La Russia cerca di “porre fine” al conflitto in Ucraina, “non di congelarlo”. E “non è contraria” alla proposta della Slovacchia di fare da “piattaforma” a eventuali negoziati di pace, “visto che ha una posizione così neutrale” e dunque “per noi è un’alternativa accettabile” alla mediazione degli Stati Uniti o di altri partner europei di Kiev. Lo ha chiarito ieri il presidente russo Vladimir Putin in conferenza stampa dopo la riunione del Consiglio economico supremo eurasiatico tenutosi a San Pietroburgo.
‘No’ a un cessate il fuoco
Una posizione espressa a poche ore dal massiccio attacco condotto il giorno di Natale dalle forze di Mosca, con una pioggia di missili e droni su Kharkiv e poi su altre regioni ucraine, e chiarita dalle parole del ministro degli Esteri Serghei Lavrov: “Finora abbiamo sentito parlare della necessità di arrivare a un cessate il fuoco, ma nessuno nasconde che l’obiettivo di una tregua è quello di guadagnare tempo per continuare a inondare l’Ucraina di armi e consentire alle forze ucraine di raggrupparsi, di mobilitare personale e così via”.
“Un cessate il fuoco è una strada che non porta da nessuna parte”, mentre “sono necessari degli accordi affidabili“, ha osservato il braccio destro di Putin.
Lo stesso Putin a chi gli chiedeva della fine della guerra ha risposto citando un proverbio russo che si può tradurre non letteralmente con “troppo bello per essere vero“. “Questo è quello che dice il nostro popolo: Come bere il miele con le tue labbra”, ha affermato, sottolineando che “ci sforziamo di porre fine al conflitto“.
“Raggiungeremo gli obiettivi dell’operazione militare speciale”
Ma quello che sembrerebbe un timido spiraglio verso la soluzione del conflitto russo-ucraino, che a febbraio compirà tre anni, nasconde un prezzo salato per l’Ucraina che Putin intende riscuotere per intero: il presidente russo ieri ha chiarito che “naturalmente, partiamo dal fatto che raggiungeremo tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale. Questo è generalmente il compito numero uno”. E ha aggiunto che “se si rivelerà necessario, e se constateremo che è richiesto l’uso di armi a medio raggio più potenti, ovviamente le useremo. Ma non abbiamo fretta”. Il riferimento qui è ai missili ipersonici Orechnik, coi quali la scorsa settimana Putin è tornato a minacciare l’Europa intera.
Putin cambia strategia
Dichiarazioni che possono essere lette alla luce di quello che sembra un cambio nella strategia di Putin, soprattutto nella zona più calda, la regione del Donetsk. È l’Institute for the study of war (Isw), think tank statunitense che ogni giorno analizza il conflitto, a spiegare i nuovi piani di Putin, anticipati dallo stesso presidente nella sua conferenza stampa del 19 dicembre.
“Avanziamo ogni giorno, conquistando chilometri quadrati“, ha detto in quell’occasione il leader russo, sostanzialmente confermando un aspetto che si può cogliere osservando i movimenti sul campo, cioè che le truppe di Mosca puntano a ottenere territorio senza concentrarsi su un particolare obiettivo, con l’avanzata verso il nodo logistico di Pokrovsk che sembrerebbe passata in secondo piano.
Perché questo cambio? La Russia, spiegano gli analisti, sta registrando sia perdite, circa 3mila uomini nelle ultime settimane nelle operazioni condotte proprio in direzione di Pokrovsk, sia carenze a livello di rifornimenti logistici.
Dunque, la strategia di Putin ora sarebbe quella di non concentrarsi su target specifici ma di conquistare quanto più territorio possibile, con un doppio risultato: avere maggior peso sul tavolo dei negoziati e avanzare con molto minor sforzo e più velocemente rispetto a città o obiettivi precisi e circoscritti che sono difesi in maniera più organizzata dalle truppe ucraine.
Cala in Europa il consenso a un sostegno a oltranza all’Ucraina
E mentre Putin cambia il suo gioco, da parte europea si inizia a parlare a voce sempre meno bassa di negoziati con la Russia, nonostante le ripetute dichiarazioni di voler sostenere l’Ucraina “whatever It takes“, ovvero con “tutto ciò che è necessario” per parafrasare quanto disse Mario Draghi in difesa dell’euro. Ma non è chiaro cosa sia questo “ciò” che potrebbe essere necessario, mentre cala il consenso dell’opinione pubblica verso un approccio di questo genere.
