Comunicazioni, sicurezza nazionale e ingerenze straniere. La partita intorno allo Spazio si fa sempre più serrata e continua ad alimentare polemiche, nei giorni in cui il ddl Spazio approda al Senato. Il ‘casus belli’ stavolta è la partecipazione di Stephanie Bednarek, direttrice commerciale di SpaceX – l’azienda di Starlink, di proprietà di Elon Musk – alla AeroSpace Power Conference, un evento organizzato alla Nuvola di Roma dall’aeronautica militare italiana. Bednarek, che in precedenza guidava la divisione “affari governativi” dell’azienda, il 9 maggio parlerà ad un panel dedicato alla competizione strategica nello spazio extra-atmosferico.
Una presenza che ha fatto rumore, tanto che Andrea Casu, deputato del Pd, ha presentato un’interrogazione al ministro della Difesa Guido Crosetto per chiedere innanzitutto a che titolo sia la partecipazione della manager, e nello specifico se SpaceX sia un semplice sponsor dell’evento o se ci sia l’intenzione di estendere accordi commerciali con privati in ambito pubblico e di difesa.
Andrea Casu: “In queste ore segnali inquietanti”
Il punto fondamentale messo in luce da Casu è la sicurezza nazionale, visti i “segnali inquietanti che arrivano in queste ore”. Il riferimento, oltre alla presenza della responsabile vendite di SpaceX alla conferenza organizzata dall’Aeronautica, è alle recenti affermazioni di Andrea Stroppa, considerato l’uomo di Musk in Italia. Secondo il deputato, Stroppa è intervenuto su questioni che riguardano la difesa e la sicurezza nazionale: “Sta cercando di esercitare nuovamente indebite pressioni anche sulle scelte militari, dopo averlo fatto sul piano legislativo quando abbiamo discusso gli emendamenti al Ddl Spazio”?, chiede Casu.
Per capire a cosa si riferisce il deputato, occorre tornare allo scorso 26 febbraio, quando alla Camera era in discussione il provvedimento sulla Space Economy. In quell’occasione, Stroppa scriveva su X: “Per inciso, e per chi non ha seguito la nascita della legge italiana sullo spazio: questa regola anche la parte sulle comunicazioni satellitari. In questi mesi c’è stato un valzer tra “tecnologie europee” e tecnologie dei “Paesi NATO”. A un certo punto stavano per vietare tutte le tecnologie non europee, come Starlink. Poi si sono resi conto che sarebbero stati gli unici in Europa e nell’Occidente a fare una cosa del genere e si sono fermati. Peraltro, senza un motivo reale. Nel frattempo, qualcuno ha iniziato a diffondere l’idea che con pochi soldi e poco tempo l’Italia potesse creare un proprio Starlink nazionale. Fortunatamente per i contribuenti, le menti più lucide hanno ricordato che Paesi come Cina, Russia e India, che dispongono di vettori e accesso allo spazio, non hanno sistemi complessi come Starlink. Sistemi che richiedono anni di duro lavoro, assenza di burocrazia e miliardi di investimenti. A quel punto, però, il dado era tratto: cavalcando le polemiche, il DDL sullo spazio è diventato uno strumento per tirare per la giacca un sistema satellitare americano. “Non possiamo fidarci!” “Non è sicuro!” [anche se da anni permette di comunicare in sicurezza nei teatri di guerra]. “Non possiamo collaborare perché minacciano di staccarlo agli ucraini” [quando, in realtà, è ancora attivo e non c’è stata alcuna minaccia, se non la notizia – smentita – di Reuters che citava, guarda caso, fonti anonime]. Starlink non è il giocattolo della politica. È una tecnologia rivoluzionaria che garantisce l’accesso a Internet a milioni di persone nei luoghi più remoti del pianeta. Ha contribuito alla sicurezza nei teatri di guerra e durante disastri naturali. Dà lavoro a decine di migliaia di persone. Permette ai medici di fare telemedicina, come sta accadendo a Gaza. Consente a migliaia di scuole nell’Africa centrale di connettersi a Internet. Il PD ha impostato il suo contributo alla legge come una crociata anti-Musk, e FdI gli è andata dietro. Ripeto: Starlink non è il giocattolo della politica”.
Le polemiche sul ddl Spazio
Il ddl Spazio è stato poi approvato il 6 marzo – con 133 sì, 89 no e 2 astenuti – tra le polemiche: il testo non aveva fatto propri due emendamenti che chiedevano che fosse data precedenza alle aziende europee e che si potesse ricorrere a quelle extra Ue (in pratica, SpaceX), solo in caso di “comprovata impossibilità”. “Un favore a Elon Musk”, avevano commentato le opposizioni.
