L’Ucraina entra nella Cpi, Mosca: “atto ostile”

Ma spunta la deroga per sette anni, che scatena le critiche di Amnesty International
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Volodymyr Zelensky
Il presidente ucraino Zelensky nella regione ucraina di Volinia

L’ingresso formale dell’Ucraina nella Corte penale internazionale (Cpi) rappresenta un evento cruciale nel panorama giuridico e geopolitico europeo e globale mentre Mosca continua ad attaccare Kiev. A L’Aia, ieri, 17 luglio 2025, l’ambasciatore ucraino Andriy Kostin ha ricevuto dalle mani della presidente Tomoko Akane il testo dello Statuto di Roma, atto simbolico che sancisce la volontà di Kiev di affidarsi ai meccanismi della giustizia penale internazionale. Un gesto arrivato dopo anni di guerra, indagini sulle violazioni dei diritti umani e una pressione internazionale crescente sulla necessità di assicurare i responsabili dei crimini più gravi a processi imparziali e trasparenti.

L’adesione dell’Ucraina alla Cpi, che sale a 125 Paesi membri, arriva dopo le numerose accuse di crimini contro l’umanità mosse nei confronti dell’esercito russo sia dall’Ucraina che dal consesso internazionale. L’ingresso nella Corte, accolto da Amnesty International come “passo fondamentale perché ci sia giustizia per le vittime dei crimini di diritto internazionale commessi durante l’invasione russa”, risponde alla duplice esigenza di giustizia per il passato e deterrenza per il futuro.

Cosa cambia a livello pratico

Prima della ratifica, l’Ucraina aveva già concesso in modo limitato la giurisdizione alla Cpi per indagare sui reati commessi dal 2014 (anno in cui la Russia annesse la Crimea) in poi, grazie a dichiarazioni ad hoc che avevano permesso di bypassare la mancata partecipazione formale di Kiev alla Corte. Ora, invece, il Paese diviene membro della Cpi a pieno titolo. Questo implica:

  • l’obbligo di collaborare con la Corte;
  • l’applicazione integrale dello Statuto di Roma;
  • in prospettiva, la conseguenza che anche azioni di cittadini ucraini potranno essere sottoposte al giudizio de L’Aja.

Per questi motivi, l’adesione all’organismo con sede nell’Aia rafforza la credibilità del sistema occidentale e della strategia ucraina di contrapporre la legalità internazionale alla legge della forza scelta e ribadita da Mosca con le dichiarazioni degli scorsi giorni.

Nuovi obblighi per le autorità ucraine

  • L’Ucraina dovrà consegnare eventuali soggetti accusati di crimini internazionali alla Corte, qualora richiesto;
  • Tutte le autorità statali, compresi apparati di polizia e magistratura, dovranno collaborare con i team investigativi della Cpi e fornire accesso a prove, documenti e testimonianze su presunti crimini contro l’umanità, crimini di guerra, genocidi e – se verrà estesa la giurisdizione – crimini di aggressione;
  • Anche la responsabilità dei militari e dei funzionari ucraini sarà oggetto di scrutinio, se venissero presentate sufficienti prove di reati.

Ambiguità, limiti e la deroga di sette anni

Il parlamento ucraino ha inserito – come già previsto dall’articolo 124 dello Statuto – una deroga di sette anni: per questo periodo la Cpi non potrà giudicare crimini di guerra probabilmente commessi da cittadini ucraini. Una deroga criticata da Amnesty International e da esperti di diritto internazionale, che la considerano rischiosa sul piano dell’efficacia delle indagini e della parità di trattamento davanti alla giustizia.

Le indagini già in corso: Putin e i mandati d’arresto

La Corte aveva già emesso, nel marzo 2023, mandati d’arresto per il presidente russo Vladimir Putin e la commissaria russa Maria Lvova-Belova, accusati di deportazione illegale di minori dall’Ucraina verso la Russia. Con l’ingresso di Kiev nella Corte come membro effettivo, sarà più difficile per Mosca sostenere l’illegittimità delle indagini internazionali e più facile per la Cpi cooperare con autorità statali ucraine per raccogliere prove, proteggere testimoni, realizzare accertamenti forensi e integrare reti di giustizia locale e internazionale.