Un sondaggio YouGov realizzato a dicembre in Francia, Germania, Italia, Spagna, Svezia, Danimarca e Regno Unito, pubblicato pochi giorni fa, segnala infatti un crollo diffuso nel voler sostenere l’Ucraina “fino alla vittoria”, dunque anche se ciò significasse prolungare la guerra.
Il sondaggio ha mostrato che tale consenso è rimasto alto in Svezia (50%) e Danimarca (40%), mentre il Regno Unito è al 36%, ma si registra comunque un calo importante rispetto allo scorso gennaio (rispettivamente 57%, 51% e 50%).
Contemporaneamente, la fine negoziata della guerra con la Russia è diventata l’opzione preferita in quattro Paesi su sette, con percentuali aumentate in Italia dal 45% al 55%, in Spagna dal 38% al 46%, in Francia dal 35% al 43% e in Germania dal 38% al 45%. Sebbene non sia chiaro se il cambiamento rifletta un interesse in calo o una stanchezza crescente, non c’è dubbio che sia un segnale che i governi non possono ignorare.
Lavrov: Francia “ambigua”
Se le armi non portano una soluzione, dovrebbe dunque farlo la diplomazia. E dopo l’incontro, lo scorso 22 dicembre, tra il premier slovacco Robert Fico e Putin a Mosca, ieri il leader russo ha fatto sapere che “Fico ha detto che se ci saranno negoziati, gli slovacchi sarebbero felice di offrirci la piattaforma del suo Paese”. La Slovacchia ha confermato: “Stiamo offrendo il suolo slovacco per questi negoziati”, si legge in un post su Facebook del ministro degli Esteri Juraj Blanak. E Putin ha definito la cosa “un’alternativa accettabile”, apprezzando una neutralità della Slovacchia che a ben vedere è relativa, legata soprattutto a questioni energetiche, ovvero alla fornitura di gas russo a Bratislava.
Se la proposta di Fico sembra comunque aprire un timido spiraglio, almeno per arrivare a sedersi a un tavolo, ieri Lavrov ha accusato la Francia e soprattutto Macron di ambiguità. Secondo il ministro degli Esteri russo, Parigi avrebbe avanzato una proposta di quadro negoziale a Mosca senza apparentemente coinvolgere Kiev: “Diverse volte, attraverso canali chiusi, i nostri colleghi francesi ci hanno contattato, tra l’altro, senza l’Ucraina”.
La Francia ha replicato in modo secco, sottolineando che la responsabilità di porre fine alla guerra è esclusivamente russa, e che qualunque accordo di pace può essere concluso solo alle condizioni poste da Kiev: “Le autorità russe sono abituate a fare dichiarazioni intemperanti per manipolare una guerra di aggressione di cui sono pienamente responsabili. Se la Russia vuole la pace, deve porre fine alla guerra”, ha affermato un funzionario diplomatico francese.
L’ombra di Donald Trump
In una situazione così complessa, non si può infine dimenticare che mancano solo poco più di tre settimane all’insediamento del nuovo presidente degli Stati Uniti: Donald Trump, l’uomo che ha più volte ripetuto che farà cessare la guerra in 24 ore, con tutti i punti interrogativi che questo comporta per il futuro supporto all’Ucraina e la sicurezza dell’Europa.
Mosca prova intanto a definire le condizioni per il vertice fra Trump e Putin, che non è ancora stato fissato. Prima questione: dove si terrà? Il quotidiano russo Izvestia cita esperti secondo cui le località più probabili sono in Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, ovvero Paesi neutrali, impegnati da tempo in uno sforzo di mediazione fra Mosca e Kiev sulla facilitazione degli scambi di prigionieri di guerra (ma anche sul ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia) e che non hanno aderito alla Corte penale internazionale. Izvestia precisa che la Svizzera ha confermato la sua disponibilità a ospitare l’incontro, ma che Mosca non la ritiene un Paese neutrale. Scarse probabilità anche che il vertice si tenga in un Paese europeo, ma non si esclude la Turchia.