Il Belgio chiede aiuto agli alleati contro i droni. Perché non si riescono ad abbattere?

Hanno le dimensioni di un gabbiano e i materiali eludono persino gli infrarossi, i radar in grado di scovarli costano ancora troppo
19 ore fa
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"No drone zone" at Brussels Airport (Afp)
"No drone zone" at Brussels Airport (Afp)

Il Belgio ha chiesto l’aiuto delle forze armate francesi, tedesche e britanniche, per sequestrare e rintracciare i droni che hanno effettuato incursioni nei suoi aeroporti, basi militari e in una centrale nucleare. Secondo i funzionari, tutto ciò porta i segni distintivi dell’interferenza russa. Hanno le dimensioni di un gabbiano o di una cicogna e i materiali eludono persino gli infrarossi, i radar in grado di scovarli costano ancora troppo e i jammer di cui sono dotati gli Stati non sembrano avere la potenza per bloccare il segnale che li telecomanda. Ma perché è così difficile rintracciare, fermare e abbattere i droni?

Droni: troppo piccoli per esseri visti?

La difficoltà nel rintracciare, fermare e abbattere i droni viaggia su due binari: da un lato, la struttura, la forma e la funzionalità stessa dei velivoli; dall’altro, la mancanza di strumenti adeguati.

Per quanto riguarda la struttura dei velivoli, i quadricotteri e gli areoplanini sono i droni più diffusi. I primi hanno una dimensione di circa cinquanta centimetri; i secondi, come lo Shahed iraniano, realizzato anche in molte altre nazioni, a partire dalla stessa Russia, è lungo 3,5 metri e largo 2,5. Progettati dall’Iran nei primi anni Duemila e già utilizzati contro Israele e dai proxy iraniani in Medio Oriente, gli Shahed hanno un costo contenuto – tra 35mila e 60mila per unità – e un’autonomia che supera i 1.600 chilometri. Viaggiano a una velocità di cento chilometri orari.

Per quanto riguarda gli strumenti per rintracciarli, i materiali dei droni e aeroplanini non agevolano i radar in quanto progettati per avvistare grandi velivoli di metallo. I droni, invece, sono in plastica, fibre di carbonio o vetroresina: invisibili agli impulsi. Persino i più sensibili non riescono a distinguere le tracce di quadricotteri e Shahed perché identiche a quelle di gabbiani e cicogne. La particolarità è che sono “impermeabili” anche agli infrarossi, in quanto i primi sono spinti da propulsori elettrici che generano pochissimo calore e i secondi sono spinti da motori a pistoni con bassa potenza ed emissioni ridotte.

I radar in grado di scovarli, al momento, sono l’Omega 360 di Fincantieri che è in grado di riconoscere il modello esatto – ma ne sono stati prodotti pochissimi esemplari – e i radar volanti come il Gulfstream Caew dell’Aeronautica o il Saab 340 Aew&C, i quali costano oltre 350 milioni di euro.

Un altro problema è che non rispondono ai jammer. I dispositivi elettronici che interferiscono con i segnali radio per bloccare le comunicazioni in determinate aree dei servizi di sicurezza non hanno funzionato in Belgio perché “hanno testato la nostra frequenza radio e hanno cambiato frequenza. Hanno le loro frequenze. Un dilettante non sa come fare”. A spiegarlo è stato il ministro della Difesa Theo Francken, il quale ha dichiarato alla canale pubblico Rtbf che i jammer non hanno avuto effetti sugli intrusi.

Questi strumenti emettono impulsi su diverse lunghezze d’onda per disturbare le frequenze con cui si pilotano da distanza i mezzi teleguidati. Spezzano il controllo radio del velivolo, che comincia a volare a caso per poi schiantarsi poco dopo sul suolo.

Abbattere i droni stranieri: quali rischi?

Il primo problema riguardante l’abbattimento è capire se il drone è davvero un intruso o se è in possesso di un’autorizzazione a operare. Solo le forze dell’ordine possono impiegare sistemi d’arma, inclusi quelli elettronici come gli impulsi elettromagnetici. Ma in ambienti come un aeroporto, l’abbattimento di un drone pone interrogativi sui rischi collaterali: dove cadrà il velivolo o i suoi rottami?

In caso di autorizzazione su zona militare, mitragliere e “cannoncini” sono in grado di abbatterli. Per le prime, le più diffuse sono quelle costruite dalle italiane Leonardo e Elettronica, così come lo Skynex di Rheinmetall, prodotto in Italia per gli ucraini e ordinato da diversi Paesi europei, composto da sensori, unità di controllo e cannoni da 35 millimetri ad alta cadenza di tiro, utilizza munizioni speciali che esplodono in aria: perfetti contro i droni.

La smentita russa

Gli avvistamenti di droni si sono verificati, fino ad oggi, in Danimarca, Norvegia, Germania, Francia, Polonia, Spagna, Polonia, Repubblica Ceca, Estonia, Gran Bretagna. Presi di mira aeroporti civili, installazioni militari, infrastrutture nucleari. L’unico episodio in Italia ha riguardato un centro di ricerche atomiche a Ispra, nel Varese, dove lo scorso marzo ci sono stati cinque sorvoli.

Venerdì il governo belga ha dato l’autorizzazione provvisoria a spendere 50 milioni di euro per sistemi di rilevamento e di messa fuori uso dei droni. Regno Unito, Francia e Germania invieranno personale e attrezzature per aiutare il Paese a contrastare le incursioni dei droni attorno a siti sensibili.

Secondo il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius, i recenti incidenti con i droni in Belgio sono collegati alle discussioni sull’utilizzo dei beni russi congelati, detenuti dall’istituto finanziario belga Euroclear, per finanziare un prestito all’Ucraina. Un funzionario belga ha chiarito alla Reuters, però, che “non stiamo dicendo che si tratti della Russia. Stiamo dicendo che sembra la Russia. È impossibile collegare un incidente a un attore. Non abbiamo nulla”.

La Russia, dal canto suo, ha negato qualsiasi coinvolgimento con i droni. La sua ambasciata a Bruxelles ha dichiarato in una nota della scorsa settimana di non avere “né moventi né interessi in tali attività“.