“Siamo in un’era di riarmo. E l’Europa è pronta ad aumentare massicciamente la sua spesa per la difesa”. Lo ha detto stamattina chiaro e tondo la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in un discorso in cui ha annunciato il piano ReArm Europe. Un piano in cinque punti per definire “come utilizzare tutte le leve finanziarie a nostra disposizione per aiutare gli Stati membri ad aumentare rapidamente e significativamente le spese per le capacità di difesa”.
La questione infatti “non è più se la sicurezza dell’Europa sia minacciata in modo molto reale. O se l’Europa debba assumersi una maggiore responsabilità per la propria sicurezza”, ha continuato la capa dell’esecutivo Ue. “La vera questione che abbiamo di fronte è se l’Europa sia pronta e in grado di agire con la stessa decisione, velocità e ambizione richieste dalla situazione“.
Un piano in cinque punti
ReArm Europe, ha sottolineato von der Leyen, potrebbe mobilitare circa 800 miliardi di euro. Ecco come.
• La prima parte del piano ReArm Europe è quella di liberare l’uso di finanziamenti pubblici nella difesa a livello nazionale. Per poter investire di più nella propria sicurezza, gli Stati membri devono avere uno spazio fiscale, perciò la Commissione proporrà “a breve” di arrivare la “clausola di salvaguardia nazionale del Patto di stabilità e crescita”, che eviterà le procedure per disavanzi eccessivi (tra l’altro già in essere per molti Paesi, tra cui l’Italia e la Francia).
“Se gli Stati membri aumentassero le loro spese per la difesa dell’1,5% del Pil in media, ciò potrebbe creare uno spazio fiscale di circa 650 miliardi di euro in un periodo di quattro anni”, ha evidenziato von der Leyen.
• Il secondo punto ha l’obiettivo di spendere meglio e spendere insieme: 150 miliardi di euro di prestiti agli Stati membri per investimenti nella difesa. Ad esempio, ha elencato von der Leyen, per “difesa aerea e missilistica, sistemi di artiglieria, missili e droni per munizioni e sistemi anti-drone; ma anche per soddisfare altre esigenze, dalla mobilità informatica a quella militare, fino alla guerra cyber e all’intelligenza artificiale”.
Un approccio di approvvigionamento congiunto che, ha spiegato la capa dell’esecutivo Ue, “ridurrà anche i costi, ridurrà la frammentazione, aumenterà l’interoperabilità e rafforzerà la nostra base industriale di difesa”. E che “dovrà andare a sostegno immediato per l’Ucraina”.
• Il terzo punto è usare il bilancio dell’Unione in modo da indirizzare più fondi verso investimenti correlati alla difesa, attraverso la revisione intermedia dei programmi della politica di coesione. Tra le opzioni, l’eliminazione delle restrizioni esistenti per il sostegno alle grandi imprese nel settore e l’ampliamento del campo d’azione della piattaforma per le tecnologie strategiche per l’Europa (i’STEP) a tutte le tecnologie pertinenti la difesa.
• Il quarto e quinto punto mirano a mobilitare capitali privati tramite la Banca europea per gli investimenti e accelerando l’Unione dei mercati dei capitali per “garantire che le nostre imprese, le nostre industrie, abbiano il miglior accesso possibile al capitale, ai finanziamenti”. L’unione potrebbe, “da sola, attirare centinaia di miliardi di investimenti supplementari all’anno nell’economia europea, rafforzandone la competitività”, ha affermato von der Leyen.
ReArm Europe: il contesto
Von der Leyen ha delineato il nuovo piano in una lettera ai leader in vista del Consiglio europeo straordinario di giovedì dedicato all’Ucraina e nato per trovare una risposta (possibilmente) comune al disimpegno Usa verso l’Ucraina e in generale verso la sicurezza europea, più volte annunciato dal presidente Donald Trump, col quale i rapporti, già in partenza non amichevoli – il tycoon non ha mai potuto soffrire l’Unione europea -, si sono deteriorati ai minimi storici in solo un mese e mezzo di presidenza.
