Lo European Media Freedom Act (Emfa) è un regolamento dell’Unione Europea pensato per garantire la libertà e l’indipendenza dei mezzi di informazione pubblici e privati nei Paesi membri. Presentato dalla Commissione Europea e adottato dal Consiglio lo scorso 26 marzo, il provvedimento risponde alle crescenti preoccupazioni sull’influenza politica e le pressioni economiche sui media, che possono compromettere la qualità, l’equilibrio e la libertà delle notizie in Europa.
Questi i suoi obiettivi principali:
- Garantire l’indipendenza e l’integrità dei servizi di informazione pubblici e privati: Stabilisce regole specifiche per impedire ai governi di interferire con la gestione e i contenuti dei media pubblici.
- Rafforzare la pluralità dei media: L’atto prevede la tutela della pluralità dei mezzi di informazione, in modo che i cittadini possano accedere a diverse fonti di notizie e opinioni.
- Proteggere i giornalisti e i media da pressioni politiche ed economiche: Fornisce linee guida e meccanismi di tutela per giornalisti e redazioni contro censura, pressioni di governo o di grandi aziende.
- Promuovere la trasparenza proprietaria nei media: L’Emfa richiede che le proprietà dei media siano rese pubbliche, consentendo ai cittadini di sapere chi controlla le diverse piattaforme di informazione.
Come si dice, vasto programma, che gli Stati membri hanno fino all’8 agosto 2025 per adottare, allineando i propri ordinamenti ai dettami di Bruxelles. In Italia ovviamente spicca la questione della Rai, che da sempre è stata condizionata dalle maggioranze (e minoranze) politiche, e che dovrebbe cambiare il proprio sistema di governance per allinearsi alle richieste di Bruxelles. Non è facile, anche perché la “parlamentarizzazione” del servizio pubblico è stata cristallizzata in una serie di sentenze della Corte Costituzionale. Al momento ci sono sette proposte di legge in Parlamento, e per fare un po’ di chiarezza sul punto abbiamo contattato Ylenia Maria Citino, assegnista di ricerca in diritto pubblico alla Scuola superiore S. Anna di Pisa, che ha recentemente pubblicato un articolo su una rivista scientifica tedesca proprio su questo argomento.
Che effetti può avere l’Emfa sulla governance della Rai?
Chiariamo ogni dubbio. La disciplina italiana non appare totalmente in linea con l’Emfa e resta oramai meno di un anno per adeguarsi, poiché il regolamento sull’indipendenza dei media si applicherà a partire dall’8 agosto 2025. L’Emfa pone un set di regole categoriche sui cosiddetti media di servizio pubblico, anche se non di immediata applicazione. In particolare, l’art. 5 stabilisce garanzie di indipendenza editoriale e autonomia istituzionale. L’obiettivo è l’ottenimento di massimi standard in tema di imparzialità e pluralismo informativo. Il tema della governance Rai entra, perciò, a pieno titolo in questo “pacchetto” di norme di garanzia.
Per esempio, mentre, ai sensi del comma 2, art. 5 Emfa il direttore e i consiglieri di amministrazione andranno nominati o potranno essere revocati “in base a procedure trasparenti, aperte, efficaci e non discriminatorie”, in base al comma 4 una delle alternative che si porrà in capo agli Stati membri sarà quella di stabilire “meccanismi liberi da influenze politiche da parte dei governi” al fine di controllare l’ottemperanza agli obblighi posti dall’Emfa sul servizio pubblico. Il considerando n. 31, infine, ribadisce che le garanzie sulla governance dovranno essere “efficaci” e in totale assenza di interferenze da parte di “interessi governativi, politici, economici o privati”.
C’è da chiedersi, quindi, quanto sono scevre da influenze politiche le nomine del consiglio di amministrazione Rai. E mi sentirei di rispondere: poco, visto che il sistema attualmente previsto, a forte “parlamentarizzazione”, non garantisce, a mio avviso, il pluralismo e la rappresentatività che ci si attenderebbe da un servizio pubblico. I quattro membri, come è noto, sono individuati solitamente fra le personalità “gradite” alla maggioranza o all’opposizione, con equilibri quasi matematici. Il sistema del voto limitato a un solo candidato, peraltro, impedisce che i nomi indicati siano frutto di scelte ampiamente condivise. La prassi di spartizione delle cariche, al contrario, dà luogo a nomine divisive, sofferte, contrapposte, andando contro a logiche di sana gestione.
Quali meccanismi sono previsti per ”allineare” i vari paesi in questo campo?
Se un paese mantiene una legislazione che non è più conforme agli obblighi europei, entrano in gioco inevitabilmente i tradizionali rimedi conseguenti all’inadempimento dei regolamenti. In particolare, il rischio maggiore è quello dell’avvio da parte della Commissione europea di una procedura di infrazione. Nei confronti dell’Italia, tale procedura, se portata a termine, può condurre a multe oltre i 7 milioni di euro, più le ulteriori penalità, stabilite fra 10 e 645.000 euro per ogni giorno di ritardo nell’adempimento. In maniera ancora più grave, potrebbe ipotizzarsi, da una prospettiva di diritto interno, che un consiglio direttivo nominato in base a una normativa reputata non conforme agli obblighi europei sarebbe come tale illegittimamente costituito. A tal fine, però, occorrerebbe anche una dichiarazione di incostituzionalità della stessa legislazione italiana, per violazione della norma interposta data dall’art. 11 Cost.
Cosa si sta muovendo nel parlamento italiano in materia di riforma della Rai?
Attualmente sono sette i ddl incardinati al Senato in discussione congiunta, mentre non risulta che il Governo abbia per adesso inteso presentare una propria proposta. Lo scorso 22 ottobre è stato deciso di dare avvio a un ciclo di audizioni. Ciò detto, rispetto alle proposte avanzate dalla maggioranza, nutro parecchi dubbi sul fatto che possano essere ritenute soddisfacenti in termini di compliance con l’Emfa e con gli standard dell’articolo 5.
Quella introdotta da Gasparri (A.S. 162) vuole riportare indietro di dieci anni la governance della Rai (ovvero a prima della riforma di Renzi, da sempre molto criticata da Gasparri, ndr), decretando la fine del modello di gestione ispirato ad un ruolo centrale dell’amministratore delegato e ripristinando la struttura per dipartimenti. Quanto alla proposta leghista, sul fronte della governance andrebbe, addirittura, a rendere più totalizzante l’influsso del binomio Governo/Parlamento sulle nomine, lasciando un solo dei sette membri del consiglio di amministrazione davvero esente da ogni influenza politica.