Frontiere Ue sotto stress: l’Ees mette alla prova aeroporti e passeggeri

Il sistema europeo di ingresso e uscita è partito in forma graduale, ma l’impatto operativo è già visibile negli scali. Tempi di attesa in aumento e primi correttivi nazionali
2 ore fa
4 minuti di lettura
Aeroporto Ragazza Finestrino

L’Unione europea accelera sul controllo delle frontiere esterne, ma l’impatto operativo precede la piena entrata in vigore delle nuove regole. Nei principali aeroporti continentali i primi effetti del sistema Entry/Exit si traducono in rallentamenti visibili, anche con quote di passeggeri ancora limitate. Un anticipo di ciò che potrebbe diventare strutturale quando il meccanismo sarà applicato su larga scala.

Nei grandi scali europei il punto di congestione è già evidente, anche in giornate ordinarie, con volumi lontani dai picchi stagionali. Il cambio di passo ai controlli di frontiera è un’esperienza concreta per migliaia di passeggeri che rientrano o transitano nello spazio Schengen e si trovano davanti a varchi rallentati, procedure incerte, tempi che si dilatano senza preavviso.

L’Entry/Exit System e la fine del timbro

Con l’introduzione dell’Ees l’Unione europea abbandona una prassi consolidata: il timbro manuale sul passaporto come prova dell’attraversamento della frontiera. Al suo posto entra un sistema digitale centralizzato che registra automaticamente ingressi e uscite dei cittadini extra-Ue, inclusi i britannici, anche per soggiorni di breve durata. Il controllo si fonda sull’acquisizione di dati biometrici (impronte digitali e immagine del volto) associati ai dati del documento e alla cronologia dei movimenti.

Il calendario di attuazione è scandito in modo progressivo. Nella fase iniziale i controlli riguardano circa il 10% dei passeggeri interessati; dal 10 gennaio la quota salirà al 35%, fino alla piena applicazione prevista per il 10 aprile. La logica è quella di un’entrata graduale, pensata per consentire agli Stati membri e agli aeroporti di adattare procedure e infrastrutture. Nella pratica, però, anche questa fase preliminare ha prodotto effetti immediati sui tempi di controllo.

Dal punto di vista normativo l’Ees risponde a obiettivi definiti: rafforzare la tracciabilità degli ingressi, prevenire i soggiorni irregolari, uniformare le procedure lungo le frontiere esterne. Dal punto di vista operativo, ogni registrazione comporta un’interazione più lunga rispetto al passato, un passaggio tecnologico in più, un collegamento in tempo reale con il sistema centrale europeo. In un contesto aeroportuale costruito sulla velocità e sulla prevedibilità dei flussi, questo cambiamento incide in modo diretto sulla capacità di assorbimento.

Tempi di attesa e flussi sotto pressione

Le evidenze raccolte negli aeroporti italiani e in altri grandi hub europei mostrano un incremento sensibile dei tempi di controllo fin dalle prime settimane di applicazione. In diversi scali le attese ai varchi di frontiera hanno raggiunto e superato le due ore e mezza, anche in periodi di bassa stagione e con un numero di passeggeri Ees ancora contenuto. Un dato che assume particolare rilievo se rapportato alla progressione prevista nei prossimi mesi.

Le simulazioni sui flussi di traffico attesi nel 2026 delineano uno scenario più critico. Con l’aumento della quota di passeggeri soggetti a registrazione biometrica, le attese nelle fasce di maggiore affluenza potrebbero superare le quattro ore. Il rischio riguarda in particolare gli aeroporti con un’elevata concentrazione di voli extra-Schengen e con infrastrutture di controllo dimensionate su standard precedenti.

L’allarme è stato segnalato anche a livello europeo. L’associazione che rappresenta gli aeroporti del continente ha richiamato l’attenzione sull’impatto cumulativo dell’Ees in assenza di correttivi, soprattutto in vista della stagione estiva. Il rallentamento dei controlli di frontiera non resta confinato ai passeggeri extra-Ue, ma si ripercuote sull’intero sistema aeroportuale, coinvolgendo anche i cittadini dell’Unione e incidendo sulla regolarità delle operazioni.

