L’Unione Europea si trova a un bivio storico. Di fronte a un panorama geopolitico sempre più instabile e all’imprevedibilità della politica estera statunitense sotto la presidenza di Donald Trump, Bruxelles mette sul tavolo una proposta che potrebbe rivoluzionare il futuro della sicurezza europea: l’acquisto collettivo di armi per conto degli Stati membri. Una mossa che, se attuata, segnerebbe un cambio di paradigma senza precedenti, ridisegnando le dinamiche di potere all’interno dell’Ue e riducendo la dipendenza dall’ombrello militare degli Stati Uniti.
Il Financial Times ha potuto leggere la bozza di “libro bianco” sulla Difesa che sta preparando il commissario europeo Andrius Kubilius, in cui si sottolinea che l’“approvvigionamento collaborativo” sembrerebbe la via più efficace per ricostruire la difesa del continente dopo decenni di investimenti ridotti. Un’idea che riecheggia l’approccio adottato per l’acquisto dei vaccini durante la pandemia da Covid-19, con Bruxelles che agì come centrale d’acquisto per garantire approvvigionamenti rapidi ed economicamente vantaggiosi. Ma questa volta l’oggetto della trattativa non è un farmaco, bensì missili, carri armati e sistemi di difesa avanzati.
Se da un lato la proposta risponde all’urgenza di colmare il gap militare dell’Ue in un mondo sempre più competitivo, dall’altro solleva interrogativi sulle implicazioni politiche ed economiche. Chi decide cosa comprare e in quali quantità? Quali saranno i criteri di scelta tra prodotti europei e fornitori esteri? E, soprattutto, fino a che punto gli Stati membri sono disposti a cedere parte della loro sovranità decisionale su un tema tanto delicato?
Un’Unione Europea più autonoma: la risposta a Trump
L’idea di un acquisto congiunto di armamenti non nasce nel vuoto. L’Unione Europea ha dovuto prendere atto che gli equilibri globali stanno cambiando rapidamente. Con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, Bruxelles ha visto confermati i timori che già serpeggiavano dal suo primo mandato: la volontà americana di ridurre il proprio coinvolgimento nella sicurezza europea.
Trump ha più volte minacciato di sospendere le garanzie di difesa offerte dalla Nato, in particolare verso quei paesi che, a suo dire, non contribuiscono finanziariamente in misura adeguata. La temporanea interruzione degli aiuti militari statunitensi all’Ucraina e il rinnovato dialogo con Mosca hanno ulteriormente allarmato i governi europei, spingendoli a cercare una risposta comune e autonoma.
Bruxelles si trova quindi davanti a un compito titanico: rafforzare le proprie capacità difensive senza poter contare sul tradizionale supporto americano. Il piano della Commissione mira a rendere più efficiente la spesa militare, eliminando la frammentazione attuale in cui ogni Stato membro acquista armamenti da fornitori diversi, spesso a costi più elevati e senza una reale integrazione tra le forze armate europee.
Il modello vaccini applicato alla difesa
Attualmente, la difesa è competenza esclusiva degli Stati membri. Ogni paese decide in autonomia quali armi acquistare, da chi e in che quantità, con una spiccata preferenza per i fornitori nazionali. Questo ha portato a un mercato frammentato, caratterizzato da una miriade di sistemi d’arma concorrenti, prezzi elevati e scarsa interoperabilità tra le forze armate europee.
Il modello statunitense, al contrario, è dominato da un numero ridotto di produttori con economie di scala che permettono di abbassare i costi e ottimizzare la produzione. L’Ue intende colmare questo gap attraverso l’acquisto collettivo, razionalizzando l’industria della difesa e garantendo alle proprie forze armate un equipaggiamento più omogeneo ed efficace.
Tuttavia, il piano incontra ostacoli politici e logistici significativi. Un nodo cruciale riguarda la scelta dei fornitori. La Commissione suggerisce di privilegiare le aziende europee nella produzione di armamenti, ma ammette che, qualora non esistano alternative valide, si potrà considerare l’acquisto da “paesi terzi affini”, purché venga mantenuto un pieno controllo europeo sulla tecnologia e sull’utilizzo delle armi. Questo potrebbe tradursi in un vantaggio per l’industria bellica europea, ma solleva anche il rischio di tensioni con partner strategici come gli Stati Uniti, che da tempo dominano il mercato della difesa in Europa.
Il nodo del debito comune
Uno dei punti più delicati della proposta riguarda il finanziamento del progetto. La Commissione ha ipotizzato un pacchetto di prestiti da 150 miliardi di euro per sostenere gli acquisti militari, accompagnato da una temporanea flessibilità nelle regole sul deficit per le spese di difesa. Tuttavia, la questione di un eventuale debito comune europeo per la sicurezza rimane controversa. Oltre agli aspetti finanziari, il progetto ha implicazioni economiche più ampie. Un mercato della difesa unificato potrebbe dare un forte impulso alle aziende europee del settore, creando posti di lavoro e aumentando la competitività dell’industria bellica continentale. Tuttavia, la transizione non sarebbe indolore: molte aziende nazionali potrebbero trovarsi in difficoltà di fronte a una concorrenza più accesa, con il rischio di una concentrazione del mercato a vantaggio di pochi grandi attori.
Se attuata, la proposta della Commissione segnerebbe un punto di svolta nella politica di difesa dell’Ue. L’acquisto collettivo di armi non solo rafforzerebbe l’autonomia strategica del continente, ma rappresenterebbe anche un passo verso una maggiore integrazione militare, un tema da sempre divisivo all’interno dell’Unione.
Molti Stati membri chiedono ormai apertamente investimenti comuni per la sicurezza, in particolare nel rafforzamento della difesa aerea e missilistica e nella protezione del confine orientale dell’Ue. La guerra in Ucraina ha dimostrato l’urgenza di una capacità difensiva più robusta e coordinata, e la proposta di Bruxelles si inserisce in questa necessità. Ma restano interrogativi cruciali: gli Stati membri saranno disposti a cedere parte della loro sovranità in materia di difesa? Riuscirà l’Ue a trovare un equilibrio tra autonomia strategica e cooperazione con gli alleati tradizionali?
Con l’avvicinarsi del Consiglio europeo del 20 e 21 marzo, dove la proposta sarà discussa ufficialmente, le risposte a queste domande diventeranno più chiare. Bruxelles sembra decisa a giocare una partita cruciale per il futuro della sicurezza europea. Ma il successo della strategia dipenderà dalla capacità degli Stati membri di superare le loro divisioni e di riconoscere che, in un mondo sempre più instabile, un’Europa militarmente più forte non è più un’opzione, ma una necessità.