“Non è possibile lasciare l’Unione nelle condizioni di oggi, cioè con una forza politica, soprattutto su questioni centrali come la politica estera, quella di bilancio e quella fiscale, lasciata a metà, bloccata dai meccanismi dell’unanimità. Nella prossima legislatura partirei da qui: usando fino in fondo i poteri che ha il Parlamento europeo, che può bloccare l’avvio della nuova Commissione, dicendo ‘noi per fare andare avanti il lavoro delle altre istituzioni vogliamo prima una risposta su ciò che abbiamo già proposto, cioè una riforma dei Trattati’”.
È battagliera la proposta di Brando Benifei, attualmente capo delegazione del Pd a Strasburgo, candidato per un nuovo mandato nel collegio Nord-Ovest (Lombardia, Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta), intervenuto al podcast di Eurofocus. “Per continuare a costruire una politica sociale comune, il lavoro sulla transizione ecologica, costruire e migliorare la capacità competitiva dell’Europa e la sua capacità di sostenere chi rimane indietro… Sono tutte cose che si possono portare avanti se l’Europa acquisisce una sovranità condivisa più forte”.
Ma se l’Europarlamento ha presentato una proposta condivisa con l’obiettivo di riformare l’Unione e renderla più democratica, ci sono almeno 13 paesi contrari a una riforma dei trattati: Bulgaria, Repubblica Ceca, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Lituania, Lettonia, Malta, Polonia, Romania, Svezia e Slovenia. Secondo Benifei vanno messi di fronte alle loro responsabilità: “Probabilmente non tutti sono pronti a raggiungere lo stesso livello di integrazione nello stesso momento. Ma dobbiamo far convivere queste ambizioni, alzare l’asticella. Possiamo far procedere un’avanguardia, proprio come avvenne con il Next Generation Eu, che in Italia è diventato il Pnrr. È nato proprio da un momento in cui alcuni governi hanno detto: se non ci stiamo tutti noi andremo avanti da soli”. Ungheria, Finlandia e Olanda erano contrarie, ma poi hanno aderito. “Il parlamento la sua proposta l’ha presentata, ora bastano 14 voti favorevoli per far partire il processo. Far emergere le differenze serve anche a chiarire dove stanno le varie forze politiche e a decidere se dobbiamo farci sempre ricattare da personaggi come Orban”.
Benifei è anche uno dei relatori dell’AI Act, il regolamento che disciplina l’uso dell’intelligenza artificiale che sta per entrare in vigore e che sarà pienamente efficace tra due anni. Come vede il cammino della sua “creatura”?
“L’AI Act è una delle leggi più rilevanti di questa legislatura ed è stato oggetto di un lungo negoziato per avere un testo che fosse davvero adeguato ad affrontare un cambiamento epocale, per costruire un insieme di regole che possa difendere le persone dai rischi, creare fiducia, far utilizzare l’intelligenza artificiale con la sicurezza di essere tutelati dalle discriminazioni, dalla disinformazione, dai deepfake. Sarà creato un sistema di etichettatura per il controllo e la riconoscibilità di contenuti generati dall’IA. E poi ci sono i divieti di alcuni usi considerati troppo rischiosi, come il riconoscimento delle emozioni dei lavoratori e degli studenti. O le telecamere a riconoscimento biometrico, quando vengono usate non per la ricerca di criminali o vittime di crimini particolarmente gravi. Più l’uso sarà sicuro più aumenterà la produttività e il valore aggiunto. Servono le regole, ma anche politiche di investimento, politiche industriali europee, ricerca comune. L’intelligenza artificiale è ormai un tema politico: come vorrà essere l’Europa del futuro?“