Il primo ministro polacco Donald Tusk sopravvive al suo Parlamento e ottiene la fiducia con 243 voti favorevoli e 210 contrari. Centra così l’obiettivo di dimostrare di avere una maggioranza stabile dopo che le elezioni presidenziali sono state vinte dal candidato conservatore Karol Nawrocki battendo l’europeista e alleato del governo Rafał Trzaskowski. La sconfitta ha eroso la posizione del premier, rendendo necessaria una ‘dimostrazione di forza’ per riaffermare la sua autorità e scongiurare elezioni anticipate.
Durante il discorso di Tusk, i parlamentari del partito Diritto e Giustizia (PiS), all’opposizione, hanno abbandonato l’aula, mentre all’esito del voto i sostenitori del governo si sono alzati in segno di approvazione, applaudendo e intonando il nome del primo ministro.
Il risultato era previsto: la coalizione centrista formata da quattro partiti dispone infatti di 242 seggi nella Camera bassa (Sejm), composta da 460 membri. La Piattaforma Civica di Tusk e la Nuova Sinistra lo hanno sostenuto senza condizioni. Più cauti invece i liberali di Polonia 2050 e il Partito Popolare Polacco, che hanno posto richieste simboliche, ma senza minare la stabilità dell’esecutivo.
Contro il governo hanno votato il PiS, la formazione di estrema destra Confederazione e il partito di estrema sinistra Razem.
Verso un rimpasto e la rinegoziazione della coalizione
Tusk ha comunque annunciato che a luglio attuerà un rimpasto di governo, in vista dell’insediamento di Nawrocki in programma ad agosto. Il voto dell’1 giugno infatti segna, secondo il premier, “l’apertura di una nuova fase”.
“Le sfide sono ancora più grandi a causa del risultato elettorale. Ci aspettano due anni e mezzo di duro lavoro in condizioni che non miglioreranno mai”, ha ammesso Tusk davanti al Parlamento.
Nawrocki e il rischio paralisi istituzionale
Il principale ostacolo per il governo è ora rappresentato da Nawrocki, che ha già annunciato che dal palazzo presidenziale arriverà “una forte resistenza” contro il programma dell’esecutivo.
Il presidente eletto non fa parte di nessun partito ma è sostenuto da PiS (deve la sua ascesa al leader del partito Jarosław Kaczyński, storico rivale di Tusk) e da Donald Trump.
Il rischio concreto dunque è che Nawrocki continui a bloccare con il veto presidenziale, come ha fatto il suo predecessore Andrzej Duda (anch’egli del PiS), riforme centrali del programma di Tusk: liberalizzazione dell’aborto, riconoscimento delle unioni civili, riforma del sistema giudiziario, revisione dei contributi previdenziali per i lavoratori autonomi.
Per superare il veto, a Tusk servirebbe un’impossibile maggioranza dei tre quinti nel Parlamento. Rischia dunque lo stallo.
Riforme in stallo e promesse non mantenute
In un dibattito parlamentare, Tusk ha rivendicato i principali risultati del suo governo: aumento della spesa per la difesa e riduzione del rilascio di visti per migranti. E ha ribadito l’intenzione di procedere con le riforme che aveva promesso.
Ma molti elettori appaiono delusi dalla mancanza di progressi, dovuta allo stallo tra Duda e Tusk. Ma con Nawrocki, le promesse di riforma rischiano ancora di non vedere mai la luce.
Tuttavia, sostiene l’esecutivo, esistono aree potenzialmente condivise tra governo e presidenza: difesa e sicurezza e alcune questioni economiche. Tusk potrebbe partire da queste.
Frizioni interne alla coalizione
C’è poi un altro fronte di cui il premier dovrà occuparsi: la possibilità di dover rinegoziare l’accordo di coalizione, un processo che potrebbe generare nuove tensioni.
All’interno della maggioranza, i malumori serpeggiano. Alcuni alleati ritengono che Tusk abbia personalizzato la campagna elettorale mettendoci la faccia e facendo perdere consensi. Ora chiedono un maggiore equilibrio e una redistribuzione delle priorità. Ad esempio, la formazione Terza Via ha avanzato cinque richieste chiave, dall’indipendenza dei media pubblici ai fondi per chi assiste disabili, dall’edilizia abitativa agli smartphone nelle scuole primarie.
Tusk e la sua coalizione, se vogliono sopravvivere fino al 2027, data in cui ci saranno le elezioni parlamentari, dovranno dunque muoversi con grande cautela tra pressioni interne, veti esterni e promesse da mantenere.