Romania, effetto Simion: gli scenari elettorali con l’analista politico Radu Magdin

Il leader nazionalista vola verso la presidenza. Sull'Ucraina vicino a Orbán e Fico, ambiguità su Nato e rapporti con Usa. Società divisa dopo il caso Georgescu, decisivi affluenza e fattore diaspora al ballottaggio. La lettura di Magdin
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George Simion Romania Ue

Il primo turno delle elezioni presidenziali in Romania ha visto emergere con forza George Simion, che ha attirato quasi il 41% delle preferenze. O, per metterla come l’ha messa l’analista politico rumeno Radu Magdin, la Romania si è appena inserita a pieno titolo nella più ampia tendenza europea che vede l’ascesa dei partiti populisti di destra. “Fino al 2020 nel Parlamento rumeno non era presente alcuna forza di questo tipo, e tantomeno un candidato populista radicale di destra in grado di arrivare al ballottaggio presidenziale. Oggi, queste forze controllano un terzo del Parlamento”, riassume in una conversazione con Eurofocus.

Cosa è successo da allora?

Certamente la crisi da Covid e la guerra in Ucraina hanno avuto un ruolo, spiega Magdin, ma il cambiamento è “strettamente legato alla performance dell’élite politica tradizionale, in particolare allo stile distaccato e fuori dalla realtà dell’ex presidente Klaus Iohannis”, elementi sempre più indigesti per l’elettorato. Di contro, Simion si è distinto opponendosi agli aiuti militari all’Ucraina, sposando un nazionalismo dichiaratamente vicino a quello di Donald Trump e criticando un’altra élite, quella di Bruxelles, per i suoi eccessi percepiti nel campo del globalismo e del progressismo.

Possibile l’asse con Trump, Orban, Fico?

Nel contesto delle tensioni transatlantiche, “la Romania ha finora cercato di mantenere un equilibrio, riconoscendo che la sua prosperità dipende dall’Ue e la sua sicurezza dalla Nato, in particolare dagli Stati Uniti”, spiega l’analista. Con Simion, invece, Bucarest si potrebbe allineare maggiormente con gli Usa nelle questioni transatlantiche, specie quelle più divisive; “sull’Ucraina, il suo governo potrebbe seguire l’esempio dell’Ungheria o della Slovacchia”.

“L’euroscetticismo condiviso e le critiche a Bruxelles potrebbero avvicinarli simbolicamente. Ma la cooperazione concreta è poco probabile, a causa delle tendenze nazionaliste e dell’appartenenza a gruppi diversi nel Parlamento europeo” (l’Aur di Simion fa parte dei Conservatori e riformisti, che annovera anche Fratelli d’Italia). Anche se l’immagine dei “disturbatori dell’Est” continuerà a complicare il lavoro del Consiglio europeo, aggiunge Magdin; dato che il presidente rappresenta la Romania nel consesso dei leader europei, il candidato nazionalista “potrebbe diventare un’altra voce di disturbo per i leader dell’Ue”.

Quale il volto della Romania guidata da Simion?

È difficile dirlo. Simion oscilla tra il tentativo di normalizzare la sua immagine, come ha fatto Giorgia Meloni in Italia, e quello di mobilitare la base più radicale di Calin Georgescu”, il politico noto per le sue posizioni controverse su Nato e la Russia, estromesso dal secondo round di votazioni dopo aver vinto a sorpresa il primo, lo scorso dicembre. È una figura centrale nella saga delle elezioni romene, e Simion sembra averne raccolto il testimone, promettendo, tra le altre cose, di vendicarne le ragioni provando a nominarlo primo ministro.

Simion “è stato vago sulle proposte più controverse di Georgescu, come la riduzione della spesa per la difesa, il mettere in discussione lo scudo missilistico Nato e il minimizzare la minaccia russa. Pur apparendo meno estremo di Georgescu, resta molto di incerto sul suo comportamento da presidente. Il che rappresenta un motivo legittimo di preoccupazione”, riassume Magdin.

Una società spaccata

L’annullamento delle elezioni di dicembre è stato impopolare, sebbene l’opinione pubblica resti divisa a riguardo, evidenzia l’analista. Anche la decisione di escludere Georgescu dal secondo turno ha avuto un effetto polarizzante, “sebbene la maggioranza sostenga la sentenza della Corte suprema”. Questi eventi hanno alimentato la controversia, trasformando la campagna elettorale in uno scontro tra pro-Georgescu e anti-Georgescu. Malgrado – e non certo grazie – ai “deboli” sforzi istituzionali per comunicare il rischio di interferenze straniere. A colpire di più l’elettorato romeno è stato il sospetto legato all’assenza di rendicontazione delle spese elettorali da parte di Georgescu, racconta Magdin.

Verso il round due

Il secondo turno vedrà Simion sfidare Nicusor Dan, sindaco di Bucarest ed espressione del centrismo pro-europeo, uscito dalle urne con poco meno del 21% dei voti e a pochissima distanza dal terzo classificato, l’altrettanto centrista Crin Antonescu. Una circostanza che fa presagire una mancanza di coesione nel campo che si oppone all’estrema destra espressa da Aur.

“Molto dipenderà da come si svolgerà la campagna per il ballottaggio, da come verrà presentata la posta in gioco, se ci saranno dibattiti. Al momento Simion è in vantaggio, ma le elezioni passate hanno mostrato che un margine sopra il 40% al primo turno non garantisce la vittoria. Poiché Dan non è legato ai partiti tradizionali, avrà bisogno di un forte incremento dell’affluenza, probabilmente oltre il 60–65%, per poter vincere”, stima l’analista; al primo turno ha di poco superato il 53%.

“L’affluenza al secondo turno sarà decisiva. Georgescu continuerà a essere un fattore — forse un ostacolo — per Simion, oscurandolo e minando la sua autorevolezza”, continua Magdin, secondo cui i romeni vogliono un presidente forte e indipendente. Anche la formazione del nuovo governo sarà un elemento centrale della campagna, “poiché la capacità del presidente di costruire una maggioranza parlamentare determinerà l’effettiva portata del suo potere”, spiega Magdin.

Resta il fatto che la frammentazione dell’offerta politica, che riflette quella della società romena, ha alimentato la polarizzazione. “Dan dovrà dimostrare grande abilità nel riunire questi elettori e nello spingere la partecipazione. Se vincesse, la linea europea della Romania non cambierebbe radicalmente: è un centrista con credenziali democratiche solide” e offre “una prospettiva molto più prevedibile dal punto di vista dell’Ue”.

Bucarest chiama Bruxelles

A dispetto dell’interesse di così tanti romeni con l’offerta di Georgescu prima, e Simion poi, la popolazione non è particolarmente divisa sull’integrazione europea: oltre l’80% dei romeni sostiene l’appartenenza all’Ue. “Le vere divisioni derivano dalla frustrazione verso la grande coalizione e l’ex presidente. Questo malcontento è più forte tra la diaspora”, che conta tra i sei e gli otto milioni di persone, “e nei grandi centri urbani. Ciò che cambia è il modo in cui viene espresso: gli elettori della diaspora tendono a preferire opzioni più radicali, mentre quelli urbani si orientano verso alternative centriste”, conclude Magdin.

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