte le minoranze”, scrive Ursula von der Leyen dopo l’insediamento della milizia islamista Hay’at Tahrir al-Sham (Hts). Le fanno eco il neo presidente del Consiglio europeo, António Costa: “L’Ue è pronta a collaborare con il popolo siriano per un futuro migliore” e l’ Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri Kaja Kallas che commenta: “La fine della dittatura di Assad è uno sviluppo positivo e atteso da tempo”.
La caduta del regime siriano, spiega ancora Kallas, indebolisce alcuni storici nemici dell’Ue perché “mostra anche la debolezza dei sostenitori di Assad, Russia e Iran”. Al contempo, Bruxelles sa che adesso si apre una fase molto incerta per la Siria sotto la guida di Hts. Per questo, in una nota, Kaja Kallas ha esortato “tutti gli attori a evitare ulteriori violenze, a garantire la protezione dei civili e a rispettare il diritto internazionale, compreso il diritto umanitario internazionale”.
The cruel Assad dictatorship has collapsed.
This historic change in the region offers opportunities but is not without risks.
Europe is ready to support safeguarding national unity and rebuilding a Syrian state that protects all minorities.
We are engaging with European and…
— Ursula von der Leyen (@vonderleyen) December 8, 2024
In queste ore, il governo del Paese è stato affidato a Mohammed al-Bashir, che da gennaio guida il gabinetto che amministra la regione di Idlib.
Alcuni Paesi Ue hanno già sospeso l’asilo
Dopo la caduta di Assad, cambia (e di molto) la situazione dei profughi siriani. I ribelli al potere hanno invitato i profughi a tornare nella “Siria libera” e, stando alle fonti locali, migliaia di siriani hanno iniziato a tornare in patria già da domenica scorsa.
Durante i tredici anni di atroce guerra civile sono state uccise almeno 300 mila persone e 100 mila sono scomparse. Metà della popolazione siriana, ovvero circa 12 milioni di persone, è stata sfollata dalle proprie case e circa 5,4 milioni hanno cercato rifugio all’estero. La maggior parte di loro è emigrata nei Paesi vicini, Turchia, Libano e Giordania, mentre, secondo le stime dell’Unhcr, i Paesi europei ospitano oltre un milione di richiedenti asilo siriani.
Il rischio è che adesso si prendano decisioni troppo affrettate. Alcuni Paesi hanno già annunciato che sospenderanno le procedure per l’assegnazione di status di rifugiato ai siriani, ritenendo che la Siria non sarà più un Paese pericoloso per i civili, anche se dissidenti. Italia, Grecia, Germania, Austria, Regno Unito, Svezia, Danimarca e Norvegia hanno sospeso le procedure, e la lista è in costante aggiornamento.
Il monito dell’Ue: “Tempi non ancora maturi”
L’Unione europea, invece, si mostra più cauta dei Paesi membri. “Spetterà a ogni individuo e a ogni famiglia decidere cosa desidera fare, tuttavia, per il momento, sosteniamo, in linea con l’Unhcr, che non ci sono le condizioni per rimpatri sicuri, volontari e dignitosi in Siria”, ha dichiarato il portavoce del Servizio Ue per l’Azione esterna, Anouar El Anouni. “I rifugiati siriani – ha aggiunto – sognano da dieci anni di poter tornare nel loro Paese e ci sono elementi che fanno ben sperare ma al momento è prematuro valutare gli effetti sulla dimensione migratoria”.
Sulla stessa linea il portavoce della Commissione europea, Stefan de Keersmaecker che nel corso del briefing con la stampa ha invitato a prendere misure ponderate: “Non dimentichiamo che la situazione sta cambiando molto sul campo. È un dato di fatto. Quando si parla di rimpatri, ad esempio, dobbiamo tenere presente che un obbligo molto importante è che le richieste di asilo vengano valutate su base individuale. Tuttavia, gli Stati membri hanno il diritto di rinviare l’esame delle domande in caso di cambiamenti nel Paese di origine. Chi non ha diritto alla protezione – ha precisato de Keersmaecker – può quindi ricevere una decisione di rimpatrio”. Il portavoce ha specificato che i rimpatri devono essere “sicuri e dignitosi”, tenendo conto delle “condizioni stabilite dall’Unhcr”.
