Anche il tribunale di Catania contro il dl “Paesi sicuri”: ira del governo e caos con la normativa Ue

Non convalidato il trattenimento di un migrante egiziano: “L’Egitto non è un Paese sicuro”
1 mese fa
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Migrante

È sempre più caos sul decreto “Paesi sicuri” dopo che anche il tribunale di Catania si è opposto al provvedimento italiano sottolineandone l’incompatibilità con quello europeo. Con la sentenza di ieri, lunedì 4 novembre, il tribunale di primo grado non ha convalidato il trattenimento di un migrante egiziano disposto il 2 novembre scorso dalla questura di Ragusa.

Con la sentenza, firmata dal presidente della sezione specializzata nella Protezione internazionale Massimo Escher, il tribunale ha scelto di non applicare il decreto-legge del 21 ottobre con cui il Consiglio dei ministri era intervenuto per rendere operativi i discussi centri per i migranti costruiti in Albania. La decisione del tribunale di Catania è soltanto l’ultima in ordine cronologico di una giurisprudenza che prosegue da settimane, soprattutto dopo che la Corte di Giustizia europea ha bocciato il criterio dei “Paesi sicuri” con la sentenza del 4 ottobre.

Quando i tribunali italiani hanno dovuto decidere se convalidare o meno il trattenimento di un richiedente asilo la cui richiesta era stata esaminata con la “procedura accelerata”, cioè quelli che provengono da un Paese considerato “sicuro” secondo la normativa italiana, hanno sempre deciso di non convalidare il trattenimento.

Il caso di Catania

Il provvedimento di “non convalida” riguarda un egiziano che a Pozzallo aveva fatto richiesta di protezione internazionale e per il quale era stata sollecitata la convalida del trattenimento, previsto dalla procedura accelerata, emesso dal questore di Ragusa. Per il tribunale di Catania, la classificazione dell’Egitto come Paese sicuro non basta a presumere che lo sia per il singolo richiedente. Ma facciamo un passo indietro.

In base al dl dello scorso 23 ottobre, Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia sono Paesi sicuri per gran parte della popolazione, con delle eccezioni per i gruppi vulnerabili come le comunità LGBTQI+ o gli oppositori politici.
Questa classificazione non è condivisa dalla Cgue, che ha lanciato un avvertimento indiretto all’Italia decidendo sul caso di un cittadino moldavo in Repubblica Ceca. In quel caso, Lussemburgo ha stabilito che non è ammissibile escludere aree geografiche o gruppi di persone da questa designazione, un principio che invalida il concetto di “sicurezza parziale” applicato dall’Italia. Per la Corte, un Paese non può essere designato sicuro solo per alcune categorie di persone: o è sicuro per tutti o non lo è per nessuno.

A questo si aggiungono le riflessioni del giudice Escher che, nelle dodici pagine del provvedimento di “non convalida” del trattenimento, fa riferimento alla direttiva 2005/85/CE dove si evidenzia “la sicurezza di un paese terzo come criterio fondamentale per stabilire la fondatezza della domanda di asilo”. L’introduzione del Paese sicuro, invece, renderebbe infondata la domanda di protezione per uno specifico richiedente “a meno che quest’ultimo ‘non adduca controindicazioni fondate’, cioè non invochi ‘gravi motivi per ritenere che quel paese non sia un paese di origine sicuro nelle circostanze specifiche in cui si trova il richiedente stesso e per quanto riguarda la sua qualifica di rifugiato a norma della direttiva 2004/83/CE’”, si legge ancora nel provvedimento.

I reati in Egitto richiamati dal giudice

Il tribunale di Catania fa il punto sulla situazione dei diritti in Egitto, sottolineando le “gravi criticità”: pena di morte, torture, repressione del dissenso e dei diritti delle persone Lgbti.

È lo stesso presidente della sezione a dare i numeri: “Secondo il rapporto di Amnesty International sulla pena di morte nel mondo nel 2022, le esecuzioni in Egitto nel 2022 sarebbero diminuite rispetto al 2021 (da 83 a 24), ma le condanne a morte sarebbero aumentate rispetto al 2021 (da 356 a 538). Sempre secondo il rapporto di Amnesty International, le esecuzioni capitali sarebbero effettuate tramite impiccagione. Il 3 aprile 2024 un gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha pubblicato un comunicato, con il quale esprime preoccupazione per le sentenze a morte comminate a sette individui accusati di crimini legati al terrorismo. Ad avviso degli esperti ONU, in questi casi non sarebbero stati rispettati i principi del giusto processo e sarebbero state commesse violazioni dei diritti umani, tra cui tortura e confessioni forzate”.

La situazione è preoccupante e dispotica, con la quasi totale repressione della libertà di stampa e di parola, anche sui social media: “nell’ultimo rapporto del Comitato sulla tortura delle Nazioni Unite, che ha affrontato anche la situazione in Egitto, si esprime preoccupazione per il fatto che la legislazione anti-terrorismo contenga definizioni molto vaghe delle fattispecie legate al terrorismo, che sono usate per “mettere a tacere” i critici del Governo. Il Comitato ha espresso preoccupazione per denunce di arresti arbitrari, detenzioni illegali, maltrattamenti, sparizioni forzate, mancanza di garanzie processuali e del giusto processo”, spiega il giudice.

Le Coi della legge italiana

Una situazione di cui l’Italia non è totalmente ignara, tanto che in base alle Country of origin information (Coi) del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale “Si ritengono necessarie eccezioni per gli oppositori politici, i dissidenti, gli attivisti e i difensori dei diritti umani o per coloro che possano ricadere nei motivi di persecuzione”. Il problema è che queste eccezioni non sono state espressamente richiamate nel decreto legge sui “Paesi sicuri”, ma sono la premessa con cui il tribunale di Catania non ha convalidato il trattenimento.  

Il decreto crea confusione anche con il diritto comunitario, come evidenziato la scorsa settimana dal tribunale di Bologna che ha chiesto a Lussemburgo quale normativa applicare, sottolineando che applicare quella italiana sarebbe significato disapplicare quella comunitaria e viceversa.

La reazione del governo

L’ennesima disapplicazione della normativa italiana sui migranti ha provocato l’ira del governo che però non ha alcuna intenzione di rivedere il decreto-legge, come riferiscono fonti di governo all’Adnkronos: “anche perché quel che sta accadendo conferma quel che sostenevamo sin dal principio: il problema non è il Memorandum firmato con Tirana, il problema vero è che, stando alle pronunce di alcuni giudici, i rimpatri non avrebbero più ragione d’essere, dovremmo tenerci tutti gli irregolari in Italia. E così non può andare…”

Il vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini: “Per colpa di alcuni giudici comunisti che non applicano le leggi, il Paese insicuro ormai è l’Italia. Ma noi non ci arrendiamo”, promette il leader della Lega.

Per approfondire: “Migranti, nuovo stop da tribunale. Ira governo: “È no a rimpatri, ma avanti con Albania”

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