“I rapporti di forza ormai contano più delle regole. La sicurezza condiziona le scelte economiche. Per questo l’Europa deve trovare risposte all’altezza della situazione”, esordisce il professor Paolo Guerrieri in un colloquio con l’Adnkronos. Dopo essere stato ordinario di Economia alla Sapienza e aver insegnato in Europa e negli Stati Uniti, ora è visiting professor a Sciences Po (Parigi). Da pochi giorni è uscito in libreria “Europa Sovrana – le tre sfide di un mondo nuovo” (Laterza), scritto insieme all’ex ministro dell’Economia e attuale presidente di Unicredit, Pier Carlo Padoan.
Il sovranismo europeo
Siamo alla vigilia di fondamentali elezioni europee e la coesione che si era vista durante la pandemia, con i negoziati sui vaccini e il Recovery Fund, sembra indebolita. “In questa situazione di grande incertezza e di guerra, i sovranismi sono stati una delle risposte”, prosegue Guerrieri. “Ma invece di gridare “riprendiamoci il controllo”, che è stato lo slogan della Brexit e abbiamo visto com’è andata, serve un sovranismo europeo che complementi quello nazionale in certe politiche. Solo così si potrà contare davvero a livello globale. Inutile parlare di Stati Uniti d’Europa, non credo che nella prossima legislatura ci potranno essere delle rivoluzioni nell’assetto istituzionale, ma si dovrà lavorare con strumenti innovativi per dare all’Europa la capacità di incidere nei settori della difesa, dell’energia, dello sviluppo industriale e tecnologico. La condivisione, in queste aree, paga. Fare cose insieme permette di fare meglio e di più”.
Il Green Deal tra crescita e consenso
Che ne sarà della transizione ecologica? “Resta uno degli obiettivi principali, cui devono tendere tutti i settori che ho appena citato. Ma bisognerà fare un lavoro molto più efficace di aiutare le fasce di popolazione più colpite da queste riforme, non solo a capirne l’urgenza e la necessità, ma ad aiutarle ad affrontare le conseguenze economiche e sociali. Bisognerà costruire un consenso maggiore, che al momento rischia di franare. E poi non si può impostare secondo il modello: Bruxelles decide la regola, gli Stati membri ci mettono i soldi per attuarla. il Green deal è un grande progetto e può diventare quello che è stato il mercato interno, quello che è stata l’unificazione monetaria. Il veicolo con cui trasformi un’economia che ormai fa fatica a riprodurre dinamiche di crescita come in passato, perché era basata su energia a basso costo, esportazioni in tutto il mondo, tecnologie mature. Ma servono investimenti e la ‘pazienza’ di capire che i risultati arriveranno tra molti anni”.
Tedeschi e olandesi si convinceranno che servono altre emissioni di debito comune come il Next Generation Eu? “Non esiste la famosa pallottola d’argento, ma non c’è dubbio che c’è un problema di risorse europee. Quindi bene altri programmi come quello, ma io direi ancora meglio un programma come lo SURE, che servì a sostenere il mercato del lavoro nella fase pandemica. E anche un ripensamento del bilancio dell’Unione, che per il 65% viene assorbito da politica agricola e coesione”.
Un mondo à la carte, scenario pessimo per l’UE
E in termini di posizionamento globale, dove si colloca l’Unione? “Non possiamo pensare di rilanciare l’economia ignorando quello che succede a livello internazionale. Non credo che ci aspetti un mondo diviso in due blocchi, gli Usa da una parte e la Cina dall’altra. Nessuno dei due ha la forza per far allineare al loro fianco i Paesi che non vogliono farlo. E poi ci sono ormai attori di una certa stazza che non hanno nessuna intenzione di prestarsi a questo gioco, e che anzi lucrano sul fatto di andare una volta dall’uno e una volta dall’altro. Ci aspetta una multipolarità frammentata, ma un mondo à la carte per l’Europa è uno scenario pessimo, perché ha bisogno di un sistema economico internazionale con delle forme di apertura e relazione”.
La strada è quella di un multilateralismo “mirato” nel campo del commercio, della finanza, una geometria variabile che l’Europa potrebbe favorire. “Perché ci sono Paesi interessati, come India, Brasile, Arabia Saudita. Cina e Stati Uniti se lasciati soli potrebbero fare disastri. Invece se l’Europa insieme ad altri attori terzi si inserisce in questo dualismo, possiamo andare verso una frammentazione ‘controllata’. Certo, una politica estera con l’unanimità a 27 Paesi è impossibile. Bisogna pensare, come nel caso dell’Euro e di Schengen, di un voto a maggioranza qualificata in alcune aree. Magari non tutti vogliono una difesa comune, ma bisogna lasciare libero chi la vuole. Tarare tutto sul convoglio più lento è letale”.
Togliere il potere di veto cambierebbe anche il modo in cui i Paesi si comportano: “se l’Ungheria non avesse il potere di bloccare tutto, non userebbe questo strumento a ogni occasione, sarebbe portata a trovare un compromesso per non essere esclusa dal processo decisionale”.