La Commissione Ue ha raccomandato l’apertura di una procedura di infrazione per eccessivo deficit nei confronti di Italia, Francia e altri cinque Paesi (Belgio, Polonia, Slovacchia, Ungheria e Malta). In tutto, sono dodici gli Stati membri che superano la famosa soglia del 3% nel rapporto tra deficit e Pil: oltre ai sette già citati ci sono Repubblica Ceca, Estonia, Spagna, Slovenia, e Finlandia.
Procedura di infrazione Ue, i dati
La richiesta della Commissione deve essere ora confermata dal Consiglio d’Europa (che non è il Consiglio Ue), anche se la conferma è praticamente certa. “La procedura di infrazione non è una notizia, era ampiamente prevista” ricorda il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti rispondendo alla stampa a margine della presentazione del Rapporto dell’Upb (Ufficio parlamentare di bilancio) sulla procedura Ue sui conti. Il titolare del Tesoro spiega che “Con il boom di deficit indotto dalle misure eccezionali non potevamo certo pensare di stare sotto il 3%”.
Nel 2023 l’Italia ha avuto un debito pubblico pari al 137,3% del Pil ma il ministro Giorgetti fa sapere che il Paese ha iniziato un percorso di “responsabilità della finanza pubblica sostenibile” apprezzato dai mercati e dalle istituzioni Ue. Nel 2023, l’Italia ha segnato un disavanzo del 7,4% (il peggiore dato tra i Ventisette) mentre per l’anno in corso si stima una discesa al 4,3%.
Nel suo rapporto sulla situazione italiana, però, la Commissione europea lancia un forte allarme sul debito italiano: “L’analisi della sostenibilità indica rischi elevati nel medio termine. Secondo le proiezioni decennali di base, il rapporto debito pubblico/Pil aumenta costantemente a circa il 168% del Pil nel 2034”.
Se sulla procedura di infrazione Ue non c’erano dubbi, molte sono le ombre sui sacrifici che i Paesi membri dovranno fare per rientrare nei ranghi. Un discorso a parte merita la Francia, dove l’incertezza politica e istituzionale rende la situazione particolarmente complessa.
Necessari nuovi sacrifici?
A differenza che in passato, Bruxelles non ha precisato l’ammontare delle correzioni di bilancio da introdurre fin dal prossimo anno per ridurre i deficit nazionali.
Per avere le idee più chiare bisognerà aspettare venerdì 21 giugno quando, a porte chiuse, sarà delineata la traiettoria da seguire per l’aggiustamento dei conti. In seguito, in base al nuovo patto di stabilità, i Paesi sotto procedura dovranno presentare entro il 20 settembre un piano di risanamento delle finanze pubbliche.
Solo allora la Commissione specificherà l’entità dell’aggiustamento annuo del deficit necessario per rientrare nei limiti, fermo restando l’appello ad avere una “crescita della spesa netta nel 2025 coerente con l’aggiustamento di bilancio richiesto dal nuovo quadro di governance economica”.
Le nuove regole chiedono un aggiustamento minimo pari allo 0,5% del Pil, che per l’Italia significa una riduzione del deficit da almeno 10 miliardi all’anno. Le strade, come sempre, saranno due: o una riduzione della spesa pubblica o un aumento della pressione fiscale. Sono comunque possibili ulteriori margini di flessibilità oltre a quelli già previsti per l’individuazione dei Paesi che rientrano nella procedura di infrazione.
La situazione in Francia
In Francia la procedura di infrazione Ue per eccessivo debito spariglia le carte già molto confuse sul tavolo di Macron e Le Pen. Entrambi vorrebbero il controllo di Matignon, residenza del primo ministro, ma chiunque vincerà le elezioni indette da Macron dopo l’ascesa del Rassemblement National alle europee avrà le mani legate da Bruxelles
Avvicinandosi all’appuntamento del 30 giugno e del 7 luglio, sia la destra che la sinistra propongono i rispettivi grandi classici: il taglio delle tasse e l’aumento della spesa per il welfare. Obiettivi virtuosi, che, come in ogni campagna elettorale, non fanno i conti con la realtà. Quella più recente parla di una procedura di infrazione, risultato di un disavanzo del 5,5% nel 2023.
I francesi avranno bisogno di una grande unità di intenti, proprio nel periodo politico più incerto della loro storia recente, considerando che Macron non si dimetterà da presidente della Repubblica, qualsiasi sarà l’esito delle urne. Giova ricordare che in Francia, in quanto repubblica semipresidenziale, il potere esecutivo è condiviso dal presidente della Repubblica e dal primo ministro. E qui la situazione si fa complicata. Infatti, se nonostante le proteste in piazza e gli appelli dei calciatori francesi a Euro 2024, trionferà il Rassemblement National, Macron dovrà nominare il primo ministro indicato da Marine Le Pen. Nome che corrisponde a Jordan Bardella, che potrebbe diventare il premier più giovane della storia francese.
Sarà allora difficile per le istituzioni francesi trovare una linea comune su come rientrare nei parametri della Commissione Ue.
Infatti, Oltralpe il presidente della repubblica (Macron) decide sulla politica estera e militare, ma il bilancio è in mano a governo e Assemblea: il primo propone, il secondo approva; entrambi potrebbero rispecchiare una maggioranza lepenista. Il rischio di una spaccatura sulla destinazione delle risorse è concreto e quanto mai delicato.
Avvicinandosi alle elezioni, Marine Le Pen ha dichiarato che in caso di vittoria formerà un “governo di unità nazionale”, mentre Bardella ha detto che se diventerà premier il suo primo obiettivo sarà “ridurre al minimo i flussi” di migranti, seguito dalla cancellazione dello ius soli.
Intanto, Parigi rischia di avere le mani bloccate da Bruxelles sulla spesa pubblica, e le divisioni interne rischiano di rendere il nodo ancora più stretto.