La Romania accoglie l’invito di Ursula von der Leyen e nomina l’eurodeputata Roxana Mînzatu come sua candidata per il ruolo di commissario europeo. Questa scelta arriva dopo un primo tentativo di proporre un candidato uomo, Victor Negrescu e in risposta alle forti pressioni esercitate dalla presidente della Commissione Europea che ha chiesto esplicitamente ai Paesi membri di aumentare la rappresentanza femminile nel Collegio dei Commissari.
Negrescu, che è anche vice presidente del Parlamento Europeo e leader della delegazione socialista rumena, ha accettato questa decisione con rispetto, riconoscendo l’importanza della parità di genere. “Ho sempre sostenuto i diritti di genere e comprendo questa decisione”, ha affermato, sottolineando l’auspicio che altri Paesi seguano l’esempio della Romania.
Assieme all’impegno per la sostenibilità che trova la massima espressione nel Green Deal europeo, quello della parità di genere è un altro caposaldo della politica von der Leyen.
Voglio scegliere i candidati più preparati e che condividano l’impegno europeo. Ancora una volta, punterò alla parità di genere“, ha dichiarato alla plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo dopo la sua rielezione l’ex ministra della Difesa tedesca.
La richiesta di von der Leyen è quindi stata quella di sostituire i candidati maschi proposti con donne, soprattutto nei Paesi con un’unica nomina, per evitare di presentare una Commissione dominata dagli uomini.
Commissari Ue, quante donne sono state proposte?
A poche ore di distanza e oltre il termine del 30 agosto, il Belgio ha scelto Hadja Lahbib, attuale ministra degli Esteri, come candidata per il prossimo ruolo di commissario europeo. I nomi avanzati da Romania e Belgio portano a 9 il totale delle donne proposte nel ruolo di commissarie, di cui una è la presidente von der Leyen.
Una crescita che non basta a raggiungere la parità di genere in un organo, la Commissione Ue, composto da 27 membri, inclusa la presidente e l’Alto Rappresentante Ue per la politica estera.
Diversi Paesi hanno mostrato resistenze alla richiesta di von der Leyen. Nello specifico, il primo ministro maltese Robert Abela ha mantenuto la nomina del candidato uomo Glenn Micallef, nonostante le pressioni per estendere il mandato dell’attuale commissaria Helena Dalli. Questa resistenza riflette le difficoltà politiche interne che alcuni Paesi devono affrontare quando si tratta di cambiare i propri candidati in base al genere.
Dopo la lettera inviata ai Paesi membri dalla politica tedesca, il Taoiseach (capo del governo) irlandese Simon Harris aveva dichiarato che, seppure prenda “molto seriamente” la tematica di genere, avrebbe candidato solo l’ex ministro delle Finanze Michael McGrath. La spiegazione è presto detta: Dublino “non manda con leggerezza il proprio ministro delle Finanze a Bruxelles”, ha spiegato il primo ministro. Insomma, se la politica del Paese non offre nessuna donna all’altezza del peso massimo McGrath, non ha senso proporre due nomi come invece richiesto da von der Leyen.
Il Belgio sceglie Lahbib
La scelta di Hadja Lahbib come nome belga per la nuova commissione è stata confermata dal presidente del Movimento Riformatore Georges-Louis Bouchez, che ha sottolineato un desiderio di rinnovamento e di maggiore rappresentanza femminile.
Nonostante la designazione di Lahbib come commissaria possa essere vista come un passo avanti verso la parità di genere, la sua candidatura ha suscitato non poche controversie all’interno del suo stesso partito e della nuova coalizione di governo. Molti politici e diplomatici belgi ritengono che Lahbib non abbia brillato nel ruolo di ministra degli Esteri, e questo ha contribuito ai ritardi nella decisione finale sulla nomina. Secondo quattro funzionari belgi, una delle principali ragioni del ritardo nella nomina è stata proprio la discussione sull’opportunità di proporre Lahbib come commissaria europea.
Durante la presidenza belga dell’UE, Lahbib ha preso posizioni ferme su questioni delicate, come la necessità di adottare una linea più dura nei confronti dell’Ungheria.
La decisione di nominare Lahbib arriva dunque in un momento delicato per il Belgio, l’unico Paese membro senza un commissario designato alla scadenza del 30 agosto. Questo ritardo ha generato pressioni crescenti sulle parti negoziali, culminando con la scelta di Lahbib, che ha sorpreso molti osservatori e politici belgi. La scelta, infatti, rappresenta una battuta d’arresto per Didier Reynders, l’attuale commissario e iniziale favorito per un secondo mandato. Reynders, già sconfitto nella corsa a segretario generale del Consiglio d’Europa lo scorso giugno, ha più volte manifestato la sua disponibilità a continuare nel ruolo di commissario.
Bouchez ha sottolineato che la nomina di Lahbib è in linea con la richiesta della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen di formare una squadra equilibrata dal punto di vista di genere.
Perché la parità di genere non è solo un discorso di genere
Raggiungere la parità di genere nella nuova Commissione Europea rappresenta una delle sfide più complesse per Ursula von der Leyen. Oltre a evitare un potenziale imbarazzo per l’Ue, la presidente è consapevole che una Commissione bilanciata dal punto di vista del genere può operare in modo più collegiale ed efficace. Dal suo punto di vista la presenza di un numero significativo di donne attorno al tavolo decisionale non è solo una questione di equità, ma anche di diversità di prospettive e di interessi, che può arricchire il processo decisionale e migliorare la governance complessiva.
Il compito di von der Leyen è reso ancora più arduo dal fatto che tre delle posizioni di maggiore rilievo nell’Ue sono già occupate da donne: von der Leyen stessa come presidente della Commissione Europea, Kaja Kallas come capo del servizio diplomatico, e Roberta Metsola confermata alla guida dell’Europarlamento. Questo pone ancora più pressione sull’esecutivo europeo per garantire che anche il Collegio dei Commissari rifletta una rappresentanza equilibrata.
Secondo un report dell’OCSE, i governi con una maggiore presenza femminile mostrano una maggiore attenzione a tematiche sociali come l’istruzione, la salute e la protezione sociale, che rappresentano gli interessi di una fetta significativa della popolazione.
Uno studio del World Economic Forum, poi, evidenzia che i Paesi con una maggiore rappresentanza femminile nei parlamenti hanno politiche più inclusive: l’aumento del 10% della rappresentanza femminile è associato a un aumento del 5% nella probabilità di adozione di politiche sociali. Nel suo studio, infine, i Wef associa alla parità di genere anche una crescita economica più solida e solidale.