Il candidato alle presidenziali statunitensi Donald Trump si è salvato da un attentato pubblico. Un colpo di proiettile nel weekend, durante un comizio elettorale in Pennsylvania, gli ha sfiorato l’orecchio. Una mano alzata con un pugno stretto e un labiale che incitava “Fight” alla folla è una delle immagini più iconiche della corsa del Tycoon alla presidenza Usa che si è salvato per poco.
”Dovrei essere morto’ – ha detto Trump in una intervista al New York Post -. Per fortuna o per Dio, molte persone dicono che è grazie a Dio, sono ancora qui”. Trump pare abbia mostrato al giornalista un livido sul braccio che, ha spiegato, gli è stato procurato dagli agenti che lo hanno protetto buttandolo a terra.
Ma cosa rappresenta per l’America e per il resto del mondo quanto accaduto negli scorsi giorni?
La reazione europea
La reazione europea all’attentato di Donald Trump non è tardata. I leader degli Stati membri e delle istituzioni dell’Ue si sono uniti nel condannare fermamente la violenza politica di quanto accaduto oltreoceano.
“La violenza politica non ha posto in una democrazia – ha scritto la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen su X e si è detta “profondamente scioccata dalla sparatoria”. E lo stesso è valso per la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola che ha detto di essere “scioccata dall’orribile attacco”. A fare da eco, anche Charles Michel, presidente del Consiglio europeo che ha scritto: “La violenza politica è assolutamente inaccettabile in una democrazia. Condanno fermamente l’attacco all’ex presidente Donald Trump”.
Anche i leader di alcuni Stati Ue hanno espresso la propria solidarietà all’ex presidente Usa. Il presidente francese Emmanuel Macron ha paragonato la sparatoria contro Trump ad una “tragedia per le nostre democrazie. La Francia condivide lo choc e l’indignazione del popolo americano”. Così come la premier italiana Giorgia Meloni ha augurato a Trump una pronta guarigione e ha detto di sperare che il resto della campagna elettorale statunitense “veda il dialogo e la responsabilità prevalere sull’odio e sulla violenza”. Anche l’”amico” Orbán, dall’Ungheria, fresco di incontro con Donald Trump in Florida, ha rivolto un messaggio di solidarietà al Tycoon rivolgendogli “Pensieri e preghiere… in queste ore buie”.
C’è chi ha colto poi la palla al balzo per usare l’attentato a Trump come strumento di critica delle politiche interne. È il caso spagnolo di Vox, il partito di destra del Paese, il cui leader Santiago Abascal ha scritto su X: “Meno male che Donald Trump sia sopravvissuto al tentativo di omicidio. Dobbiamo fermare la sinistra che diffonde odio, rovina e guerra. La cosa terribile è che in Spagna governa la versione peggiore di questa sinistra e in questo momento saranno tristi che l’attentatore abbia fallito”.
Gracias a Dios @realDonaldTrump ha sobrevivido al intento de asesinato.
Hay que detener a la izquierda globalista que está sembrado el odio, la ruina y la guerra.
Lo terrible es que en España gobierna la peor versión de esta izquierda y ahora mismo estarán lamentando… pic.twitter.com/KYdFyiWtBb
— Santiago Abascal 🇪🇸 (@Santi_ABASCAL) July 13, 2024
Non solo Europa
Le reazioni, però, non sono arrivate solo in Europa, ma anche in Inghilterra, quanto accaduto negli Usa ha rappresentato altrettanto “scene scioccanti”. A scriverlo è stato il neoeletto Stramer su X che ha aggiunto: “Inviamo a lui (Trump, ndr) e alla sua famiglia i nostri migliori auguri. La violenza politica in qualsiasi forma non ha posto nelle nostre società”.
Così come dalla Russia è arrivato un messaggio di Maria Zakharova, portavoce del ministero degli esteri, che ha scritto su Telegram che i soldi per finanziare l’Ucraina dovrebbero essere indirizzati per altre risorse: “Forse usare quei soldi per finanziare la polizia americana e altri servizi, che dovrebbero mantenere la legge e l’ordine negli Stati Uniti?”, ha scritto Zakharova nel suo post.
