L’aria bellicista che tira – in Europa e nel Mondo – è quella che è, e tutti devono adeguarsi. Anche gli ospedali. Diversi Paesi dell’Unione, tra cui l’Italia, hanno deciso infatti di iniziare a prepararsi per l’eventualità di dover accogliere feriti – parecchi, fino a 250 al giorno per ogni struttura – in conseguenza di una eventuale guerra con la Russia. Un’ipotesi che nell’ultimo anno sembra essere uscita dal campo dell’impossibile per entrare addirittura in quello del probabile, tanto che, per quanto sembri assurdo parlare di conflitti militari dopo 80 anni di pace sul Continente (un’eccezione storica, va detto), ormai appare quanto meno prudente non farsi cogliere impreparati.
Va anche sottolineato che Nato richiede specifici requisiti per l’assistenza sanitaria nei Paesi membri, i ‘Minimum operational requirements’. Che l’Italia, per la cronaca, già rispetta.
La Francia: picchi di 250 feriti
Lo scorso 18 luglio una circolare del ministero della Salute francese, visionata dal settimanale Le Canard Enchainé, ha invitato le Agenzie regionali della sanità a preparare piani e strutture (in collaborazione con la Difesa) per accogliere negli ospedali civili un gran numero di soldati feriti. Si parla di cifre ingenti: 100 al giorno per struttura e per 60 giorni consecutivi, con “picchi di attività che possono raggiungere 250 pazienti al giorno per tre giorni consecutivi”. E a farlo di fretta: entro marzo 2026, scadenza che getta un’ombra cupa sul nostro prossimo futuro.
Secondo il documento governativo, le agenzie regionali della sanità dovrebbero installare strutture che smistino i soldati negli ospedali civili più adatti e li facciano tornare nel loro Paese di origine quando possibile, anche approntando centri medici nei pressi delle stazioni degli autobus, dei treni, degli aeroporti e dei porti.
Inoltre, si prevede che gli operatori sanitari vengano formati sulla medicina riabilitativa e sui disturbi post-traumatici, nonché a lavorare “in un periodo di guerra segnato dalla scarsità di risorse e dall’aumento dei bisogni”.
Secondo la ministra della Salute francese, Catherine Vautrin, non c’è nulla di anomalo: si tratta semplicemente di essere pronti anche per eventi che sembravano impossibili. Un esempio è offerto dal covid 19, che ha trovato impreparato tutto il mondo compresa l’Europa, tanto che quest’anno l’Unione si è dotata di una Strategia per la preparazione a tutto campo. Quando venne presentata, lo scorso marzo, fece scalpore il video in cui la commissaria alla Preparazione Hadja Lahbib faceva vedere, tra il serio e il faceto, come dotarsi di un ‘survival kit’ per 72 ore. Un’accortezza consigliata a tutti i cittadini europei.
La Germania allarga il fuoco
In Germania si sta discutendo di un piano analogo a quello francese, per preparare gli ospedali all’eventualità di un conflitto su larga scala in Europa: un evento in cui il Paese giocherebbe un ruolo fondamentale come nodo logistico e sanitario per il fronte orientale.
Il ‘Piano quadro per la difesa civile degli ospedali’ tuttavia allarga il campo, ipotizzando scenari ‘estremi’ come la distruzione di edifici, combattimenti nelle strade e l’evacuazione di Berlino.
Il documento, presentato in Senato, è stato messo a punto in collaborazione con la Bundeswehr, l’esercito tedesco, e prevede che gli ospedali civili garantiscano non solo posti letto ma anche percorsi di emergenza rapidi, tarati su un afflusso di 100 pazienti al giorno per struttura, mantenendo l’assistenza medica ai civili e garantendo dunque la continuità delle cure anche in contesti eccezionali.
Come nel caso francese, gli operatori sanitari devono essere formati rispetto a ferite di guerra, amputazioni, traumi da esplosione.
Elemento centrale dell’architettura di preparazione sanitaria tedesca è la costruzione di una rete di emergenza interconnessa che consenta di redistribuire velocemente i pazienti tra le diverse strutture, un’operazione che implica anche la revisione della logistica relativamente a trasporti, comunicazioni, stoccaggio di farmaci e dispositivi medici.
L’Italia sta rimuovendo che “siamo in una situazione prebellica”
Anche l’Italia si sta muovendo. Anzi, sta ‘rimuovendo’. Walter Ricciardi, ex presidente dell’Istituto superiore di sanità e oggi professore ordinario di Sanità pubblica all’università Cattolica, ha detto chiaramente all’Adnkronos Salute che “in Italia si dovrebbe innanzitutto maturare la consapevolezza che siamo in una situazione prebellica e la maggior parte degli italiani mi pare rimuova il concetto”.
“Per non muoversi troppo tardi – ha affermato – occorre che le istituzioni competenti inizino a coordinarsi, come già avvenuto in Francia e Germania”.
In effetti il governo ha iniziato a lavorarci: un decreto del Ministero della Salute di aprile 2025 ha istituito presso l’Ufficio di gabinetto un “Tavolo permanente in materia di resilienza di soggetti critici“: un organo formato da 10 membri che, secondo quanto riportato dal Sole 24 Ore, al momento si sarebbe riunito due volte – una a inizio giugno e una a inizio settembre – per discutere di una “strategia sulla resilienza in campo sanitario che stabilisca ruoli e responsabilità dell’insieme degli organi, istituzioni ed enti coinvolti nella predisposizione di piani e misure di preparedeness & response per la gestione di emergenze sanitarie su vasta scala”.
Il decreto cita eventi C.R.B.N. (ovvero Chimici, Radiologici, Biologici, Nucleari) o scenari di crisi, tra i quali certamente può rientrare una guerra. In quest’ultimo caso, il decreto parla di ‘host nation support’ con mobilità militare in tre fasi: “Dalla preparazione per l’arrivo delle truppe alla mobilità all’interno del Paese, fino alla partecipazione a fasi attive di combattimento all’estero con il possibile rientro di feriti”.
Il tavolo deve anche lavorare per “rafforzare la collaborazione civile-militare in campo sanitario”, ad esempio “promuovendo percorsi formativi comuni ed esercitazioni congiunte o definendo piani operativi e linee guida condivise per la gestione della catena di comando durante eventi catastrofici”.
In Italia comunque c’è già un Piano nazionale di difesa, “che comprende anche la parte batteriologica di cui mi sono occupato io, o almeno c’era fino al 2020″, come ha precisato all’Adnkronos Salute Ranieri Guerra, ex direttore generale aggiunto dell’Oms, attualmente consulente dell’Areu Lombardia, l’Agenzia regionale emergenza-urgenza.
Per Guerra, in caso di coinvolgimento nel conflitto, si dovrebbe pensare soprattutto a posti letto di traumatologia e a terapie intensive: “Durante l’emergenza Ebola si utilizzò l’aeroporto di Pratica di Mare come hub per i voli militari con pazienti infetti: uno schema che potrebbe essere replicato per soldati feriti. Strutture come il Niguarda di Milano, già pronte per gestire grandi emergenze e individuate come riferimento per le Olimpiadi Milano-Cortina, potrebbero rappresentare poli strategici”.
Quanto alla Protezione civile, un intervento è previsto nel decreto legislativo del 2 gennaio 2018, ma nel caso di un conflitto con la Russia, “immagino che si debba prima di tutto pensare ai posti letto (traumatologia soprattutto) e alle terapie intensive”, ha concluso Guerra.