Orbán sfida l’Europa: l’arma dei veti per bloccare gli aiuti all’Ucraina, anche per far felice Trump

Dai 6,6 miliardi di euro del Fondo europeo per la pace all'accordo con Usa e G7 per un prestito da 35 milioni, il premier ungherese cerca di garantirsi il favore del magnate americano mentre l’Ue cerca vie d’uscita: come aggirare il suo veto?
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Vitor Orban Fg Ipa

Budapest da un anno e mezzo blocca l’erogazione di 6,6 miliardi di euro all’Ucraina attraverso il Fondo europeo per la pace. E l’Ue non ha modo di obbligarla a togliere il veto, che spetta di diritto a ogni Paese per le decisioni prese fuori dal bilancio comunitario.

Se fossimo in un film western, ci troveremmo in quel classico momento di stallo alla messicana, dove due o più personaggi si tengono sotto tiro, consapevoli che chiunque faccia la prima mossa rischia di essere colpito a morte a sua volta. È un po’ questa la situazione attuale tra Ungheria e Unione Europea, con le due parti che si tengono reciprocamente sotto pressione, e ogni mossa può scatenare reazioni imprevedibili, rendendo complessa una risoluzione. Nel mentre, la tensione sale: da una parte c’è il premier ungherese Viktor Orbán, con la sua politica orientata verso la Russia e la Cina, e dall’altra l’Ue che tenta di trovare una via d’uscita dal continuo blocco imposto dall’Ungheria sugli aiuti all’Ucraina.

Come aggirare il veto di Orbán?

Ecco perché l’Unione sta cercando dei modi alternativi per uscire dalla situazione. Tradotto: per aggirare il veto di Orbán. Il trucco potrebbe essere, come fa sapere a Euronews Tinatin Akhvlediani, ricercatrice presso l’unità di politica estera dell’Ue del think tank Ceps, quello di concordare contributi volontari. In tal caso, ogni Stato potrebbe decidere per sé e il veto non potrebbe nemmeno essere esercitato.

Oppure, si potrebbe decidere per un’assistenza macrofinanziaria eccezionale collegata al bilancio dell’Ue e non al Fondo europeo per la pace, in modo anche qui da disinnescare il veto ungherese.
Per ora sono ipotesi, la prima ventilata anche dall’Alto rappresentante per la Politica estera dell’Unione europea Josep Borrell, ma a quanto pare ci si sta lavorando.

Orbán confeziona un regalo a Donald Trump

E questo non è l’unico problema dell’Unione sull’argomento. Orbán infatti non solo si è detto apertamente contrario a un più ampio sostegno all’Ucraina, ma intende anche fare una sorta di ‘regalo’ a Donald Trump, di cui auspica la ri-elezione alla presidenza degli Stati Uniti. Se il tycoon dovesse vincere, ha assicurato, stapperà molte bottiglie di champagne.

Di certo Trump non ha fatto mai mistero della sua intenzione di bloccare gli aiuti all’Ucraina, perciò nei piani di Orbán c’è quello di bloccare prima delle elezioni Usa l’accordo tra Ue, Stati Uniti e i leader del G7 per fornire un prestito di 35 mld di euro a sostegno del Paese slavo.

Il perché è semplice: se l’accordo andasse in porto prima delle presidenziali del prossimo 5 novembre, Trump sarebbe poi vincolato a onorarlo. Ma se Orbán riuscisse a farlo saltare, l’ex magnate – se rieletto – non avrebbe obblighi e potrebbe vantarsi con i suoi sostenitori che lui non dà soldi all’Ucraina.

Orbán, perciò, ha già fatto sapere che non acconsentirà a una modifica delle regole che porterebbe gli Usa nell’accordo prima del 5 novembre.

Attualmente, infatti, le sanzioni dell’Ue devono essere rinnovate ogni 6 mesi, cosa che aumenta il rischio che un singolo Paese, anche piccolo e poco popolato (uno a caso: l’Ungheria), possa bloccare tutto il blocco ponendo il veto. Washington dunque sta chiedendo all’Ue di estendere il periodo di rinnovo delle sanzioni ad almeno 36 mesi, trovando concordi i Paesi europei. Ma Orbán rifiuta di acconsentire, e può farlo, perché si tratta di una modifica che richiede l’unanimità dei Ventisette.

Se la mossa del premier ungherese andrà in porto, sarà un regalo per Trump e un problema per l’Europa: il prestito infatti, secondo le previsioni, sarebbe interamente rimborsato grazie ai profitti degli oltre 210 miliardi di dollari di asset russi immobilizzati nei Paesi occidentali dopo l’invasione dell’Ucraina. Tuttavia, se l’accordo salta, i governi si troverebbero a ripagare il prestito con fondi propri, il che comporterebbe costi in più per tutto il blocco, Ungheria compresa.

Ma per Orbán non è un problema: sulla sua bilancia pesa molto di più garantirsi il favore di Donald Trump.

L’Europarlamento vota sul prestito da 35 mld

Ieri intanto – 14 ottobre – la commissione per il commercio del Parlamento europeo ha votato a favore del prestito in questione, che per la precisone è un prestito eccezionale di assistenza macrofinanziaria (MFA) fino a 35 miliardi di euro, appunto con la previsione che sia rimborsato tramite le entrate straordinarie derivanti dagli asset immobilizzati della Banca centrale russa.

Un elemento questo che ha anche un alto valore simbolico, come spiegato dalla relatrice Karin Karlsbro di Renew: “Utilizzare i profitti derivanti da asset russi immobilizzati invia un chiaro segnale che l’onere della ricostruzione dell’Ucraina deve essere sostenuto dai responsabili della sua distruzione, vale a dire la Russia. Il nuovo meccanismo di cooperazione macrofinanziaria e di prestito sostiene l’Ucraina nel mantenere importanti funzioni di base nella società. L’Ucraina non sta solo lottando per la propria esistenza e libertà, ma anche per la nostra. Questa proposta sottolinea l’impegno incrollabile dell’Ue nei confronti della sovranità e della resilienza economica dell’Ucraina”.

La palla ora passa al Parlamento, che dovrebbe votare la proposta durante la sessione del 21-24 ottobre. Il Consiglio europeo intanto l’ha approvata la scorsa settimana e prevede di adottare il regolamento tramite procedura scritta dopo il voto del Parlamento.