Insomma, allo stato attuale ci sono davvero poche certezze. Una di queste è che le ostilità hanno generato grandi rischi per le Ong che operano in Siria (l’Unhc ha ridotto il suo staff nel Paese) e lo sfollamento di oltre 370mila persone.
Le mosse precedenti
La caduta del regime di Assad interviene sulle decisioni di Bruxelles, che già negli scorsi mesi stava lavorando a una revisione della Strategia Ue sulla Siria, con l’obiettivo di creare le condizioni per il “rimpatrio sicuro, volontario e dignitoso” dei rifugiati siriani. Il parziale cambio di rotta si era reso necessario di fronte all’escalation tra Israele ed Hezbollah in Libano e alle potenziali ricadute sulla gestione dei profughi siriani nel sud del Paese. Approfittando della situazione che si è creata, le autorità libanesi stanno facilitando l’esodo in massa dei migranti siriani dai campi che nel Paese sono considerati un peso insostenibile per l’economia del Libano.
Il Paese con più rifugiati siriani è la Turchia che ne ospita circa 3 milioni. Altri 770mila sono in Libano, 620mila in Giordania, 300mila in Iraq e 150mila in Egitto. In Ue, il Paese che ospita più rifugiati siriani è la Germania, dove attualmente vivono circa un milione di siriani. Questi numeri sono destinati a diminuire, anche se i tempi potrebbero non essere ancora maturi.
I rischi per i migranti
Il monito di Bruxelles, che invita a soprassedere per valutare la reale situazione del Paese, parte da lontano. In passato, infatti, la milizia Hts è stata affiliata ad al-Qaeda, da cui ha preso le distanze nel 2016. Attualmente Hay’at Tahrir al-Sham è la fazione ribelle più potente in Siria e già prima di rovesciare il regime di Assad controllava un vasto territorio nella provincia di Idlib, al confine con la Turchia.
Il nuovo governo guidato da al-Bashir promette di mettere fine alle violenze e alla ingiustizie, ma in questi anni sono state denunciate gravi violazioni di diritti umani nei territori da loro amministrati.
In un comunicato pubblicato domenica 8 dicembre, l’Ong Human Rights Watch ha ricordato a tutti che “anche i gruppi armati non statali che operano in Siria, tra cui Hay’at Tahrir al Sham e le fazioni dell’Esercito nazionale siriano che hanno lanciato l’offensiva del 27 novembre, sono responsabili di violazioni dei diritti umani e crimini di guerra”.
Solo la Francia, tra i Paesi europei, ha appoggiato direttamente la linea di Bruxelles sulla gestione di migranti siriani. Parlando su France Info, il ministro degli Esteri francese, Jean-Noel Barrot ha assicurato che il sostegno della Paese alla transizione politica in Siria “dipenderà dal rispetto dei diritti delle donne, delle minoranze e del diritto internazionale”.
La reazione dell’America
Quanto sta accadendo in Siria denota anche il nuovo corso degli alleati americani, con una profonda spaccatura tra Democratici e Repubblicani. Negli Usa, Hts, prima noto con il nome di Fronte al-Nusra, è considerato un’organizzazione terroristica. La gestione di questa situazione può essere l’ultima grande sfida per il presidente uscente Joe Biden che ha avvertito il nuovo governo siriano: “Gli Usa non permetteranno all’Isis di ristabilire le proprie capacità in Siria”.
Di tutt’altro avviso, il prossimo presidente Donald Trump, che si insedierà a gennaio: “Gli Stati Uniti non dovrebbero avere nulla a che fare con questo. Questa non è la nostra guerra, lasciate che si svolga”, ha dichiarato su X il presidente americano in pectore.