Il giorno del giuramento di Donald Trump come 47° presidente degli Stati Uniti ha offerto al mondo un’immagine precisa di una nuova élite globale. Sul palco accanto al presidente c’erano anche i principali protagonisti della tecnologia mondiale: Elon Musk, Mark Zuckerberg, Jeff Bezos, Sundar Pichai, Tim Cook, Sam Altman. Un parterre di miliardari che rappresenta la cosiddetta ‘broligarchia‘, un termine coniato per descrivere l’intreccio tra potere economico, dominio tecnologico e ambizioni politiche, condensato in un gruppo di maschi bianchi ricchi.
Cosa significa ‘Broligarchy’?
Broligarchy è un neologismo inglese che unisce ‘oligarchia’, ovvero ‘governo in cui il potere è concentrato nelle mani di un ristretto gruppo di persone’, a ‘bro’, slang di origine americana e area rap che sta per ‘brother’, fratello, e indica un amico stretto con cui si condividono stile, idee e modi di vita. In questo caso ‘bro’ sta per ‘tech bro’, un uomo (sottolineiamo uomo) che lavora e che si è arricchito nel settore tecnologico digitale, che tipicamente ha un’alta opinione di sé, spesso è privo di abilità sociali e spesso è caratterizzato da mascolinità tossica, cioè intesa nel senso peggiore, come quello dell’aggressività che Zuckerberg vorrebbe diffondere nelle aziende.
Ma il punto fondamentale – e nuovo – è l’influenza politica esercitata da questi ‘bro’, strettamente intrecciata col potere economico: uno consente l’altra e viceversa, perché ovviamente nel momento in cui ci si hanno in mano le leve del potere i conflitti di interesse si sprecano. L’esempio degli Usa è illuminante: chi ha il controllo delle tecnologie digitali, ovvero i plutocrati della Silicon Valley, ha anche il controllo su chi quelle tecnologie le usa, cioè tutti noi. I bro hanno contribuito in modo determinante all’elezione di Trump andando molto oltre ai ‘classici’ contributi finanziari (che comunque ammontano nel complesso a 250 milioni di dollari), e ora hanno accesso diretto o quasi alla stanza dei bottoni.
Un altro punto centrale della questione è che, a differenza dei ‘classici’ miliardari, i tech bro non cercano solo condizioni favorevoli per le proprie aziende e i propri affari, ma hanno anche un’agenda politica, che è tipicamente antidemocratica.
C’è anche chi ci vede qualcosa di molto imbarazzante in tutto questo: Rebecca Shaw sul Guardian ha definito il gruppo attorno al nuovo presidente Usa sostanzialmente dei nerd, dei perdenti che si sono piegati al re: “Il disperato tentativo di Elon Musk e Mark Zuckerberg di sembrare fighi mentre leccano il sedere a Trump è così cringe che mi fa accapponare la pelle”. The Donald stesso sembra essere molto consapevole della propria posizione; infatti, ha ricordato urbi et orbi su Truth Social dopo la sua rielezione che “tutti vogliono essere miei amici”: un po’ ‘bro’ anche lui, ma su un altro livello.
Chi sono i protagonisti della broligarchia?
Tutti ormai conosciamo i nomi dei broligarchi, anche se non li abbiamo mai chiamati così. Su tutti:
- Elon Musk (Tesla, SpaceX, Twitter/X): l’imprenditore più controverso e influente, con una visione che spazia dall’intelligenza artificiale all’esplorazione spaziale. La sua acquisizione di Twitter ha trasformato la piattaforma in uno strumento di propaganda e polarizzazione
- Mark Zuckerberg (Meta): il fondatore di Facebook, che oggi controlla anche Instagram e WhatsApp, ha accesso diretto ai dati personali di miliardi di persone
- Jeff Bezos (Amazon, Blue Origin): dalla rivoluzione dell’e-commerce all’esplorazione spaziale alla stampa, Bezos ha consolidato un impero tecnologico che va ben oltre le vendite online.
- Sundar Pichai (Google/Alphabet): il ceo di una delle aziende più potenti al mondo, che domina la ricerca online e compete sull’intelligenza artificiale.
- Tim Cook (Apple): guida un’azienda che non solo definisce standard tecnologici, ma influenza anche la privacy e la sicurezza digitale a livello globale.
- Shou Zi Chew (TikTok): il ceo di TikTok, la piattaforma social più in crescita, che rappresenta un esempio di come la tecnologia cinese possa concorrere con l’egemonia occidentale.
