“La guerra non deve arrivare da noi”: l’Italia rivede la strategia di difesa

Il ministro Crosetto avvia una ricognizione sulle minacce e alza il livello di allerta. Intanto, l’Italia conferma il 2% e guarda al 3,5% del Pil per la sicurezza
1 giorno fa
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Ministro Della Difesa Italiano Guido Crosetto
Il ministro della Difesa Italiano, Guido Crosetto (Ipa/Fotogramma)

“Sicuramente noi non andremo in guerra. Quello che dovremmo evitare è che la guerra arrivi da noi”.
Guido Crosetto non si muove sul piano della diplomazia prudente, ma su quello dell’urgenza operativa. Quella del ministro della Difesa non è una rassicurazione, ma una diagnosi. L’Italia, oggi, si trova costretta a pensare alla sicurezza in modo strutturale, come non faceva da decenni. Il rischio non è più remoto né teorico: è concreto e già in atto in diversi scenari globali. Le tensioni strategiche si estendono dalle trincee ucraine alla competizione tecnologica tra Stati Uniti e Cina, fino alle pressioni ibride su infrastrutture civili ed economiche.

In questo contesto, Roma ha cominciato a rivedere la propria postura difensiva. Il cambio di approccio è visibile: meno attenzione agli equilibri di breve periodo, più focus sull’adeguamento progressivo del sistema-Paese a un contesto internazionale in rapido deterioramento. Il riferimento del ministro alla necessità di “prevenire qualunque rischio per i nostri cittadini” riflette un’impostazione basata sulla deterrenza, sulla resilienza delle infrastrutture e su una ridefinizione delle priorità strategiche.

Dalla previsione alla pianificazione

L’ipotesi avanzata da Mark Rutte – attacco russo alla Nato entro cinque anni – è stata considerata dal governo italiano come credibile. Crosetto ha parlato di “cognizione di causa”. Questo giudizio ha avuto un effetto pratico: il Ministero della Difesa ha avviato una ricognizione aggiornata sullo stato delle minacce e sulla prontezza del sistema militare italiano. Il compito è stato affidato al Capo di Stato Maggiore della Difesa. Il documento sarà riservato e non verrà diffuso, ma illustrato direttamente ai leader politici di tutti i partiti, senza distinzione di appartenenza.

La scelta di non renderlo pubblico ma di condividerlo individualmente con i vertici delle forze politiche serve a costruire un quadro comune di consapevolezza. Crosetto ha chiarito che nessuno dovrà trovarsi, in caso di crisi, a poter dire “non lo sapevo”. L’operazione segna una discontinuità rispetto alla tradizionale gestione compartimentata dei dossier di sicurezza, spesso appannaggio dei soli tecnici o degli addetti ai lavori.

Parallelamente, il governo confermerà al prossimo vertice Nato dell’Aia il raggiungimento dell’obiettivo del 2% del Pil in spese per la difesa, fissato nel 2014 ma a lungo rimandato. Il passo successivo, condiviso anche in sede di esecutivo, è l’obiettivo del 3,5% entro il 2030 o, più probabilmente, il 2035. Il quadro di riferimento è quello tracciato dagli Stati Uniti, che chiedono agli alleati europei un maggiore contributo autonomo alla sicurezza collettiva.

Il problema resta la sostenibilità economica. All’interno della maggioranza, la Lega ha posto un limite chiaro: niente scostamenti di bilancio per finanziare la difesa. La clausola di salvaguardia prevista dal piano europeo ReArmEu non è stata ancora attivata dall’Italia, e al momento non ci sono decisioni definitive. Crosetto ha espresso riserve anche sulla sua durata: “Non bastano quattro o cinque anni, servirebbero almeno venti o trenta”, ha detto. Le spese militari, per loro natura, richiedono una pianificazione di lungo periodo, incompatibile con strumenti di emergenza a breve termine.

