Altro che pace. Mentre la Russia intensifica i bombardamenti sull’Ucraina e i negoziati tra Mosca e Washington restano fermi al palo, a Bruxelles i ministri della Difesa di oltre trenta Paesi si sono dati appuntamento ieri, 10 aprile, nella sede della Nato, per un vertice che ha tutta l’aria di un test: fino a dove può spingersi l’Europa (e chi con lei) senza l’ombrello americano? La risposta, almeno per ora, è: non troppo lontano, ma neppure inerte.
È la prima volta che la cosiddetta “Coalizione dei volenterosi“, un’iniziativa diplomatica franco-britannica nata a marzo, si riunisce in presenza in modo formale. Obiettivo: avviare i preparativi per una forza multinazionale che, in caso di cessate il fuoco o di pace concordata, possa garantire la sicurezza in Ucraina.
(qui sotto trovate la diretta organizzata da Adnkronos per analizzare i meeting “gemelli” a Bruxelles, con Giorgio Rutelli, Otto Lanzavecchia in collegamento dal quartier generale della Nato, e gli interventi di Alessandro Politi, direttore della Nato Defense College Foundation, e Gabriele Natalizia, professore di Scienza politica alla Sapienza)
La definizione chiave, discussa per ore tra mappe e protocolli, è “forza di rassicurazione”. Una formula volutamente ambigua, pensata per superare il tabù di una “missione di interposizione” vera e propria, che implicherebbe il riconoscimento ufficiale di due parti belligeranti e il rischio di uno scontro diretto.
Non a caso, il ministro della Difesa britannico John Healey ha precisato: “Non sarà una forza di peacekeeping. Il modo migliore per cementare un cessate il fuoco è rafforzare l’esercito ucraino“. Una presa di posizione netta, che rispecchia il cuore del progetto: aumentare la deterrenza di Kiev, non interporre caschi blu.
Ma in un’Europa che arranca tra cautela diplomatica e voglia di autonomia strategica, il convitato di pietra resta sempre lo stesso: gli Stati Uniti. Donald Trump, che già si è detto disposto a forzare un accordo tra Russia e Ucraina, non partecipa all’iniziativa. Washington non è tra i “volenterosi” e non ha risposto alla richiesta del Regno Unito di fornire un “backstop” logistico.
L’assenza americana pesa — eccome — e alimenta le incertezze anche tra gli alleati. “Molti Paesi stanno valutando la fattibilità politica e militare delle loro contribuzioni, altri pongono ancora domande”, ha ammesso il francese Sébastien Lecornu, co-organizzatore del vertice con Healey. Tradotto: i nodi restano tutti sul tavolo.
Truppe, tempi e territori: tutte le domande (senza risposte) della missione
Chi ci mette le truppe? Dove saranno schierate? Come reagiranno in caso di attacco? E soprattutto: si parte con un cessate il fuoco, oppure si aspetta la fine della guerra?
Sono queste le quattro domande fondamentali poste — senza ottenere risposte chiare — dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky alla Coalizione. Il vertice di Bruxelles, pur ambizioso nei toni, non è riuscito a sciogliere i nodi più spinosi.
I ministri della Difesa hanno discusso degli scenari possibili, ma la sensazione prevalente è quella di una missione ancora in cerca della propria identità.
Per ora, solo Francia e Regno Unito hanno promesso ufficialmente l’invio di soldati. La loro visione originaria, però, è già in fase di revisione: da una semplice presenza terrestre, si è passati a un’ipotesi più articolata, che contempla truppe a terra, sorveglianza aerea e pattugliamento marittimo. Un’idea in evoluzione, che guarda a una possibile missione tripartita — terra, cielo e mare — pensata più per rassicurare l’Ucraina che per dissuadere Mosca.
Anche il tempismo è cruciale: alcuni Paesi spingono per preparare tutto in anticipo, in modo da schierarsi subito in caso di tregua; altri preferiscono attendere la fine del conflitto, evitando qualunque coinvolgimento attivo sul campo.
Nel frattempo, lo scorso 5 aprile Zelensky ha ricevuto a Kiev i Capi di Stato Maggiore della Difesa di Francia e Regno Unito, Thierry Burkhard e l’ammiraglio Sir Tony Radakin. Un incontro definito “costruttivo”, durante il quale è emerso che la missione potrebbe essere finalizzata entro un mese. Ma tra il dire e il fare resta un vuoto operativo, riempito per ora da bozze, scenari e diplomazie ancora troppo divergenti per passare ai fatti.
La diplomazia della deterrenza
La Coalizione dei volenterosi nasce in un momento di profonda discontinuità nella postura occidentale sul conflitto ucraino. A innescare il tutto è stato il riavvicinamento — unilaterale e opaco — tra Donald Trump e Vladimir Putin, accompagnato da dichiarazioni del tycoon su una sua volontà di “fermare la guerra” forzando le parti a un compromesso.
Per Kiev, un incubo diplomatico. Per Parigi e Londra, un campanello d’allarme. La sensazione che Washington possa sganciarsi dal teatro europeo, lasciando scoperta la frontiera orientale, ha convinto Macron e Starmer — insieme a Berlino, che osserva ma non guida — a muoversi in anticipo. Non solo per prevenire lo scenario peggiore, ma anche per testare la capacità dell’Europa di agire con una propria autonomia strategica, almeno parziale, in uno dei più gravi conflitti dal 1945.
La Coalizione, in questo senso, rappresenta un banco di prova: riuscire a costruire un’architettura di sicurezza europea senza appoggiarsi interamente sulla Nato o sugli Stati Uniti. Ecco perché, anche se la missione si presenterebbe come subordinata a un accordo di pace e condizionata al consenso di Kiev, essa assume un valore politico che va ben oltre il suo contenuto operativo.
“Spetta agli Stati membri fornire i contingenti. Alcuni sono disposti, altri no, ma la questione è: se ci sarà la pace, si tratterà di monitoraggio? Deterrenza? Peacekeeping? Rafforzamento? Difesa? Ci sono diverse opzioni e ogni Paese ha diverse sensibilità” evidenzia l’Alta rappresentante dell’Ue per gli affari esteri, Kaja Kallas.
La Coalizione dei volenterosi, a ben vedere, apre anche un’altra riflessione di fondo: può esistere un esercito europeo senza un’Europa politica coesa? La risposta, per ora, è nei fatti. L’iniziativa è stata avviata da due potenze nucleari (Francia e Regno Unito), di cui una — il Regno Unito — è fuori dall’Unione Europea. I Paesi baltici, i più esposti e motivati, vi aderiscono. Ma i grandi partner dell’Ue, come Italia, Germania e Spagna, restano tiepidi o neutrali.
Il rischio, quindi, è di costruire una cornice geopolitica parallela alla Nato, ma non abbastanza robusta per sostituirla. Né sufficientemente coesa da dare vita a una vera difesa comune europea. In questo senso, la Coalizione potrebbe restare un ibrido: troppo politica per essere solo simbolica, troppo fragile per diventare operativa. Un esperimento che rischia di fermarsi a metà strada.