Recepiva invece due emendamenti a firma proprio di Casu, in cui si chiedeva che l’assegnazione degli appalti “non prescinda in nessun modo dalla sicurezza nazionale” e che ci sia un “ritorno industriale per il sistema Paese”.
Gli emendamenti approvati, probabilmente insufficienti a evitare accordi con il miliardario sudafricano, hanno tuttavia provocato la reazione di Stroppa, che sempre su X aveva commentato: “Intesa Pd-FdI. Bene, si vuole far passare Starlink e SpaceX (che, tra l’altro, ha lanciato missioni per l’Italia accelerando le tempistiche per dare una mano) per i cattivi. Agli amici di FdI: evitate di chiamarci per conferenze o altro”.
Casu invece denunciava che l’art. 25 sembrava “scritto su misura” per “spianare la strada a Starlink come sistema di backup italiano”.
Dal canto suo Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del made in Italy e autorità delegata alle Politiche spaziali e aerospaziali, esultava: “L’Italia indica all’Europa la rotta per lo spazio. Siamo il primo paese a dotarsi di una legge sulla Space Economy, che rafforza la nostra sovranità tecnologica e proietta il nostro sistema industriale nel futuro. Un modello che ispirerà la normativa europea e consoliderà la nostra leadership”.
Ora il ddl Spazio ha ripreso il suo iter legislativo: il 6 maggio è approdato alla IX Commissione permanente (Industria, commercio, turismo, agricoltura e produzione agroalimentare) al Senato per un primo voto, mentre il voto finale è previsto a luglio.
Stroppa: “Starlink unica soluzione”
E qui appunto si inseriscono i “segnali inquietanti” rilevati da Casu: la presenza della manager di Musk alla conferenza dell’Aeronautica e un nuovo intervento di Stroppa, che in sostanza è tornato a chiedere – via X – di adottare il sistema satellitare Starlink a fini militari e strategici. Il 4 maggio ha scritto sul social di proprietà di Musk: “Se sei leader in Europa e vuoi che il tuo Paese raggiunga una connettività strategica/resiliente, l’unica soluzione è Starlink. Se scegli di non adottare questa tecnologia, il tuo Paese rischia di rimanere indietro di 25 anni rispetto alla Cina in termini di connettività governativa Tua la scelta, tuo il futuro”.
A questo appello, in inglese, è seguito un secondo tweet in italiano in cui il referente del patron di Tesla ha tirato in ballo esplicitamente il ministro Crosetto e ha nominato la Marina Militare (MM), sottolineando l’inferiorità di quest’ultima rispetto al gruppo armato degli Houthni. Un’inferiorità superabile attraverso una connettività adeguata, ovvero quella fornita da Starlink: “In questo momento navi italiane della Marina Militare sono nel Mar Rosso. Gli Houthi hanno dimostrato grandi capacità offensive inclusi sabotaggi di cavi internet. Fa bene il Ministro Guido Crosetto a chiedere più risorse. Gli Houthi a terra hanno connettività superiori a quelle delle navi italiane da guerra. Questo significa che mentre loro possono manovrare droni bomba, la Marina Militare non può manovrare UAV direttamente dal mare, ma solamente dalle stazioni di terra. Aumentare le capacità difensive e offensive della MM tramite una connettività sicura e superiore è possibile. Lo sappiamo tutti”.
Insomma, a pochi giorni dalla ripresa dell’iter parlamentare del Ddl Spazio, queste parole sono sembrate a Casu un vero tentativo di ingerenza nelle decisioni parlamentari, oltretutto su una materia molto delicata. “Non permetteremo al Governo Meloni di consegnare le chiavi della sicurezza nazionale a Elon Musk, ha spiegato a Wired.
Lo scoop di Bloomberg: l’accordo da 1,5 mld tra Meloni e Musk
Le polemiche che accompagnano il ddl Spazio seguono quelle esplose dopo lo ‘scoop’ di Bloomberg, che a gennaio ha fatto sapere che l’Italia era in trattative avanzate con SpaceX per un accordo da 1,5 miliardi di euro per la fornitura di telecomunicazioni sicure, sia in ambito civile che militare, attraverso Starlink. Musk aveva dichiarato di essere “pronto a fornire all’Italia la connettività più sicura e all’avanguardia”.
