Nato, l’Italia si schiera con Washington: Meloni e Trump vicini al tavolo del potere

La premier italiana si allinea al tycoon, mentre il Parlamento si spacca
10 ore fa
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Netherlands Nato Summit Defence Diplomacy Royals
(Afp)

La cena ufficiale organizzata dal re e dalla regina dei Paesi Bassi prima del vertice Nato all’Aja ha offerto una fotografia precisa dei nuovi equilibri politici in costruzione. Giorgia Meloni è stata collocata accanto a Donald Trump, in quello che è stato il tavolo più osservato dell’intero evento: oltre ai due leader, erano presenti anche il segretario generale della Nato Mark Rutte, il presidente turco Erdoğan e il ceco Pavel. Non solo simboli. La premier italiana e il presidente Usa hanno avuto un colloquio lungo e articolato, con al centro il Medio Oriente, l’Ucraina, e l’accordo sulla nuova soglia di spesa per la difesa che porta al 5% del Pil.

L’incontro arriva in un momento strategico per entrambi. Trump ha bisogno di mostrare risultati concreti in politica estera. L’aumento delle spese militari dei Paesi Nato era una sua richiesta di lungo corso, già avanzata nella precedente amministrazione. Ora, grazie anche al lavoro del nuovo segretario generale Mark Rutte, sta diventando realtà. A sottolinearlo, uno screenshot che Trump ha diffuso su Truth Social: un messaggio di ringraziamento ricevuto dallo stesso Rutte a bordo dell’Air Force One.

Meloni, dal canto suo, si è schierata apertamente a favore dell’accordo: nessuna riserva pubblica, pieno sostegno anche nella forma.

Difesa al 5% del Pil

I 32 Paesi dell’Alleanza Atlantica sono riuniti all’Aja per aumentare la spesa per la difesa e la sicurezza fino al 5% del prodotto interno lordo. Di questi, il 3,5% sarà destinato alla spesa militare in senso stretto, mentre l’1,5% potrà includere voci più ampie legate alla sicurezza nazionale. La soglia rappresenta un salto di scala rispetto agli impegni precedenti: si tratta del più importante aumento delle spese militari degli alleati Nato dal crollo del Muro di Berlino.

Per l’Italia, la nuova soglia ha implicazioni finanziarie e politiche. Il governo ha ottenuto alcune garanzie: l’incremento sarà distribuito in un arco temporale di dieci anni, senza obbligo di crescita costante annuale, e le modalità di contabilizzazione delle spese saranno più flessibili rispetto alle iniziali proposte statunitensi. Tuttavia, il principio è stato accettato e difeso apertamente da Giorgia Meloni. In Senato, prima della partenza per l’Aja, la premier ha dichiarato che si tratta di una richiesta “giusta” da parte degli Stati Uniti e di una necessità per la sicurezza europea, sottolineando che “gli scenari stanno cambiando”.

Anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha parlato di una “decisione inevitabile”, già richiesta dagli Usa da anni e ora giunta al suo punto di svolta. Il contesto politico, segnato dal conflitto in Ucraina e dalle tensioni con Iran e Cina, ha spinto la Nato a consolidare la propria capacità militare e di deterrenza. A livello nazionale, il governo italiano ha già avviato una ricognizione sulle capacità produttive dell’industria bellica, consapevole che parte dei nuovi fondi dovranno essere spesi in tecnologie e armamenti sviluppati in Italia e in Europa.

Fronte interno in tensione: le critiche da Pd e M5S

Le opposizioni contestano però la portata e il senso dell’accordo. Il Movimento 5 Stelle e il Partito Democratico accusano il governo di “spendere per la guerra” in un momento in cui aumentano le difficoltà economiche per famiglie e imprese. Ma il governo sembra deciso a proseguire. La maggioranza ha sostenuto compatta la posizione di Meloni, ma le opposizioni si sono attestate su posizioni critiche. Elly Schlein ha ricordato che la Costituzione italiana “ripudia la guerra” e ha chiesto che il governo concentri gli investimenti su sanità, scuola e lavoro. Giuseppe Conte ha scelto un approccio più diretto: da L’Aja, ha lanciato una campagna europea contro il riarmo, firmando un documento insieme a partiti di sinistra e movimenti progressisti di diversi Paesi.

“Se vuoi la pace, prepara la pace”, si legge nel testo diffuso da Conte e cofirmato da forze politiche di 11 Paesi. Un messaggio chiaramente opposto alla linea espressa da Meloni, che aveva usato in Aula la formula latina “Si vis pacem, para bellum” per giustificare l’aumento delle spese. Il confronto è quindi diventato anche ideologico, oltre che tecnico. Le critiche non riguardano solo le cifre, ma la strategia generale: secondo l’opposizione, rafforzare la Nato senza un piano parallelo per la sicurezza civile europea rischia di sbilanciare l’intera agenda dell’Ue.

Il governo, però, punta a mantenere il controllo politico del dossier, evitando fughe in avanti o alternative europee che rischierebbero di indebolire l’Alleanza Atlantica. Meloni ha ribadito che “non serve una difesa europea parallela alla Nato, ma serve una colonna europea dentro la Nato”. Il messaggio è rivolto anche a Bruxelles, dove si discute da tempo della creazione di una difesa comune europea. Roma, almeno per ora, non intende alimentare quel dibattito. Preferisce restare ancorata all’ombrello Nato, sotto guida statunitense.