Mosca parla di “atto ostile” e non fa parte della Cpi: quali conseguenze per Kiev?

Il Cremlino definisce l’ingresso dell’Ucraina nella Cpi “un atto ostile”. L’Occidente, invece, interpreta questo step come un ulteriore disallineamento tra i due Paesi e fattore di deterrenza per nuovi abusi militari.

Ci sono però alcuni limiti sul piano internazionale: a differenza dell’Ucraina, attori geopolitici come Russia, Stati Uniti, Israele non hanno aderito alla Cpi e questo indebolisce gli effetti benefici dati a Kiev dall’adesione alla Corte dal momento che questi Paesi (i primi due nel caso ucraino) non sono costretti a collaborare con l’Aia. La complessità delle indagini, l’impossibilità di processi in contumacia e la cooperazione incerta di alcuni Stati renderanno arduo vedere processi e sentenze in tempi rapidi, ma la pressione dell’opinione pubblica e di organismi europei e Onu si fa crescente.

Russia, Usa e Israele, tre colossi fuori dalla Cpi

La Russia non ha mai ratificato lo Statuto di Roma, pur avendone firmato la versione iniziale nel 2000; nel 2016 ha formalmente ritirato la firma in segno di protesta per le indagini della Corte sul conflitto in Crimea.
Israele, pur avendo partecipato ai negoziati, non ha mai ratificato lo Statuto, temendo che la Corte possa adottare misure contro la sua politica degli insediamenti nei territori palestinesi.
In seguito al massacro della popolazione gazawa, il 21 novembre 2024 la Cpi ha emesso mandati di arresto per il premier israeliano Netanyahu e l’ex ministro della difesa Gallant. Il fatto che, nonostante il mandato, Netanyahu non sia mai stato arrestato nei suoi spostamenti successivi all’incriminazione internazionale ha indebolito gravemente la credibilità della Corte penale internazionale.

Più particolare la situazione degli Stati Uniti d’America che firmarono lo Statuto di Roma nel 2000, ma ritirarono la firma nel 2002 per timori legati a possibili accuse contro propri militari e funzionari, ritenendo la Corte uno strumento a rischio politicizzazione e una minaccia alla sovranità nazionale. Le due presidenze Trump ha incrinato ulteriormente i rapporti tra Washington e l’Aia.

Nel 2020, verso la fine del primo mandato, il presidente Usa aveva firmato un ordine esecutivo che prevedeva sanzioni contro figure chiave della Cpi, in particolare la procuratrice dell’epoca Fatou Bensouda, a causa delle indagini riguardanti ipotesi di crimini di guerra commessi da militari statunitensi in Afghanistan e da parte di alleati come Israele. Queste misure includevano il congelamento dei beni e il divieto d’ingresso negli Stati Uniti.

Con il suo ritorno alla Casa Bianca, il tycoon ha rincarato la dose. A febbraio 2025, l’amministrazione repubblicana ha reintrodotto ed esteso le misure contro la Cpi, prendendo di mira direttamente l’attuale procuratore capo Karim Khan attraverso uno specifico ordine esecutivo. L’intenzione dichiarata era quella di colpire chiunque indagasse o perseguisse cittadini americani o alleati stretti come Israele. Questa escalation si è verificata in risposta ai mandati d’arresto contro leader israeliani emanati dalla Corte e ha avuto effetti immediati anche sulle attività quotidiane di Khan, come il blocco di conti bancari e il divieto di accesso a strumenti digitali fondamentali per il suo lavoro.

Un passo verso l’Europa

Nonostante i tentativi di indebolire la Cpi, l’adesione di Kiev è interpretata anche come tassello essenziale del percorso di avvicinamento dell’Ucraina ai valori fondanti dell’Unione europea: stato di diritto, rispetto dei diritti umani, rifiuto dell’impunità. Un segnale politico e valoriale forte, che si inserisce tra le riforme richieste da Bruxelles nell’ambito del processo di candidatura all’Ue.