La Commissione europea ha avviato un’indagine formale contro Google per possibile violazione del Digital Markets Act (Dma). L’ipotesi è che il colosso di Mountain View abbia declassato i siti di media ed editori che ospitano contenuti prodotti da partner commerciali nei risultati di ricerca. Bruxelles intende concludere l’inchiesta entro dodici mesi e, qualora emergessero prove di non conformità, potrebbe imporre sanzioni fino al 10% del fatturato mondiale totale di Alphabet, la holding che controlla Google.
La policy nel mirino di Bruxelles
Nel mirino dell’indagine c’è la “politica sull’abuso della reputazione dei siti” (site reputation abuse policy) introdotta da Google nel 2024. Questa misura punta a contrastare pratiche che possano manipolare il posizionamento nei risultati di ricerca sfruttando l’autorità di domini consolidati. Il monitoraggio della Commissione ha però evidenziato che Google, applicando questa policy, starebbe generando un altro effetto negativo declassando siti web e contenuti di media ed editori quando includono materiali creati da terzi: agenzie, collaboratori esterni o partner commerciali. Il declassamento si traduce in una riduzione del traffico e in una “significativa perdita di fatturato” per gli editori e per i fornitori di contenuti terzi.
Gli obblighi del Dma
Il procedimento intende verificare se Google applichi condizioni eque, ragionevoli e non discriminatorie nell’accesso ai siti web degli editori su Google Search, come previsto dal Digital Markets Act. Il Dma, entrato in vigore nel 2024, disciplina i “gatekeeper” dell’informazione – Google, Meta, Apple, Amazon – impedendo pratiche che distorcono la concorrenza nell’ecosistema delle notizie. Google domina il mercato della ricerca online in Europa con oltre il 90% di quota, ma la Commissione osserva che gli editori hanno “opzioni molto limitate, se non nulle” per rispondere alla policy del colosso americano e ripristinare la propria visibilità online. In questo contesto, evidenzia l’esecutivo europeo, gli editori sono indotti a rinunciare alle partnership commerciali o a far sì che pagine redditizie diventino invisibili.
Le voci da Bruxelles e dall’Italia
Teresa Ribera, vicepresidente della Commissione Ue responsabile della concorrenza, si è detta preoccupata che “le policy di Google non consentano agli editori di notizie di essere trattati in modo equo, ragionevole e non discriminatorio nei risultati di ricerca”. L’obiettivo dell’indagine è “assicurarsi che gli editori non perdano ricavi proprio nel momento più difficile per il settore” e che Google “rispetti il principio di equità, ragionevolezza e non discriminazione previsto dal Dma”. Henna Virkkunen, vicepresidente titolare della sovranità tecnologica, ha sottolineato che l’indagine “punta a proteggere i finanziamenti degli editori, la loro libertà di condurre affari e, in ultima analisi, il pluralismo dei media e la nostra democrazia”. Sul punto è intervenuto anche il sottosegretario all’Editoria italiano, Alberto Barachini, secondo cui “è importante che l’Europa abbia aperto un procedimento per verificare se gli over-the-top diano il corretto spazio all’informazione professionale, giornalistica e di interesse pubblico”.
Le possibili sanzioni e la difesa di Google
In caso di violazione accertata, la Commissione può imporre sanzioni fino al 10% del fatturato mondiale totale dell’azienda e fino al 20% in caso di recidiva. In caso di violazioni sistematiche, la Commissione può adottare anche misure correttive aggiuntive, come l’obbligo per un gatekeeper di vendere un’azienda o parti di essa, oppure il divieto di acquisire servizi aggiuntivi correlati alla non conformità sistemica.
Google ha respinto le accuse attraverso Pandu Nayak, vicepresidente responsabile di Google Search, che ha definito l’indagine “rischiosa per milioni di utenti europei”. L’azienda sottolinea come la sua politica introduca un filtro anti-spam essenziale per garantire risultati di ricerca di qualità, impedendo che i siti “usino tattiche ingannevoli per superare in classifica chi produce contenuti autentici e di valore”.
Il contesto delle battaglie antitrust
L’indagine si inserisce in una crescente tensione tra l’Unione europea e le grandi piattaforme tecnologiche americane. Il presidente Usa Donald Trump, che critica la iper-regolamentazione europea, ha preso ripetutamente posizione a difesa delle Big Tech americane, accusando l’Unione europea di condurre attacchi discriminatori contro le “straordinarie aziende tecnologiche americane” e minacciando ritorsioni concrete quali “sostanziali tariffe aggiuntive” sulle esportazioni europee e “restrizioni all’esportazione su tecnologia e chip” se i Paesi non rimuoveranno le normative digitali che considera discriminatorie.
Negli ultimi anni Bruxelles ha più volte sanzionato Google per pratiche anticoncorrenziali. L’ultima decisione in ordine cronologico è arrivata a settembre 2025, quando la Commissione ha inflitto al gruppo una multa di quasi 3 miliardi di euro per aver favorito i propri servizi di pubblicità digitale a scapito dei concorrenti. Una decisione che, secondo il tycoon, “sottrae di fatto denaro che altrimenti sarebbe andato a investimenti e posti di lavoro americani”. “Il contribuente americano non lo tollererà”, ha aggiunto Trump.
In passato, il colosso è già stato condannato a pagare 4,13 miliardi di euro per Android e 2,42 miliardi per l’abuso di posizione dominante nella ricerca di prodotti. Per la prima volta, però, l’indagine si muove all’interno del nuovo quadro normativo del Digital Markets Act.
