La guerra tra Mosca e l’Occidente non si combatte solo con i droni sui cieli ucraini, ma anche nelle aule dei tribunali, a colpi di sentenze che sanno di avvertimento. Un tribunale di Mosca ha condannato in contumacia a 15 anni di carcere il giudice italiano Rosario Salvatore Aitala, vicepresidente della Corte penale internazionale (Cpi), che, nel marzo 2023, ha firmato il mandato d’arresto contro Vladimir Putin con l’accusa di deportazione illegale di bambini ucraini (recentemente avvalorata da una ricostruzione dell’Humanitarian Research Lab).
Quella di Mosca è una mossa di lawfare – l’uso della legge come arma di guerra – che segna un punto di non ritorno nelle relazioni diplomatiche tra Italia e Russia, definite dalla portavoce russa Maria Zakharova come le “al peggior livello dalla fine della Seconda Guerra Mondiale” per colpa delle “pressioni esercitate dalla Nato” su Roma.
Le accuse di Mosca: “Attacco a persona protetta”
Il verdetto è arrivato dal tribunale cittadino di Mosca, che ha accolto le richieste della procura russa. Aitala, insieme ad altri otto colleghi della Cpi e al procuratore capo Karim Khan (anch’egli condannato), è stato riconosciuto colpevole di reati che suonano paradossali per un magistrato internazionale: “perseguimento consapevole di persone innocenti”, “detenzione illegale” e “preparazione di un attacco a persone sotto protezione internazionale”.
Secondo la narrazione giuridica russa, il mandato della Cpi contro Putin sarebbe stato un atto illegale volto a “provocare una guerra o peggiorare le relazioni internazionali”. La pena inflitta ad Aitala è la più severa prevista in questo pacchetto di sanzioni: 15 anni di colonia penale, da scontare nel caso (improbabile, ma teoricamente possibile tramite Interpol) di un arresto ed estradizione in Russia che – giova ricordare – è uno dei pochi Paesi che non riconosce la giurisdizione della Cpi.
Il contesto: la ritorsione per i bambini ucraini
Per capire la violenza di questa reazione, bisogna riavvolgere il nastro al 17 marzo 2023. Quel giorno la Corte penale internazionale emise un mandato d’arresto storico contro Putin e Maria Lvova-Belova (commissaria russa per i diritti dei bambini), accusandoli di essere responsabili della deportazione forzata di minori dalle zone occupate dell’Ucraina verso la Federazione Russa. Aitala era tra i giudici che presero quella decisione.
Da quel momento, il giudice catanese, ex dirigente di polizia entrato in magistratura nel 1997, è diventato un bersaglio prioritario di Mosca che lo ha inserito nella lista dei ricercati nel giugno 2023, equiparandolo di fatto a un terrorista o a un criminale comune.
Dal canto suo, Aitala non ha mai mostrato segni di cedimento, definendo la Corte un “presidio di civiltà” nonostante le pressioni, ma non ha neanche nascosto una certa “amarezza” per il clima di intimidazione.
La guerra delle immagini: come la propaganda russa sfrutta il caso Aitala
Mosca trasforma la condanna di Rosario Aitala in un’arma di comunicazione.
Subito dopo il mandato Cpi del marzo 2023 contro Putin per la deportazione di bambini ucraini, manifesti con la foto del giudice catanese tappezzano le strade delle capitale di altre città russe, etichettandolo come “ricercato” e invitando i cittadini a segnalarne i movimenti. Quei poster, diffusi dal ministero dell’Interno russo, evocano le vecchie campagne sovietiche di “Okna Rosta“: semplici, diretti, martellanti per instillare l’idea di un nemico straniero al servizio di una “guerra ibrida” contro la Russia.
La strategia si ripete con la sentenza del 12 dicembre 2025: i media statali come Ria Novosti e il Moscow Times amplificano il verdetto, dipingendo Aitala e gli altri otto giudici Cpi come “persecutori di innocenti” che attentano a un leader protetto. Zakharova, portavoce del Cremlino, lo incornicia come ritorsione legittima, mentre il tribunale – presieduto da Andrey Suvorov, lo stesso che ha condannato il principale oppositore di Putin Aleksej Navalny – conferma la prospettiva russa: la giustizia internazionale è un complotto occidentale.
Immagini e narrazioni si fondono per radicalizzare i cittadini e scoraggiare il dissenso: la propaganda non cerca solo vendetta, ma consenso, rafforza il mito di Putin vittima dell’Occidente decadente, proprio mentre l’Ue congela gli asset russi.
Ora Aitala è entrato nelle liste Interpol russe, con rischi reali di estradizione da cento Paesi alleati di Mosca.
Le reazioni: l’Anm chiede scudo al governo
Dopo la sentenza, l’Associazione Nazionale Magistrati (Anm) è scesa in campo chiedendo che il governo italiano pretenda “immediatamente spiegazioni” da Mosca, definendo la condanna un attacco inaccettabile all’indipendenza della giurisdizione internazionale.
Sebbene il ministro degli Esteri Antonio Tajani abbia spesso cercato di mantenere aperti canali di dialogo, la retorica aggressiva di Mosca – che minaccia ritorsioni contro gli “eurodegenerati” e usa toni apocalittici contro le sanzioni Ue – rende difficile una risposta morbida. La condanna di Aitala viene letta dalla Farnesina come un messaggio intimidatorio diretto all’Italia, un Paese che, pur geograficamente distante dal fronte, è considerato da Mosca sempre più “ostile” per il suo supporto a Kiev.
Che ruolo ha oggi il diritto internazionale?
Dopo il mancato arresto del premier israeliano Benjamin Netanyahu (nonostante l’incriminazione della Cpi e i suoi spostamenti fuori da Israele), questa vicenda solleva ulteriori dubbi sul ruolo ricoperto dalla giustizia internazionale oggi.
Se da un lato la condanna russa è inefficace sul piano pratico (Aitala non andrà in una prigione siberiana finché resterà in Occidente), dall’altro crea un precedente pericoloso: la Russia sta costruendo un ordinamento giuridico parallelo in cui chi applica il diritto internazionale viene trattato come un criminale. È la formalizzazione dello scisma tra l’Occidente e il blocco che ruota attorno al Cremlino.
Inoltre, c’è il rischio concreto per la sicurezza personale dei giudici. Come evidenziato da fonti di intelligence, l’inserimento nelle liste dei ricercati e le condanne non sono solo atti burocratici: potrebbero limitare la libertà di movimento dei magistrati Cpi in Paesi terzi che hanno accordi di estradizione con la Russia.