Il mare come frontiera esposta

“Il nostro maggior confinante è il mare” (8mila chilometri di coste, ndr). È una constatazione pratica che richiama un dato geografico noto ma spesso trascurato nella pianificazione strategica. L’Italia si affaccia su un’area – il Mediterraneo – che concentra interessi economici, rotte energetiche, infrastrutture digitali e flussi commerciali vitali. Per questo, nella visione della Difesa, la sicurezza marittima è diventata una priorità operativa.

Le cifre confermano la centralità di questo spazio. Quasi tutta la comunicazione digitale globale, comprese quelle civili, passa per cavi sottomarini. Gran parte dell’energia europea arriva attraverso condotti marittimi. L’82% del commercio internazionale viaggia via mare. Qualsiasi interruzione a queste linee – come dimostrano gli attacchi nel Mar Rosso – ha effetti immediati sull’economia. Anche un episodio localizzato può causare ritardi, aumenti di costi e interruzioni nella catena logistica.

In questo quadro, l’Italia dispone di una Marina con capacità operative riconosciute, frutto di decenni di lavoro e formazione. Secondo Crosetto, questo patrimonio va valorizzato e sostenuto. La proposta di una grande flotta europea, rilanciata dalla Commissione Europea, è letta dal governo italiano come un’opportunità per rafforzare la cooperazione nel Mediterraneo e migliorare l’efficienza complessiva delle forze navali europee.

Non si tratta solo di dotarsi di più navi, ma di costruire un sistema coordinato, capace di proteggere le rotte marittime e le infrastrutture sommerse. È una sfida che riguarda anche la tecnologia, la logistica e la cyberdifesa. La protezione del mare, oggi, non si limita alla superficie: riguarda quello che passa sotto e quello che viaggia attraverso. La sicurezza marittima, quindi, non è una funzione accessoria, ma parte integrante della sicurezza economica e digitale del Paese.

La tecnologia come fattore di squilibrio

“Le guerre del futuro si combatteranno con intelligenza artificiale e sistemi robotici, ma in Ucraina si continua a combattere nelle trincee”. È il contrasto segnalato da Crosetto, che mette in luce una realtà complessa: la tecnologia sta cambiando la natura del conflitto, ma non cancella i suoi elementi più tradizionali. Questa doppia dimensione – avanzamento digitale e scontro convenzionale – richiede una preparazione su più livelli.

Una delle variabili decisive è il controllo delle materie prime strategiche. La transizione tecnologica ha bisogno di componenti che l’Europa non produce e che oggi sono in gran parte controllati dalla Cina. Le terre rare, i metalli critici, i materiali per microchip e batterie sono diventati oggetto di contesa geopolitica. È per questo che Crosetto cita l’interesse statunitense per la Groenlandia non come curiosità, ma come parte di una strategia per ridurre la dipendenza da fornitori non alleati.

L’Europa, in questa partita, parte da una posizione debole. Mancano risorse naturali, ma anche una politica industriale coesa e strumenti di deterrenza credibili. Non è solo una questione economica, ma anche di capacità di influenza. Russia e Cina, secondo Crosetto, stanno conducendo una campagna di comunicazione molto efficace in Africa, dove si sta costruendo un’opinione pubblica giovane e sempre più critica verso l’Occidente.

L’Italia osserva con preoccupazione questo fenomeno, che unisce disinformazione, strategie digitali e cooperazione economica alternativa. È un processo difficile da contrastare, ma che ha conseguenze dirette sulla stabilità di intere regioni. L’assenza di una risposta occidentale – politica, comunicativa, diplomatica – rischia di rafforzare questo orientamento anti-europeo. La sicurezza, quindi, si gioca anche fuori dai confini, in ambiti che non sono immediatamente militari ma che condizionano la capacità di costruire alleanze e mantenere equilibrio. In questo senso, la difesa non può limitarsi a proteggere il territorio: deve anche contribuire alla tenuta del sistema di relazioni internazionali su cui si fonda la sicurezza dell’Italia.

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