Borrell contro Israele dopo l’attacco alla struttura idrica: “È un crimine di guerra”

Il capo della diplomazia Ue ammonisce Tel Aviv e ribadisce l’allerta per le vittime e le epidemie tra la popolazione palestinese
1 mese fa
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Josep Borrell discorso
L’Alto rappresentate Ue per gli Affari Esteri Josep Borrell

L’uccisione del leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, da parte di Israele e i successivi colloqui con Teheran da parte di Usa e Russia, ma non dell’Unione europea, hanno rivelato in maniera definitiva la scarsa rilevanza dell’Ue in politica estera. Una questione a lungo dibattuta, soprattutto dopo l’aggressione di Vladimir Putin all’Ucraina, ma che ancora non trova soluzione.

Allo stato attuale, il ruolo dell’Unione è quello di redarguire i Paesi che non rispettano i diritti civili e le dichiarazioni internazionali di guerra come ha fatto l’Alto rappresentate Ue per gli Affari Esteri pochi giorni fa, rivolgendosi a Tel Aviv.

L’allarme di Borrell sui crimini di guerra a Rafah

L’esercito israeliano, lo scorso 27 luglio, avrebbe deliberatamente colpito e distrutto una struttura chiave per la produzione e la distribuzione di acqua a Rafah, nel sud dell’enclave palestinese. L’impianto era del tutto irrilevante sotto il profilo militare e comprendeva un serbatoio di miscelazione
e distribuzione di 3 mila metri cubi e tre stazioni di pompaggio dell’acqua.

Agli appelli internazionali per fare chiarezza sulla vicenda si è unita anche l’Unione europea, che si è detta “gravemente preoccupata per la continua distruzione di infrastrutture civili fondamentali” da parte di Israele.

L’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, ha fatto uno passo in più e in una nota ha scritto che “prendere di mira infrastrutture critiche costituisce un crimine di guerra” e che “le violazioni del diritto umanitario internazionale devono essere indagate in modo approfondito e indipendente e le responsabilità devono essere garantite”.

Mentre lo sguardo del mondo si è spostato sulla possibile reazione dell’Iran all’uccisione di Haniyeh e alla possibile ‘guerra totale’, il capo della diplomazia europea rimane vigile sulla catastrofe umanitaria di Gaza, che continua a mietere vittime dirette e indirette.

La posizione di Israele

Il ramo dell’esercito israeliano che gestisce le attività umanitarie ha dichiarato a Reuters di aver coordinato le riparazioni delle tubature dell’acqua con organizzazioni internazionali e che “decine” di interventi sono stati completati nell’ultimo mese, incluso uno nella parte settentrionale della Striscia di Gaza. Sono in corso anche altri lavori, tra cui le riparazioni elettriche presso un impianto di dissalazione e la costruzione di nuove linee idriche.

Quanti morti a Gaza, l’allarme di The Lancet

Secondo i numeri ufficiali, dal 7 ottobre ad oggi, nella Striscia di Gaza sono morti circa 40 mila palestinesi, ma il numero delle vittime palestinesi potrebbe essere molto più alto. The Lancet ha “conservativamente” stimato il numero di morti a Gaza in 186.000 persone o più. La ragione dell’enorme gap tra i numeri ufficiali e queste stime, si ritrova nel titolo stesso del rapporto: “Contare i morti a Gaza è difficile ma essenziale”. Lo stesso Ministero della Sanità palestinese ha sottolineato le difficoltà nel raccogliere dati a causa della devastazione della regione.

Il Ministero ha comunicato separatamente il numero totale delle vittime e quello delle vittime identificate, specificando che circa il 30% delle persone uccise non può essere identificato. I raid aerei israeliani non sono stati inclusi nelle statistiche ufficiali del ministero, poiché hanno reso impossibile identificare alcune delle vittime. Nel comunicato si fa riferimento anche al fatto che il 35% degli edifici di Gaza è stato distrutto, e che oltre 10.000 corpi potrebbero ancora trovarsi sotto le macerie.

L’articolo suggerisce che il numero totale delle vittime potrebbe superare le 186.000. Con una popolazione di Gaza nel 2022 pari a 2.375.259, tale cifra rappresenterebbe il 7,9% della popolazione totale.

Secondo una valutazione effettuata a febbraio, se gli attacchi continueranno con la stessa intensità, il bilancio delle vittime potrebbe raggiungere 58.260 vittime entro oggi, 6 agosto, e 85.750 se si considerano anche le malattie epidemiche e l’aumento dei contagi.

Ci sono, poi, oltre 90 mila feriti, e un milione di persone che da mesi subiscono sfollamenti forzati e vivono in condizioni terribili.

Quante vittime tra i miliziani di Hamas

Non tutte le vittime erano civili. Stando a quanto riferito dalla forze armate israeliane, circa 14.000 combattenti di Hamas sono stati uccisi o arrestati dall’inizio delle operazioni militari nella Striscia di Gaza, il 7 ottobre scorso, in risposta all’attacco di Hamas in Israele. In un comunicato diffuso sul web, le Idf affermano di aver “eliminato” comandanti di alto livello di Hamas e colpito migliaia di obiettivi nella Striscia di Gaza.

Giova ricordare che il territorio dal 2007 è caduto nelle mani di Hamas, organizzazione non particolarmente attenta alla sicurezza dei civili: i miliziani del movimento si nascondono in villaggi, ospedali, scuole e tunnel scavati sotto le infrastrutture civili nel tentativo di rendere più difficili e controversi gli attacchi dell’Idf.

