Era cominciata come la madre di tutte le guerre commerciali, con un tweet al vetriolo e dazi a pioggia su più di 60 Paesi. Ma poi, nel giro di una manciata d’ore, Donald Trump ha ribaltato il tavolo: tregua per tutti – o quasi – e un’improvvisa marcia indietro. “Pausa di 90 giorni”, annuncia il presidente, mentre Wall Street si scrolla di dosso la paura e si lancia in un rally da record. L’unica a restare esclusa dall’armistizio è la Cina, bersaglio preferito del tycoon, che rincara la dose con una nuova ondata di tariffe: +125%. Pechino reagisce con un clamoroso 84%, mentre le Borse impazziscono e i mercati obbligazionari tremano. Ma Trump, con il suo stile inconfondibile, ostenta sicurezza: “La gente si stava agitando. Dovevamo fare qualcosa. È tutto sotto controllo”.
Dietro il dietrofront si cela una strategia più fluida di quanto sembri. Il presidente americano ha lasciato in piedi la tariffa base del 10% su tutte le importazioni, ma ha bloccato per tre mesi le imposte aggiuntive verso i Paesi che non hanno reagito, tra cui l’Unione europea. “Chi ha risposto con ritorsioni, invece, si becca il doppio”, spiega Trump. E infatti, con la Cina, non si scherza: escalation su escalation, in una spirale che mette in allarme anche l’Organizzazione Mondiale del Commercio. Eppure, Trump giura di voler trattare con tutti. Anche con Pechino. “Si può fare un accordo con tutti, io voglio solo che sia giusto per l’America. E per il mondo”.
Tregua (strategica) con l’Europa e gli altri partner
È bastato un annuncio per risollevare gli umori di Wall Street e placare – almeno in apparenza – il panico globale. Quando Trump ha comunicato il blocco dei dazi extra, gli indici azionari americani hanno preso il volo: il Dow Jones ha guadagnato il 7,87%, lo S&P 500 è salito del 9,5% e il Nasdaq ha fatto segnare un impressionante +12,16%. Tutto questo, dopo cinque giorni da incubo sui mercati mondiali, scossi da vendite massicce, crolli miliardari e un’impennata del tasso d’interesse sui titoli di Stato americani al 4,5% – il livello più alto da febbraio. Gli analisti parlavano già di rischio recessione. Ma Trump, con la consueta teatralità, ha cambiato copione all’ultimo atto.
Dietro la decisione del presidente di congelare le tariffe aggiuntive c’è la consapevolezza che una crisi di fiducia dei mercati potrebbe colpire direttamente l’economia americana. Il suo stesso entourage – seppur con toni diversi – lascia intendere che la “pausa” sia stata un atto di realismo. Il segretario al Tesoro Scott Bessent nega che il dietrofront sia stato dettato dal tracollo finanziario, ma in realtà anche la Casa Bianca si è trovata costretta a reagire alla tempesta che aveva innescato. E a Washington si mormora che dietro le quinte ci siano state pressioni fortissime da parte di gruppi industriali e grandi investitori.
L’Unione europea, per il momento, tira un sospiro di sollievo. Inserita inizialmente nella lista dei “peggiori trasgressori”, insieme a Vietnam, Sudafrica e molti altri, Bruxelles si era già preparata a controbattere con dazi mirati tra il 10% e il 25%, ma non aveva ancora dato il via libera all’entrata in vigore delle misure. Questo tempismo – o cautela diplomatica – ha giocato a favore della tregua: l’Ue è finita nel gruppo dei Paesi “non ritorsivi”, premiati con la moratoria di 90 giorni e la tariffa base del 10%.
La Cina resta il bersaglio numero uno
Se con l’Europa Trump cerca una trattativa, con la Cina siamo nel pieno di una vera e propria guerra commerciale. Non bastavano i dazi del 20% già imposti a inizio anno, né l’ulteriore 34% annunciato pochi giorni fa. La nuova mossa del presidente è di portare l’asticella al 125% su tutte le merci cinesi, accusando Pechino di mancanza di rispetto. Una risposta muscolare all’84% di ritorsioni deciso da Xi Jinping, che ha promesso di “combattere fino alla fine” se Washington insisterà con “le provocazioni e l’aggressione economica”.
Nel frattempo, il commercio tra le due superpotenze rischia una paralisi: secondo l’Organizzazione Mondiale del Commercio, le esportazioni bilaterali potrebbero ridursi fino all’80%, con una perdita di oltre 460 miliardi di dollari. Il direttore generale del WTO, Ngozi Okonjo-Iweala, ha parlato di “rischi enormi per la stabilità del commercio globale” e ha invitato alla massima prudenza. Ma Trump tira dritto, convinto che la Cina prima o poi dovrà cedere. “La Cina è stata il Paese che più di tutti ha abusato di noi, ma non incolpo i cinesi”, ha dichiarato.
La retorica resta aggressiva, ma tra le righe emerge anche una certa ambiguità. Il presidente ha infatti affermato di avere “grande rispetto” per Xi Jinping, definendolo “un uomo orgoglioso, che però non sa come uscire da questa situazione”. E ha aggiunto: “Lo conosco bene, lo rispetto. Alla fine capiranno che vogliono un accordo. Ci arriveranno”. Una dichiarazione che sembra aprire – almeno in teoria – alla possibilità di un negoziato. Ma le condizioni poste dalla Casa Bianca appaiono ancora rigide: “Non si tratta solo di commercio – ha spiegato Trump – si tratta di rispetto reciproco, di correttezza, di sovranità economica”. Concetti volutamente vaghi, ma che lasciano intuire che la soluzione non sarà né rapida né semplice.