E mentre si dibatte sulle motivazioni politiche dell’attentato, su come sia possibile che l’Fbi non si sia accorta della presenza di un uomo armato a distanza così ravvicinata all’area del comizio e si inneggia al “complottismo”, la corsa alle presidenziali di Trump potrebbe subire una svolta.
“Negli Stati Uniti non c’è spazio per la violenza, questo è il momento dell’unità“. Lo ha detto il presidente Biden intervenendo sull’attentato di cui è stato vittima il concorrente candidato: “Ho avuto una conversazione breve ma buona con Donald Trump, sono felice che stia bene“.
La storia degli attentati americani
Essere un presidente, in ogni parte del mondo, comporta responsabilità, rischi e oneri. Ma negli Stati Uniti, dall’Ottocento ad oggi, la storia insegna che il rischi sono spesso maggiori. La prima vittima della violenza americana che si è consumata contro i presidenti Usa fu Abraham Lincoln. Il 16esimo presidente degli Stati Uniti fu assassinato il 14 aprile 1865. Mentre assisteva allo spettacolo Our American Cousin al Ford’s Theather di Washington, fu colpito da un colpo di pistola esploso da John Wilkes Booth.
Un altro esempio è quello di James Garfield, il cui da 20esimo presidente durò solo 6 mesi. Il presidente fu oggetto di un attentato il 2 luglio 1881. A sparargli, in una stazione ferroviaria, fu Charles J. Guiteau. Ma anche William McKinley, 25esimo presidente, fu colpito da arma da fuoco il 6 settembre 1901 per mano dell’anarchico Leon Czolgosz.
Così come nel 1933, Franklin Delano Roosevelt sopravvisse a diversi colpi di pistola. L’attentatore in quel caso fu Giuseppe Zangara, un anarchico affetto da problemi di salute.
I casi di assassini a presidenti Usa che destarono più clamore però, furono l’uccisione di John Kennedy il 22 novembre del 1963, mentre attraversava con il corteo presidenziale Dealey Plaza a Dallas, in Texas. Ne fece seguito, cinque anni dopo, il 5 giugno del 1968, l’omicidio al fratello Robert Francis Kennedy durante la campagna presidenziale. Fu eliminato dopo un comizio nella ballroom dell’Ambassador Hotel di Los Angeles. Fu colpito tre volte da Sirhan Sirhan, 24enne palestinese che sparò con un revolver calibro 22.
Ma quando un presidente non muore, si rafforza?
La (nuova) corsa alle presidenziali
Un Trump sopravvissuto è “peggio” di un Trump morto? Su questo tema si dibatte nelle ultime ore sulla stampa internazionale. In molti si chiedono se per Joe Biden non sia la fine di una campagna elettorale che traballa tra gaffe pubbliche e personalità di spicco che chiederebbero all’attuale presidente di abbandonare la corsa.
Un sondaggio condotto nelle scorse settimane negli Usa ha scoperto che il 10% degli intervistati ha affermato che “l’uso della forza è giustificato per impedire a Donald Trump di diventare presidente”. Un terzo di coloro che hanno dato questa risposta ha anche affermato di possedere un’arma. E i politologi e studiosi delle campagne elettorali americane sostengono che l’escalation di violenza sia stata proprio innescata dall’attacco a Capitol Hill.
Intanto, però, la popolarità del Tycoon procede. Il Guardian lo descrive come colui che “dopo essere stato colpito si è subito rialzato e ha incitato la folla a “Combattere”. Joe Biden è il presidente debole e fragile che inciampa sulle scale. Un elettore indeciso, dopo l’attentato, potrebbe avere le idee più chiare”.
Così come, si legge sul New York Times, “per i più convinti sostenitori di Donald J. Trump, il tentato assassinio di sabato ha rappresentato il culmine e la conferma di una storia che racconta da anni. È la storia di un leader impavido circondato da forze oscure e intrighi, di grandi cospirazioni per ostacolare la volontà del popolo che lo ha eletto. Una narrazione in cui Trump, prima ancora che un uomo armato tentasse di togliergli la vita, era già un martire”.