Circa due mesi fa, il Pentagono si è detto fortemente scettico sulla possibilità di eliminare tutti i combattenti di Hamas, soprattutto a causa dei metodi utilizzati dall’organizzazione terroristica, ribadendo che (a fine maggio) il 65% dei tunnel usati dalle milizie era ancora intatto. 

Le malattie a Gaza: l’epatite

I morti sotto le bombe e i raid sono una parte della strage, come evidenzia anche Josep Borrell. L’Alto Rappresentante per la politca estera Ue ha ricordato che la popolazione di Gaza “continua ad essere soggetta alla fame e a ripetuti spostamenti in campi di tende sovraffollati per il decimo mese consecutivo, senza una fine in vista e senza un posto dove andare”.
A nome dei Ventisette, Borrell si è detto “profondamente preoccupato per il collasso dei sistemi igienico-sanitari, di gestione dei rifiuti solidi e della salute, che ha causato la diffusione di malattie, tra cui la poliomielite, le infezioni cutanee e respiratorie, in particolare tra i bambini”.

Da ottobre 2023, l’Agenzia dell’Onu per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi (Unrwa), ha registrato 40 mila casi di epatite A. Nello stesso arco di tempo, prima della guerra, i casi erano 85. L’infezione, che si contrae generalmente mangiando o bevendo cibi o acqua contaminati da feci infette, continua a imperversare, con quasi mille nuovi casi di sindrome itterica acuta segnalati ogni settimana nei centri sanitari e nei rifugi dell’Unrwa.

Anche il Commissario generale dell’Agenzia Onu, Philippe Lazzarini ha fatto luce sulla diffusione di questa epidemia parlando di “Un aumento spaventoso”, dei contagi in un post su X.

Il rischio di un’epidemia di poliomielite

All’orizzonte c’è uno scenario persino peggiore: quello di un’epidemia di poliomielite, che si tradurrebbe in una condanna duratura per la indifesa popolazione palestinese.

In alcune zone della Striscia l’emergenza idrica è scoppiata già a fine ottobre, e quella poca acqua che c’è è sempre più a rischio infezione. Nel bollettino giornaliero del 2 agosto sulla situazione umanitaria a Gaza, l’Ufficio di coordinamento per gli Affari umanitari dell’Onu (Ocha-Opt) ha avvertito della presenza di “alto rischio di ulteriore diffusione di malattie infettive a Gaza, a causa della cronica scarsità d’acqua e della totale incapacità di gestire i rifiuti e le acque reflue”.

Secondo la testimonianza del Cluster Salute dell’Oms, le condizioni di salute pubblica a Gaza “continuano a deteriorarsi, poiché i ricorrenti ordini di evacuazione e gli sfollamenti di massa hanno ulteriormente ridotto l’accesso della popolazione all’acqua potabile e alle strutture igienico-sanitarie”. Inoltre, “lo straripamento di acque reflue e fognature non trattate nelle strade e il crescente accumulo di rifiuti solidi continuano ad alimentare le malattie trasmesse dall’acqua”.

Nel corso di un briefing con la stampa a Ginevra, anche il portavoce dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Christian Lindmeier, ha confermato il rischio di un’epidemia di poliomielite. Lindmeier ha sottolineato che, sebbene siano in corso sforzi per l’acquisizione di vaccini, “non basta farli passare attraverso il confine”. Infatti, come accade da mesi con cibo e forniture mediche, i carichi di vaccini rischiano di restare fermi nei convogli, oltre il confine, alle porte di Rafah o in altri checkpoint all’interno.

Borrell chiede un accesso sicuro per gli aiuti umanitari

Per distribuire in maniera capillare ed efficace i vaccini e le derrate alimentari, serve un cessate il fuoco, diventato praticamente impossibile dopo l’omicidio del leader politico di Hamas. Ma, si è detto, l’Ue è quasi del tutto irrilevante sul conflitto in Medio Oriente, e Josep Borrell fa ciò che può e avanza la richiesta di “un cessate il fuoco immediato”, ribadendo “l’urgenza di un accesso pieno, rapido, sicuro e senza ostacoli agli aiuti umanitari nella misura necessaria per i palestinesi”.

Il capo della diplomazia Ue ha esortato “il governo israeliano a desistere da azioni che peggiorano le condizioni di vita della popolazione civile a Gaza e a rispettare i suoi obblighi di diritto internazionale”.

“Hamas ostacola gli aiuti umanitari”

Il rifornimento di aiuti umanitari, evidenzia Tel Aviv, è ostacolato dalla stessa Hamas. Il COGAT ha ricordato che l’organizzazione terroristica e altri militanti “sono noti per attaccare le infrastrutture civili e le rotte di aiuto umanitario, aumentando la complessità e il pericolo di fornire aiuti umanitari tanto necessari nella regione”.

COGAT è l’acronimo di Coordination of Government Activities in the Territories (Coordinamento delle Attività Governative nei Territori). È un’agenzia del governo israeliano che gestisce e coordina le attività civili e umanitarie nei territori palestinesi, come la Cisgiordania e la Striscia di Gaza. Il suo compito è anche quello di garantire la cooperazione tra le autorità israeliane e le organizzazioni internazionali, in particolare per quanto riguarda le questioni umanitarie e infrastrutturali.