Minaccia alla democrazia
Dallo Studio Ovale, l’ex presidente Joe Biden aveva lanciato un allarme chiaro: “Oggi in America sta prendendo forma un’oligarchia di estrema ricchezza, potere e influenza che minaccia letteralmente la nostra intera democrazia.” Questo avvertimento si riflette non solo negli Stati Uniti, ma anche in Europa e nel resto del mondo, dove il potere concentrato nelle mani di pochi rischia di compromettere il funzionamento democratico.
La broligarchia non si limita a gestire ricchezze senza precedenti: controlla anche gli strumenti della democrazia, rendendoli progressivamente inaccessibili per chi voglia dare ad altri il potere. Si rischia così di scivolare verso un sistema autoritario, definito da alcuni come democratura, ovvero una democrazia formale che nasconde una dittatura di fatto.
Ma quali sono nel concreto le implicazioni di questa nuova aristocrazia?
- controllo dei dati: le piattaforme guidate dai broligarchi raccolgono dati personali su una scala mai vista prima, utilizzandoli per influenzare il comportamento degli utenti e generare enormi profitti
- erosione della privacy: ogni clic, acquisto o conversazione può essere monitorato e utilizzato per scopi commerciali o politici
- influenza politica: attraverso donazioni a candidati politici, think tank e progetti educativi, lobbying e accesso diretto ai leader mondiali, i broligarchi sono diventati protagonisti delle decisioni politiche
- piattaforme dominanti: le Big Tech (Google, Meta, Amazon, Apple, Microsoft) fungono da “gatekeeper” per l’accesso al mercato digitale. Ad esempio, Google controlla il 92% delle ricerche online, mentre Amazon domina il commercio elettronico in gran parte del mondo occidentale
- economia della dipendenza: la broligarchia crea un sistema in cui aziende e individui diventano dipendenti dai loro servizi, sia per necessità quotidiane (smartphone, social network, motori di ricerca) sia per esigenze professionali (cloud computing, intelligenza artificiale)
- concentrazione del potere economico: i miliardari tech controllano interi settori dell’economia, creando monopoli digitali che limitano la concorrenza e rafforzano le disuguaglianze economiche
- manipolazione dell’informazione: le piattaforme digitali controllate dai broligarchi decidono cosa vediamo e leggiamo. Gli algoritmi amplificano le fake news, polarizzano le opinioni e possono arrivare a influenzare le elezioni
- concorrenza soffocata: le startup innovative trovano sempre più difficile competere con le Big Tech, che possono facilmente acquisirle o replicarne i servizi
- colonizzazione digitale globale: la tecnologia esporta modelli occidentali e capitalisti in tutto il mondo, rischiando di imporre un’uniformità culturale globale.
I vantaggi della broligarchia
Va detto che la broligarchia porta anche dei vantaggi:
- innovazione accelerata: i broligarchi hanno finanziato e guidato innovazioni che hanno trasformato la società
- connettività globale: miliardi di persone (almeno in teoria) possono accedere a internet, educazione e opportunità economiche come mai prima d’ora
- crescita economica: le aziende tecnologiche hanno creato milioni di posti di lavoro diretti e indiretti, stimolando l’economia globale.
Quali sono le implicazioni per l’Europa?
L’Unione Europea, pur avendo adottato normative innovative come il GDPR per tutelare la privacy dei cittadini, resta vulnerabile all’influenza delle Big Tech. Le aziende europee non possono competere con i giganti della Silicon Valley, che agiscono come gatekeeper per l’accesso al mercato digitale. Inoltre, il controllo delle piattaforme da parte dei broligarchi rischia di polarizzare le società europee e minare la coesione politica, come si sta vedendo nelle ultime settimane con i continui interventi di Musk nelle questioni di alcuni Paesi, soprattutto del Regno Unito e della Germania, e il suo attivo sostegno all’estrema destra.
Come affrontare la broligarchia in Europa
La sfida per l’Europa è duplice: da un lato, rafforzare le proprie capacità tecnologiche e promuovere l’innovazione digitale interna; dall’altro, creare un quadro normativo che limiti l’influenza delle Big Tech sulle istituzioni democratiche. Tra le priorità ci sono:
- tassazione delle multinazionali digitali: per ridurre le disparità economiche e creare un sistema più equo
- trasparenza degli algoritmi: per garantire che le piattaforme non favoriscano la disinformazione o la polarizzazione
- supporto alle startup europee: per creare un ecosistema competitivo che non dipenda esclusivamente dagli Stati Uniti o dalla Cina.
In definitiva, la broligarchia rappresenta un rischio per le democrazie occidentali e, in particolare, per l’Europa, che oltre al dominio delle Big Tech (e a Trump) deve fronteggiare la scarsa competitività.