Il palazzo Dolmabahce di Istanbul si era preparato a ospitare uno dei momenti più attesi sul fronte diplomatico del conflitto tra Ucraina e Russia. L’auspicio era quello di un confronto diretto tra i presidenti Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin. Tuttavia, il summit, per ora, si è trasformato in un incontro interlocutorio guidato dalle rispettive delegazioni. Prima la conferma dell’assenza del leader russo, poi la decisione di Zelensky di non partecipare: un cambio di scenario che ha inevitabilmente ridotto le aspettative attorno al vertice.
Eppure, le premesse erano ben diverse. L’iniziativa diplomatica, sostenuta dalla Turchia e osservata con attenzione dagli Stati Uniti e dai partner europei, sembrava poter aprire uno spiraglio verso una tregua, quantomeno parziale. Ma la diplomazia si è trovata a fare i conti con la complessità dei rapporti personali, le dinamiche strategiche e le percezioni pubbliche.
Secondo quanto riportato da fonti vicine al Cremlino, citate dal Moscow Times, Putin non avrebbe mai considerato un incontro diretto con Zelensky come un’opzione percorribile in questa fase. Mosca ha quindi scelto una rappresentanza più tecnica, guidata dal consigliere presidenziale Vladimir Medinsky, affiancato da funzionari dei ministeri della Difesa e degli Esteri.
Dal lato ucraino, la reazione non si è fatta attendere. Dopo un incontro con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, Zelensky ha manifestato il proprio disappunto per la linea scelta da Mosca e ha preferito non prendere parte direttamente ai lavori, lasciando l’incarico negoziale al ministro della Difesa Rustem Umerov. “Il comportamento della Russia dimostra una totale mancanza di rispetto non solo verso l’Ucraina, ma verso il mondo intero”, ha dichiarato Zelensky, commentando la scelta del Cremlino di inviare una squadra negoziale considerata “di basso livello”. Per il leader ucraino, si tratta più di “un’operazione di facciata” che di una vera apertura al dialogo.
Stati Uniti in attesa
Sul versante statunitense, l’atteggiamento è quello dell’attesa. Il presidente Donald Trump, pur dichiarando di voler “incontrare Putin non appena sarà possibile”, ha preferito non recarsi a Istanbul, definendo prematuro un suo coinvolgimento diretto. “Appena riusciremo a organizzarci, me ne andrò da qui e andrò”, ha affermato durante un incontro con imprenditori ad Abu Dhabi, lasciando però intendere che il vertice richieda ancora i giusti presupposti.
La rappresentanza americana è stata dunque affidata al segretario di Stato Marco Rubio, che ha mostrato una certa cautela sull’esito dei colloqui. “Sarò franco: non penso che abbiamo grandi aspettative su ciò che accadrà”, ha detto ai giornalisti, al termine della riunione Nato ad Antalya. E ha poi aggiunto: “Non ci sarà una svolta finché il presidente Trump e il presidente Putin non interagiranno direttamente”.
Una linea realista, che riflette l’attuale strategia diplomatica di Washington: dare spazio ai partner regionali, monitorare gli sviluppi e intervenire solo quando vi siano condizioni più mature. Tuttavia, l’assenza di una leadership visibile americana a Istanbul è stata letta da alcuni analisti come un segnale di indebolimento dell’influenza statunitense su un dossier che, fino a pochi mesi fa, veniva considerato prioritario.
Tra Mosca e Kiev
Al centro dei colloqui di Istanbul, il dialogo prende forma attraverso delegazioni tecniche, ma l’assenza dei leader politici principali incide inevitabilmente sul peso delle trattative. La delegazione ucraina, guidata dal ministro della Difesa Rustem Umerov, si presenta con un mandato chiaro e operativo: discutere le condizioni per un cessate il fuoco. Una scelta che da parte di Kiev viene interpretata come segnale di serietà e disponibilità concreta al confronto.
La Russia, invece, ha optato per una rappresentanza composta da funzionari di medio-alto profilo, guidata dal consigliere del Cremlino Vladimir Medinsky. Fanno parte della squadra anche il viceministro della Difesa Alexander Fomin, il viceministro degli Esteri Mikhail Galuzin e l’alto ufficiale dell’intelligence militare Igor Kostyukov. Una composizione che, secondo l’interpretazione ucraina, non garantirebbe la possibilità di decisioni politiche immediate e sarebbe indicativa di un approccio più attendista da parte di Mosca.
Questa asimmetria nelle delegazioni ha contribuito alla scelta del presidente ucraino Volodymyr Zelensky di non partecipare personalmente all’incontro, sottolineando pubblicamente come l’atteggiamento russo non sembri indicare una reale intenzione di porre fine al conflitto. Il leader ucraino ha parlato di “mancanza di rispetto” e di una proposta russa “non all’altezza della situazione”, ribadendo che l’unico obiettivo della sua delegazione è lavorare per una tregua credibile.
Erdogan investe in diplomazia
Recep Tayyip Erdogan ha fatto della mediazione tra Ucraina e Russia una delle priorità della sua agenda diplomatica. Istanbul ospita un formato di colloqui flessibile, che prevede sessioni bilaterali, trilaterali (con la Turchia come garante) e, in prospettiva, anche incontri quadripartiti con gli Stati Uniti. È un formato modulare, pensato per adattarsi ai cambiamenti di contesto.
Erdogan ha cercato di convincere personalmente Zelensky a restare, con un colloquio a porte chiuse svoltosi nelle ore precedenti l’apertura del summit. Ma la decisione del presidente ucraino era già maturata. Tuttavia, la presenza della delegazione ucraina testimonia il successo parziale degli sforzi turchi, che puntano a costruire nel tempo un canale stabile di comunicazione.
Per Ankara, questa mediazione è anche un’opportunità per rafforzare il proprio ruolo geopolitico. La Turchia cerca di posizionarsi come interlocutore credibile tra Est e Ovest, capace di dialogare con Mosca, Kiev, Washington e Bruxelles.