La disomogeneità nell’adozione delle tecnologie accentua le criticità. In alcuni scali i chioschi self-service e i varchi automatizzati sono operativi solo in parte; in altri non sono ancora pienamente integrati nei flussi. Dove l’automazione non riesce ad assorbire la domanda, il carico si concentra sulle postazioni manuali, con effetti immediati sulle code.

I nodi strutturali dell’Ees

Alle criticità legate ai tempi si sommano problemi di natura tecnica e organizzativa. Le indisponibilità del sistema centrale europeo, che gestisce i dati a livello sovranazionale, compromettono la continuità delle operazioni e riducono la prevedibilità dei controlli. A questo si aggiungono configurazioni non uniformi e un’implementazione ancora parziale delle soluzioni previste, elementi che rendono difficile stabilizzare i processi.

Un punto particolarmente rilevante è l’assenza di un sistema efficace di pre-registrazione. La possibilità di acquisire dati e biometrie prima dell’arrivo in aeroporto consentirebbe di ridurre in modo significativo il tempo di interazione ai varchi. Al momento, però, questa opzione non è disponibile su larga scala, concentrando l’intero onere procedurale nel momento più delicato del flusso.

La dimensione delle risorse umane resta centrale. La carenza strutturale di personale di Polizia di Frontiera è una condizione diffusa in molti Paesi europei. L’Ees richiede più tempo per ciascun passeggero extra-Ue; senza un rafforzamento degli organici, l’effetto si estende inevitabilmente a tutti i viaggiatori. Le stime operative indicano come necessario un incremento di almeno il 25% del personale negli aeroporti maggiormente esposti per evitare congestioni prolungate e ritardi a catena.

Il quadro che emerge è quello di un sistema che, pur rispondendo a un disegno strategico europeo, fatica a trovare un punto di equilibrio tra ambizione normativa e capacità operativa. La piena entrata in funzione prevista per aprile 2026 si confronta con limiti infrastrutturali e organizzativi che le evidenze attuali rendono difficili da ignorare.

Le risposte emergenziali degli Stati

Di fronte alle criticità operative, alcuni Stati hanno adottato misure straordinarie. Il Portogallo ha disposto la sospensione per tre mesi dell’applicazione dell’Ees all’aeroporto Humberto Delgado di Lisbona, motivando la decisione con l’aggravarsi delle restrizioni nell’area arrivi per i passeggeri extra-Schengen. Contestualmente è stato annunciato il rafforzamento immediato del personale militare della Guardia Nazionale Repubblicana e l’aumento della capacità delle apparecchiature di controllo fino al limite consentito dall’infrastruttura esistente.

Anche in Italia il calendario degli eventi internazionali ha imposto scelte mirate. In vista delle Olimpiadi Invernali di Milano-Cortina, dal 6 al 22 febbraio, è stata concessa la sospensione delle formalità Ees per la durata della manifestazione e limitatamente agli operatori, alle delegazioni, agli atleti e alla cosiddetta famiglia olimpica. Gli aeroporti coinvolti – Milano Malpensa, Milano Linate, Venezia e Verona – si preparano a gestire flussi concentrati in un arco temporale ristretto.

Le previsioni indicano, nel solo scalo di Malpensa, l’arrivo di oltre 15.500 tra operatori e atleti nella settimana precedente la cerimonia di apertura, a cui si aggiungono più di 150mila spettatori. Nei giorni dell’evento lo scalo dovrà gestire fino a 4mila bagagli fuori misura, con picchi concentrati sugli arrivi delle delegazioni. In questo contesto l’applicazione integrale dell’Ees avrebbe introdotto un fattore di complessità difficilmente sostenibile.

Le sospensioni temporanee e le deroghe selettive mettono in evidenza una tensione di fondo tra il disegno regolatorio europeo e la realtà operativa degli aeroporti. Le richieste di correttivi alla normativa nascono dalla constatazione che le tempistiche di attuazione non tengono ancora conto, in modo sufficiente, delle evidenze raccolte sul campo.