Due giorni dopo, l’8 gennaio, Crosetto aveva ammesso che c’era una trattativa, ma nessun accordo. Allo stesso tempo però aveva sottolineato come a livello europeo “il programma appena avviato e noto come Iris2 prevederà a regime circa 290 satelliti, con tempi di realizzazione ancora da quantificare e comunque oltre il 2030”. Dunque “c’è l’esigenza di studiare soluzioni adeguate, quanto meno nelle more” di questo periodo. Una posizione già espressa a novembre 2024, quando aveva rimarcato che “ai satelliti in bassa quota per la comunicazione non c’è alternativa. Per raggiungere il livello di Starlink serve avere una capacità non solo di farli, ma anche di lanciarli, che oggi nessuno ha e nessuno a quei costi”.
La stessa Meloni, interrogata in una conferenza stampa a gennaio sulla trattativa con Musk, aveva smentito l’accordo e sottolineato tuttavia come “al momento non ci sono alternative pubbliche“, tanto che la domanda da porsi è “perché l’Italia e l’Europa non sono arrivate in tempo a immaginare tecnologie pubbliche per comunicazioni sicure?”
In effetti, in tutta questa storia c’è una grande assente: l’Europa.
La grande assente: l’Unione europea
In ambito spaziale (e non solo) l’Unione è in grave ritardo. Basti pensare che Starlink oggi ha in orbita quasi 7mila satelliti, e che ha intenzione di posizionarne 30mila entro tre anni. Pare davvero impossibile che l’alternativa europea alla costellazione di Musk, il sistema IRIS² (Infrastructure for Resilience, Interconnection and Security by Satellite), possa competere: si parla di 290 satelliti entro il 2030. Inoltre l’azienda dell’uomo più ricco del mondo gode di un importantissimo vantaggio di posizione, avendo già mandato su, nelle appetibili orbite basse, migliaia di satelliti. Oltre al crescente rischio di collisioni, l’Europa rischia ora di non trovare più spazio per i propri apparecchi.
Insomma, il confronto è impietoso e la strada in salita, per cui è necessario cercare un’alternativa. Alternativa che in pratica significa Musk. Ma questo significa mettere potenzialmente in mano a un privato, che oltretutto porta avanti una propria agenda politica e sulla cui affidabilità non c’è da scommettere, la sicurezza nazionale ed europea. Un esempio delle difficoltà che potrebbero derivarne si è visto poche settimane fa, quando il patron di Tesla ha minacciato di ‘staccare i satelliti’ all’Ucraina, una mossa che di fatto impedirebbe al Paese slavo di proseguire la guerra.
Ma proprio la dipendenza da Starlink sembrerebbe aver dato una sveglia all’Europa. Nel secondo trimestre del 2025 è prevista la presentazione dello European Space Act, la legge europea sullo Spazio in gestazione da due anni, che dovrebbe armonizzare le procedure di autorizzazione per le attività spaziali del settore privato, prevenire le collisioni spaziali, mitigare il pericolo dei debris (detriti spaziali), stabilire regole comuni per la cybersicurezza e la gestione dei rischi.
È da notare poi che nella Commissione entrata in funzione lo scorso dicembre c’è un commissario specifico per la Difesa e lo Spazio, Andrius Kubilius, che ha parlato una “nuova era di governance spaziale”.
Ma tutto si scontra con una realtà complessa, caratterizzata dal rischio di iper-regolamentazione (tipico dell’Ue), dalla frammentazione dell’industria spaziale europea, con rivalità nazionali di difficile armonizzazione, e da una normativa sulla concorrenza che finora ha impedito le grandi aggregazioni di aziende, proprio quello che invece servirebbe per competere con Usa, Cina e India.
Su questo punto forse qualcosa sta cambiando: ora la priorità è la competitività, e la necessità di favorire la creazione di grossi poli aziendali è stata sostenuta anche dalla Relazione Draghi dello scorso settembre.
“La dimensione continentale è la nostra risorsa più preziosa in un mondo di giganti“, ha dichiarato la presidente della Commissione Ursula von der Leyen al Forum economico mondiale di Davos a gennaio. Ma come si concilieranno le aspirazioni industriali e spaziali dell’Unione con l’applicazione delle norme sulla concorrenza non è ancora chiaro.
Intanto delle iniziative ci sono: Leonardo, Thalès e Airbus sono in trattativa per unire le rispettive attività aerospaziali, soprattutto per i satelliti in orbita terrestre bassa, sotto un’unica entità. E’ il ‘progetto Bromo’, ma è ancora in una fase iniziale e i nodi da sciogliere, tra i quali il sostegno del governo italiano, sono tanti.