Mentre i venti di guerra soffiano sempre più forti nel Mondo, l’idea di ritrovarsi coinvolti in un conflitto diventa una possibilità da considerare. Anche in aree come l’Europa, che hanno goduto di un lungo periodo di pace ma dove si è tornato a parlare di scontri bellici in modo molto concreto. Tanto che il blocco europeo si accinge tra mille difficoltà a compiere un passo epocale, ovvero riamarsi massicciamente. Se scendere in campo non è più un’ipotesi remota, e in molte parti del pianeta non lo è mai stato, ci si potrebbe dunque chiedere se le persone siano disposte a combattere in prima persona per il proprio Paese, nel caso in cui ce ne fosse bisogno. Diciamo subito che c’è un posto dove il no è netto e forte: l’Italia.
Un sondaggio, condotto da Gallup International Association (Gia) una prima volta nel 2013 e ripetuto nel 2024 in 45 Stati in tutto il Mondo, ha chiesto a oltre 46mila persone se sarebbero disposte a impugnare le armi per difendere i confini nazionali, se necessario. Il 78% degli italiani intervistati ha risposto ‘no’, contro una media pari al 52%.
Media ovviamente frutto di differenze tra le varie aree geografiche del pianeta. Inoltre, va sottolineato che la domanda posta è generica, senza riferimenti particolari: “Se ci fosse una guerra che coinvolge il tuo Paese, saresti disponibile a combattere?”. Di fronte a uno scenario più specifico, le risposte potrebbero cambiare, perché sono molte le variabili che possono entrare in gioco.
Spaccatura Sud/Est del Mondo e Nord/Ovest
Globalmente, un adulto su due dichiara che combatterebbe per il proprio Paese se ci fosse una guerra, un terzo non lo farebbe e il 14% non sa rispondere. Ma c’è una chiara divisione tra il Sud/Est e il Nord/Ovest del Mondo: i cittadini di Ue (32%), Stati Uniti (41%) e Canada (34%) sono molto meno disposti a combattere in caso di guerra, mentre in Asia occidentale (77%), Medio Oriente (73%) e India (76%) sono molto più pronti.
A livello generale, i Paesi più propensi sono Armenia (96%), Arabia Saudita (94%), Azerbaijan (88%), Pakistan (86%) e Georgia (83%), mentre per quanto riguarda l’Europa troviamo Finlandia (74%), Ucraina (62%), Albania (60%), Grecia (54%) e Svezia (47%).
I meno ‘battaglieri’ a livello mondiale oltre al Bel Paese, sono Austria (62% di ‘No’), Germania (57%), Nigeria (54%) e Spagna (53%).
L’Europa appare se non divisa almeno sfumata: a Est ci sono le maggiori percentuali di chi combatterebbe (Finlandia, Moldova (55%), Romania [42%]), una tendenza spiegabile con la vicinanza con la Russia e dunque col vedere la possibilità di un conflitto come molto concreta. Andando verso Ovest, in effetti, le percentuali scendono.
Quanto agli Usa, la percentuale del ‘Sì’ è al 41% e quella del no al 34% (pre-Trump). In Russia invece combatterebbe il 32% (in calo rispetto al 59% di dieci anni fa) e non lo farebbe il 20%. C’è poi un rilevante 48% che ha risposto “Non lo so”. Ma, sottolinea l’istituto di ricerca, nel Paese slavo l’opposizione alla guerra è un crimine.
In Ucraina le persone sono più disposte a difendere personalmente il proprio Paese: il 62% (nessun cambiamento rispetto a dieci anni fa), ma il 33% afferma che non lo farebbe.

Le differenze con dieci anni fa
Il sondaggio Gallup era stato realizzato una prima volta nel 2013, e il confronto tra i due decenni mostra che ora meno persone sono disposte a combattere, forse proprio a causa dei diversi conflitti scoppiati negli ultimi anni. Ad esempio, nel 2014, anno dell’annessione della Crimea da parte della Russia, il 61% si era detto disposto a combattere e il 27% no.
Italia e guerra in Ucraina
L’Italia dunque emerge come Paese particolarmente ‘pacifista’, come sembra confermare una ricerca svolta da YouTrend per Sky TG24, effettuata a marzo, secondo cui l’Italia è spaccata tra chi è favorevole ad aumentare le spese militari (43%) e chi no (sempre il 43%). Quanto all’invio di truppe in Ucraina, il 38% non è favorevole in nessun caso, il 41% solo nel caso di missione di pace dell’Onu e il 10% nell’ambito della Nato.
In caso di conflitto, in Italia chi dovrebbe combattere?
Nel Bel Paese, il servizio militare obbligatorio non è stato abolito, ma solo sospeso, nel 2005. Questo significa che, in caso di guerra o grave crisi internazionale, la leva potrebbe essere riattivata tramite un decreto del presidente della Repubblica. In tal caso, sarebbero esentati alcuni corpi, come i Vigili del Fuoco, la Polizia Penitenziaria e la Polizia Locale.
Non solo: l’articolo 52 della Costituzione stabilisce che “la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino” e che “il servizio militare è obbligatorio nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge”. Pertanto, in caso di chiamata alle armi, rifiutarsi sarebbe un reato. Da notare che si parla di ‘difesa’: l’art 11 della nostra legge fondamentale infatti afferma chiaramente che “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli”.
Attualmente, i Comuni italiani continuano a formare le liste di leva, includendovi i cittadini maschi dai 17 ai 45 anni.
“La motivazione per combattere non dovrebbe essere ignorata”
Kancho Stoychev, presidente della Gia, ha commentato così i risultati del sondaggio Gallup: “Il vantaggio tecnologico è sempre fondamentale in una guerra, ma storicamente la motivazione per combattere non dovrebbe essere ignorata. Le élite in Occidente potrebbero essere inclini a risolvere i problemi combattendo o sostenendo una guerra, ma i cittadini occidentali sono due volte meno inclini a imbracciare le armi rispetto ai cittadini del resto del mondo. La narrativa del G-7 e dei Paesi dell’Ue secondo cui la guerra in Ucraina è anche la loro guerra sembra non avere alcuna correlazione con la volontà dei cittadini di questi Paesi di combattere”.