Dazi Usa-Ue: la nota di Bruxelles ha tre differenze cruciali con Washington

Divergenza totale sulla digital tax, Commissione Ue: "Non cambieremo le nostre regole"
2 giorni fa
2 minuti di lettura
Donald Trump Ursula Von Der Leyen Afp
Donald Trump e Ursula von der Leyen (Afp)

Due giorni dopo la stretta di mano in Scozia tra Donald Trump e Ursula von der Leyen, la strada verso la pacificazione commerciale si rivela già piena di buche. Bruxelles ha pubblicato la sua versione ufficiale dell’accordo sui dazi raggiunto domenica, e il testo europeo racconta una storia diversa da quella della Casa Bianca rivelando tre crepe strutturali che minacciano l’intesa.

Accordo Usa-Ue, le tre discordanze nei testi ufficiali

La prima frattura riguarda semiconduttori e farmaci, settori strategici da entrambe le parti dell’Atlantico. Secondo la Casa Bianca, l’accordo prevede il tetto del 15% anche per chip e prodotti farmaceutici. Ma Bruxelles smentisce categoricamente: “Il limite massimo del 15% si applicherà anche a eventuali dazi futuri sui prodotti farmaceutici e sui semiconduttori […] Fino a quando gli Stati Uniti non decideranno se imporre dazi aggiuntivi su questi prodotti, essi rimarranno soggetti solo ai dazi Mfn statunitensi”.

In altre parole, la clausola del 15% si attiverà solo se gli Usa proveranno in futuro a varare dazi “ad hoc” su questi settori, ma nell’immediato non cambia nulla. L’aliquota rappresenta quindi un limite massimo garantito, non un rincaro. I prodotti farmaceutici europei restano soggetti al Mfn (“Most Favoured Nation”, cioè la tariffa più bassa applicata dagli Usa ai membri dell’Organizzazione mondiale del commercio), salvo nuove decisioni da Oltreoceano. Tra le righe si evince l’enorme potere contrattuale degli Usa, dal momento che il soggetto attivo della scelta sono solo gli States e manca qualsiasi riferimento a un dialogo con l’Ue.

La seconda crepa si apre sulla digital tax, cavallo di battaglia europeo contro i giganti tecnologici americani. Washington sostiene che l’Ue si sia impegnata a “non adottare né mantenere tariffe di utilizzo della rete”, ma nel testo europeo questo vincolo semplicemente non esiste. Il portavoce della Commissione per il Commercio, Olof Gill, è stato lapidario: “Non cambiamo le nostre regole e il nostro diritto di regolamentare autonomamente nello spazio digitale”. Una differenza che tocca miliardi di euro di potenziali entrate fiscali europee e rappresenta l’arma più potente a disposizione di Bruxelles nei dialoghi con Washington.

Il terzo punto di frizione riguarda acciaio e alluminio, dove le posizioni sono diametralmente opposte. L’Europa parla di “contingenti tariffari per le esportazioni dell’Ue a livelli storici, riducendo le attuali tariffe del 50%”, mentre gli americani sostengono che “le tariffe settoriali su acciaio, alluminio e rame rimarranno invariate“. Due visioni inconciliabili dello stesso accordo.

Cosa prevede davvero l’intesa (secondo l’Europa)

Al di là delle divergenze, il nucleo dell’accordo resta il tetto del 15% per la maggioranza delle esportazioni europee verso gli Stati Uniti, un compromesso che evita i dazi generalizzati del 30% minacciati da Trump. Per alcuni settori, come l’automotive, si tratta addirittura di un miglioramento: le aliquote sulle auto europee passeranno dal 27,5% al 15%.

L’Europa si è impegnata ad acquistare 750 miliardi di dollari di prodotti energetici americani in tre anni (250 miliardi l’anno), principalmente gas naturale liquefatto e combustibile nucleare. Una spinta per tagliare definitivamente i legami energetici con la Russia, trasformando una concessione commerciale in una mossa geopolitica, ma anche un rischio per la differenziazione delle fonti energetiche su cui l’Ue ha investito molto dalla pandemia in poi.

A tenere banco è anche una postilla riportata nella nota di Bruxelles: “L’accordo politico del 27 luglio 2025 non è giuridicamente vincolante. Oltre a intraprendere le azioni immediate impegnate, l’Ue e gli Usa negozieranno ulteriormente”. In sostanza, quello firmato in Scozia è più un memorandum d’intenti che un vero accordo commerciale.

Una tregua fragile?

Le discrepanze tra i due testi riflettono interessi nazionali che rimangono divergenti nonostante la patina diplomatica. L’Europa vuole proteggere la sua sovranità normativa e i settori strategici, mentre l’America punta ad attrarre investimenti e limitare l’autonomia fiscale europea.

Il risultato è un accordo che ciascuna parte interpreta secondo le proprie esigenze, creando le premesse per futuri scontri. Non a caso, l’intesa dovrà essere ulteriormente negoziata “in linea con le rispettive procedure interne”, nonostante i mesi di serrate trattative.

La “tregua di Turnberry” ha evitato l’escalation immediata, ma ha anche dimostrato quanto sia difficile ricucire un rapporto transatlantico lacerato da anni di guerre commerciali. Tra due settimane, quando i dazi del 15% entreranno in vigore, si vedrà se questo fragile equilibrio reggerà alla prova dei fatti.