Trump e l’“onore” di essere chiamato “presidente d’Europa”

Dal faccia a faccia con Putin all’incontro con Zelensky, il presidente americano trasforma la pressione europea in autocelebrazione. Ma i sondaggi lo portano ai minimi dall’inizio del mandato.
8 ore fa
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Trump Microfono Afp
Donald Trump (Afp)

“Mi chiamano il presidente d’Europa”. Con queste parole Donald Trump ha rivendicato un soprannome con cui i leader del Vecchio Continente lo chiamerebbero scherzosamente. Il tycoon ha pronunciato la frase con tono compiaciuto: “Loro mi chiamano il presidente d’Europa, ed è un onore. Mi piace l’Europa e mi piacciono quelle persone”. Un’affermazione priva di riscontri, che ha rapidamente fatto il giro dei media e scatenato una reazione ironica sui social network.

L’incontro con i leader europei e l’ombra di Putin

Dietro l’autoproclamazione a “presidente d’Europa” c’è un episodio reale, ma con contorni molto diversi da come li ha descritti Trump. La scorsa settimana, sette capi di Stato e di governo europei – il presidente francese Emmanuel Macron, la presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni, il premier britannico Keir Starmer, il cancelliere tedesco Friedrich Merz, il presidente finlandese Alexander Stubb, il segretario generale della Nato Mark Rutte e la numero uno della Commissione europea Ursula von der Leyen – si sono recati a Washington insieme al presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy. Obiettivo: convincere Trump a non allentare il sostegno militare e finanziario a Kiev nel pieno della guerra con la Russia.

L’incontro si è svolto in un clima di urgenza, pochi giorni dopo un summit tra Trump e Vladimir Putin in Alaska. Quella riunione, la prima faccia a faccia tra i due dal 2019, aveva fatto suonare diversi campanelli d’allarme nelle capitali europee. I leader del Vecchio Continente hanno temuto che Trump potesse cedere terreno al Cremlino, accettando una formula di compromesso che di fatto sancirebbe una resa ucraina. Il pressing collettivo a Washington è stato quindi un tentativo di ancorare l’amministrazione americana alla linea della continuità: sostegno a Kiev, nessuna concessione a Mosca.

Secondo Trump, l’incontro sarebbe stato “unico” per la rappresentanza numerica: “Mai accaduto prima che 38 nazioni fossero rappresentate nella Casa Bianca”, ha insistito. In realtà il formato dell’incontro era ben più ristretto e mirato ed il conteggio, oltre a essere confuso, non corrisponde a un riconoscimento politico del suo ruolo. L’impressione, osservata da diplomatici presenti, è che il presidente abbia voluto trasformare un vertice di pressione nei suoi confronti in una prova di prestigio personale. In questo quadro, la battuta sul “presidente d’Europa” appare come il riflesso di una strategia comunicativa che punta a ribaltare la percezione degli eventi.

Il fronte europeo, tuttavia, resta diviso sulla gestione di Trump. Alcuni governi mantengono una linea di cautela, temendo conseguenze sui rapporti bilaterali con Washington, altri – come Berlino e Parigi – esprimono apertamente scetticismo sulla sua capacità di negoziare con Mosca. E i dati sui sondaggi americani sembrano dare ragione a questa prudenza.

Calo di consenso interno e polarizzazione negli Stati Uniti

Se Trump intende accreditarsi come figura centrale anche negli equilibri europei, il suo capitale politico interno non lo aiuta. Il consenso personale è sceso al 40%, minimo dall’inizio del secondo mandato. Un sondaggio Reuters/Ipsos registra un calo di sette punti rispetto all’avvio della presidenza, segnalando il malcontento crescente per la gestione della guerra in Ucraina.

Indagini parallele – Wall Street Journal, Pew Research Center e Fox News – convergono su un dato: solo il 41% degli americani approva l’operato del presidente sul conflitto, mentre la maggioranza (oltre il 50%) boccia la sua condotta. La disapprovazione riguarda soprattutto la mancanza di risultati concreti con Mosca e l’impressione che Trump alterni rigidità e concessioni senza una strategia coerente.

Paradossalmente, mentre la fiducia in Trump cala, cresce il sostegno all’invio di aiuti a Kiev. A luglio, il 58% degli intervistati dal Wall Street Journal si è detto favorevole a fornire nuovi fondi, contro il 36% di contrari. A gennaio, i favorevoli erano il 46%. Il cambiamento riflette una percezione più netta della minaccia russa e un sostegno più solido al governo ucraino.

Sul fronte interno, il presidente deve anche fronteggiare contestazioni legate alla militarizzazione di Washington. Lo schieramento della Guardia Nazionale e il tentativo di imporre il controllo federale sulla polizia locale hanno suscitato forti resistenze. Secondo un sondaggio del Washington Post/Schar School, il 79% dei residenti della capitale si oppone alla misura, con un crollo delle attività commerciali nel centro città. La popolarità di Trump a Washington resta marginale: alle presidenziali 2024 aveva raccolto appena il 6% dei voti.

L’altra faccia della presidenza Trump

La frase sul “presidente d’Europa” è stata pronunciata durante un’apparizione nell’Oval Office, subito dopo la firma di un controverso ordine esecutivo che criminalizza il gesto di bruciare la bandiera americana: il presidente ha reso perseguibile un atto che la Corte Suprema, nel 1989, aveva invece riconosciuto come forma di libertà di espressione tutelata dal Primo emendamento.

Secondo la nuova normativa, chi viene riconosciuto colpevole rischia fino a un anno di carcere senza possibilità di rilascio anticipato. Per i cittadini stranieri la misura è ancora più severa: revoca dei visti, diniego di green card e persino deportazione. “Quella del 1989 fu una decisione molto triste”, ha dichiarato Trump, giustificando la sua scelta con l’esigenza di tutelare l’ordine pubblico.

Questa linea dura si accompagna a dichiarazioni altrettanto controverse sull’uso delle forze armate nelle città americane. Criticato per l’invio della Guardia Nazionale a Washington, Trump ha replicato sostenendo che alcune persone pensano che un dittatore potrebbe “piacere”. Ha poi aggiunto: “Non sono un dittatore. Sono un uomo con grande buon senso e sono una persona intelligente”. Una frase che alimenta ulteriormente il dibattito sul suo stile di governo, percepito da una parte consistente della popolazione come autoritario.

La narrazione di Trump come “presidente d’Europa” ha quindi trovato terreno fertile per essere smontata da più fronti. Da un lato, l’assenza di qualsiasi riscontro nei fatti. Dall’altro, la distanza crescente tra la sua immagine proiettata e la realtà interna: popolarità in calo, politiche contestate, percezione di una leadership che si affida più alle trovate mediatiche che ai risultati tangibili. Le reazioni non sono mancate, come quella su X di Carlo Calenda, leader di Azione: “Trump dice che lo chiamano il presidente d’Europa. Ora basta. Qualcuno, qualcuno per carità di patria che risponda a questo clown dall’Europa. Senza dignità non esiste identità. Senza identità non esiste l’Europa”.

Bruxelles ha scelto il silenzio. Ma il silenzio non sempre equivale a consenso.