Dopo gli attacchi all’Unione, l’esclusione di quest’ultima dai primi negoziati sull’Ucraina con la Russia e il sostegno all’estrema destra in diversi Paesi europei, venerdì scorso si è consumato un clamoroso strappo tra Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
Nella cornice dello studio Ovale alla Casa Bianca, è andato in scena una vera litigata tra i due, con Trump che ha accusato il suo omologo di “giocare con la terza guerra mondiale” e di non avere alcuna voce in capitolo per potere dettare condizioni. Zelensky alla fine è andato via, senza firmare l’accordo sulle Terre rare per cui era volato a Washington, peraltro riuscendo a incontrare Trump prima di Putin.
Un episodio clamoroso che non poteva non avere strascichi. Da una parte nel fine settimana il presidente Usa ha affermato che l’accordo sui giacimenti ucraini è ancora sul tavolo, dall’altra ieri ha sospeso con effetti immediati ogni aiuto militare all’Ucraina, compresi quelli già in transito.
Sulla situazione del Paese, ormai da tre anni in guerra con la Russia, si è parlato in due vertici informali organizzati dal presidente francese Emmanuel Macron due settimane fa e poi la scorsa domenica in un incontro a Londra. Promotore in questo caso il premier britannico Keir Starmer, sempre più alla guida della reazione europea nonostante il Regno Unito non faccia più parte dell’Ue da anni.
Starmer d’altronde può giocarsi un ruolo di ponte con Trump in virtù dei buoni rapporti tra i due Paesi (almeno finora). Tuttavia il piano messo a punto con Macron, basato su una forza di peacekeeping trainata da Francia e Uk – gli unici due Paesi in Europa ad avere un senso a livello militare – è stato oggi criticato e di fatto respinto dal vice presidente Usa JD Vance in un’intervista alla Fox News.
Un’Europa divisa
Giovedì 6 marzo è in calendario un Consiglio europeo straordinario dedicato all’Ucraina, un tema strettamente connesso con quello della difesa. Dopo decenni in cui il blocco ha speso, prodotto e innovato molto poco nel settore, contando sull’ombrello protettivo statunitense, la decisione aggressiva di Trump di disimpegnarsi velocemente dal Vecchio Continente (dove pure gli Stati Uniti hanno avuto e hanno i loro benefici) è per l’Unione una vera doccia fredda.
Il blocco dunque sta provando a reagire, ma le sfide non vengono solo dall’esterno. Un riferimento esplicito a nuovi finanziamenti militari da 20 mld di euro per l’Ucraina, proposto da Kaja Kallas, capa della diplomazia del blocco, è stato eliminato dall’ultima bozza delle conclusioni del Consiglio. Il motivo è semplice: il rifiuto opposto dall’Ungheria.
Non è certamente nuova la posizione del premier Viktor Orbán, assestato su posizioni filo russe ed euroscettiche. Solo per rimanere alle ultime settimane, oltre al ‘niet’ sulla bozza di documento per il Consiglio del 6 marzo il primo ministro ha chiesto all’Unione di impegnarsi in negoziati diretti con la Russia per stabilire un cessate il fuoco. Inoltre, è sfavorevole all’ingresso dell’Ucraina nel blocco e alle sanzioni contro la Russia.
Orbán non è solo, con lui c’è il premier slovacco Robert Fico, anch’egli filo-russo, che, in considerazione dei problemi energetici in cu versa il suo Paese, preme perché l’Ucraina riprenda il transito del gas attraverso il suo territorio e ha minacciato di rendere difficile l’adozione delle conclusioni del Consiglio del 6 marzo.
Se questo è il contesto in cui l’Europa, spesso divisa, si sta riarmando, von der Leyen ha concluso così il suo discorso di oggi: “Per quanto il mondo stia cambiando, i nostri principi non lo hanno fatto. Cerchiamo stabilità, sicurezza, prosperità e libertà dalla coercizione”. E ha aggiunto: “Vogliamo relazioni transatlantiche il più strette possibile, che si basino anche su basi profonde e solide tra i nostri popoli e i nostri Parlamenti”.