Dopo la vicenda dei sedici migranti che sono dovuti tornare in Italia dopo il viaggio verso l’Albania, continua a tenere banco il decreto legge sui “Paesi sicuri”. Il Tribunale di Bologna ha infatti chiesto alla Corte di giustizia dell’Unione europea se deve essere applicato o disapplicato il decreto legge del 21 ottobre con cui il governo Meloni ha stilato la lista dei Paesi che ritiene “sicuri” per rimpatriarvi i migranti espulsi dall’Italia.
Secondo i giudici di primo grado, i criteri usati nel decreto per la qualificazione di un Paese come “sicuro” contrastano con il diritto europeo. Il 4 ottobre, la Cgue ha già bocciato la definizione di “Paesi d’origine sicuri” utilizzata nell’accordo Italia-Albania sui migranti.
“Paesi sicuri” cosa dice il decreto
In base alla normativa italiana, Paesi come Tunisia, Egitto, Bangladesh e altri sono sicuri per gran parte della popolazione, ma con delle eccezioni per gruppi vulnerabili come le comunità LGBTQI+ o gli oppositori politici. Una situazione che, chiarisce la Corte, discriminerebbe i cittadini europei. L’avvertimento indiretto per l’Italia arriva dalla sentenza con cui la Cgue si è espressa su un caso riguardante un cittadino moldavo in Repubblica Ceca, laddove ha stabilito che non è ammissibile escludere aree geografiche o gruppi di persone da questa designazione, un principio che invalida il concetto di “sicurezza parziale” applicato dall’Italia.
Per Lussemburgo un Paese non può essere designato sicuro solo per alcune categorie di persone: o è sicuro per tutti o non lo è per nessuno.
I risvolti pratici di questa decisione si sono visti qualche giorno dopo con il rientro in Italia dei 16 migranti (dieci bengalesi e sei egiziani) prima portati in Albania dalla Marina italiana. Dal canto suo, Giorgia Meloni non fa nessun passo indietro nonostante il danno erariale: “molti Paesi guardano al piano Italia-Albania come un modello”, ha detto la presidente del Consiglio. Nel frattempo, S&D ha avvisato la presidente delle Commissione: se appoggerà il piano migranti tra Roma e Tirana, verrà meno il sostegno dei socialisti all’esecutivo VDL.
La richiesta del Tribunale di Bologna riguarda il decreto approvato velocemente dal governo Meloni dopo che il 18 ottobre il Tribunale di Roma non aveva convalidato il fermo per i dodici migranti sbarcati in Albania (e poi riportati in Italia, come gli altri quattro). In quella occasione, il governo ha definito sicuri 19 Paesi per legittimare il trasferimento in Albania dei migranti che provengono da quei Paesi (se le loro richieste di asilo vengono respinte in Italia).
Migranti, il contrasto tra le norme nazionali e quelle Ue
I giudici di Bologna hanno sollevato la questione alla Cgue perché le regole con cui il governo italiano ha scelto di definire sicuri i 19 Paesi contrasta con la normativa europea in vigore (fino al 2026).
Il quesito posto a Lussemburgo è semplice: quale normativa devono applicare i tribunali italiani? Quella nazionale o quella europea?
L’immigrazione è la materia sovranazionale per antonomasia, e in base al diritto comunitario le norme dei Paesi membri sull’immigrazione devono sempre rispondere al diritto europeo. La risposta, tuttavia, potrebbe essere meno scontata del previsto perché il Parlamento europeo ha già approvato un regolamento che introduce il concetto di Paesi “parzialmente sicuri”, che entrerà in vigore dal 2026.
Il governo italiano ritiene che la sentenza emanata il 4 ottobre dalla Cgue non può essere considerata vincolante perché sarebbe “estremamente complessa, difficilmente trasferibile a ciò che accade in via ordinaria nei flussi migratori”, citando il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, e appunto perché il Parlamento europeo ha già approvato un nuovo Regolamento che entrerà in vigore nel 2026 e modifica il concetto di Paese sicuro introducendo il concetto di “sicurezza parziale”.
La Germania di Hitler era sicura? Le perplessità dei giudici di Bologna
Tra le righe della richiesta dei giudici di Bologna emergono dei dubbi anche sul nuovo regolamento europeo non entrato ancora in vigore: “Salvo casi eccezionali (lo sono stati, forse, i casi limite della Romania durante il regime di Ceausescu o della Cambogia di Pol Pot), la persecuzione è sempre esercitata da una maggioranza contro alcune minoranze, a volte molto ridotte. Si potrebbe dire, paradossalmente, che la Germania sotto il regime nazista era un paese estremamente sicuro per la stragrande maggioranza della popolazione tedesca: fatti salvi gli ebrei, gli omosessuali, gli oppositori politici, le persone di etnia rom ed altri gruppi minoritari, oltre 60 milioni di tedeschi vantavano una condizione di sicurezza invidiabile. Lo stesso può dirsi dell’Italia sotto il regime fascista. Se si dovesse ritenere sicuro un Paese quando la sicurezza è garantita alla generalità della popolazione, la nozione giuridica di Paese di origine sicuro si potrebbe applicare a pressoché tutti i Paesi del mondo, e sarebbe, dunque, una nozione priva di qualsiasi consistenza giuridica”, concludono i giudici che chiedono alla Cgue come risolvere il conflitto nel caso in cui le normative nazionali siano di rango primario, ovvero adottate con legge ordinaria.
Da qui la richiesta alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea di chiarire “se la presenza di forme persecutorie o di esposizione a danno grave concernenti un unico gruppo sociale di difficile identificazione — quali ad esempio le persone lgbtiqa+, le minoranze etniche o religiose, le donne esposte a violenza di genere o a tratta ecc… – escluda detta designazione” come Paese sicuro.