Difendere “EUkraine”: Cosa può (e non può) fare l’Europa nel conflitto ucraino

Lo studio dell'Instititute for European policy-making della Bocconi analizza tutti gli scenari, dalla deterrenza simbolica all’intervento diretto
4 giorni fa
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A tre anni dall’inizio dell’invasione russa, l’Europa si trova a un bivio: intervenire direttamente nel conflitto ucraino oppure rischiare di vedere sgretolare il suo fragile castello di sicurezza. È il dilemma al centro di How to Defend EUkraine, un policy brief pubblicato dall’Institute for European Policy-Making dell’Università Bocconi e firmato da tre esperti di studi strategici: Andrea Gilli, Mauro Gilli e Niccolò Petrelli.

Nel documento, gli autori non propongono soluzioni semplici, ma analizzano in dettaglio nove possibili configurazioni militari che i paesi europei potrebbero adottare – da interventi simbolici con forze speciali a missioni su vasta scala simili a quelle della Guerra Fredda. Il quadro che emerge è lucido e inquietante: senza gli Stati Uniti, l’Europa oggi non è pronta a sostenere un’operazione militare autonoma di grande portata. Ma il tempo per prepararsi è poco.

Un’Europa senza America?

L’analisi parte da un dato politico ormai noto: l’impegno degli Stati Uniti in Ucraina è incerto. L’amministrazione Trump, tornata alla Casa Bianca dopo le elezioni del 2024, ha sospeso temporaneamente gli aiuti militari e spinto per una pace negoziata che non tiene conto delle priorità europee. In questo vuoto strategico, l’Europa è chiamata a decidere: accettare il disimpegno americano e i suoi rischi, oppure colmare il vuoto con forze e risorse proprie.

Il paper prende in esame tre scenari:

  1. Un accordo di pace duraturo, da far rispettare attraverso una missione europea.
  2. Un cessate il fuoco violato, che richiederebbe un intervento più deciso.
  3. Il fallimento delle trattative, con la prosecuzione della guerra e l’assenza di supporto statunitense.

In tutti e tre i casi, la questione centrale è la stessa: quali opzioni ha l’Europa per sostenere l’Ucraina – militarmente, politicamente e logisticamente?

Nove opzioni militari, tra deterrenza e intervento

Il cuore del documento è la mappa delle nove opzioni militari per un intervento europeo, ciascuna valutata secondo criteri di tipo, scala e postura (difensiva o offensiva). Tra queste:

  1. Forze Speciali (SF) – Operazioni mirate di sabotaggio e intelligence. Rapide da attuare, ma a rischio elevato e con impatto strategico limitato.
  2. Assistenza Non-Combattente (NCS) – Addestramento, logistica, intelligence. Fattibile e sostenibile, ma vulnerabile a provocazioni russe.
  3. Forze Trip-Wire (TW) – Truppe schierate al confine per deterrenza, come un cavo teso per far inciampare un invasore e far scattare un allarme. Simboliche ma esposte a escalation.
  4. Difesa Aerea e Missilistica (AD) – Sistemi come SAMP/T (prodotti dal consorzio di Mbda Italia, Mbda Francia e Thales) e Patriot. Costosa e limitata dalla capacità produttiva europea.
  5. No-Fly Zone (NFZ) – Controllo dello spazio aereo. Complessa da realizzare, rischiosa sul piano politico e operativo.
  6. Campagna Aereo-Terrestre (AGC) – Bombardamenti su obiettivi russi. Potenzialmente decisiva, ma difficile senza supporto USA.
  7. Peace-Enforcement (PE) – Mantenimento della pace dopo un accordo. Opzione oggi la più plausibile.
  8. Forza di Reazione Rapida (MRRF) – Unità mobili per risposte rapide. Utile ma logisticamente impegnativa.
  9. Deployment Congiunto da Combattimento (CRJD) – Operazione di larga scala (oltre 200.000 soldati). Attualmente irrealizzabile.

Costi, rischi e limiti strutturali

A rendere l’analisi particolarmente interessante è il metodo di valutazione. Ogni opzione viene passata al setaccio su nove parametri: capacità e risorse disponibili, sostenibilità nel tempo, accettabilità politica, rischio di escalation, impatto strategico, costi economici, rapidità di dispiegamento, rischio di perdite e idoneità allo scenario.

Tra i risultati più significativi:

  • Molte opzioni sono tecnicamente possibili, ma politicamente ingestibili: è il caso delle forze speciali o della no-fly zone, che potrebbero scatenare reazioni violente da parte della Russia e incontrare forte opposizione interna nei paesi europei.
  • L’intervento aereo diretto (AGC) sarebbe militarmente efficace, ma l’Europa manca di capacità chiave come rifornimenti in volo, intelligence in tempo reale, e sistemi di ricerca e soccorso.
  • La difesa aerea (AD) è più realistica, ma il vero collo di bottiglia è la produzione di munizioni: un aspetto che mette in discussione anche la sostenibilità a lungo termine.
  • La missione di peace enforcement, in caso di accordo tra Ucraina e Russia, è l’unica opzione che appare sostenibile sul piano politico, economico e militare.

Un’Europa ancora impreparata

La conclusione del documento è netta: senza gli Stati Uniti, l’Europa non ha le capacità per sostenere da sola la maggior parte delle opzioni di intervento. La mancanza di investimenti in difesa, la scarsità di coordinamento tra paesi membri e la bassa accettazione da parte dell’opinione pubblica di operazioni rischiose pongono limiti strutturali profondi.

Tuttavia, gli autori non si limitano alla diagnosi. Propongono tre linee d’azione:

  1. Accelerare la modernizzazione militare europea, soprattutto nelle capacità “abilitanti” come logistica, difesa aerea e C4ISR, l’acronimo che sta per Command, Control, Communications, Computers, Intelligence, Surveillance and Reconnaissance.
  2. Pianificare una missione di peace enforcement, e preparare forze per scenari peggiori (come un ritorno al conflitto).
  3. Legittimare qualsiasi intervento cercando un mandato ONU, e coinvolgere anche paesi non europei – dal Giappone all’Australia, fino al cosiddetto Sud Globale.

Una guerra che ridefinisce l’identità europea

Il titolo del documento – “How to Defend EUkraine” – è più di un gioco di parole. In gioco non c’è solo il destino dell’Ucraina, ma anche quello dell’Europa come attore strategico indipendente. La guerra ha già cambiato i paradigmi della difesa europea, costringendo i paesi UE a confrontarsi con domande difficili: quanto siamo disposti a rischiare per la sicurezza comune? Cosa significa oggi “autonomia strategica”? E quanto vale davvero la nostra unità?

Le risposte, come mostra questo studio, richiedono realismo, coraggio politico e uno sforzo condiviso. Ma una cosa è chiara: il tempo delle illusioni – come suggerisce il titolo del paper gemello, EUse Your Illusion I, che sarà seguito da un secondo – è finito.