Orbán si congratula con Salvini, mentre Budapest dice addio a 200 milioni di euro

La Commissione europea inizierà a detrarre la multa di 200 milioni di euro inflitta a Budapest dal Tribunale dell'Ue per la gestione dei migranti
10 ore fa
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Viktor Orban (Jacob King/IPA/Fotogramma)
Viktor Orban (Jacob King/IPA/Fotogramma)

La Commissione europea detrarrà la multa di 200 milioni di euro inflitta a Budapest dal Tribunale dell’Ue per la gestione dei migranti. I soldi saranno prelevati dai pagamenti dovuti all’Ungheria, dopo che il governo di Orbán non ha pagato l’importo entro il termine previsto, Ad annunciarlo è stato un portavoce della Commissione.

Il termine per il pagamento della multa è scaduto il 17 settembre: era la seconda scadenza, dopo che l’Ungheria non aveva rispettato la prima. Ma mentre su questa vicenda il leader ungherese tace, su quella riguardante il ministro italiano Matteo Salvini – e il caso Open Armas – si è espresso serenamente.

La “punizione” dell’Ue

Balázs Újvári, portavoce della Commissione, ha detto che l’Ue sta esaminando se detrarre l’importo tutto in una volta o gradualmente. I soldi saranno prelevati dai benefici destinati all’Ungheria e la sua non risposta in merito sembra essere un guanto di sfida alla Commissione.

Entro il 13 settembre, inoltre, il Paese avrebbe dovuto informare anche di come intendeva pagare la multa giornaliera aggiuntiva per ogni giorno di ritardo del pagamento. Ma da Budapest tutto tace. “Poiché il comitato non ha ricevuto risposta, abbiamo inoltrato la prima richiesta di pagamento”, ha dichiarato il portavoce. Quella giornaliera ammonta attualmente a 93 milioni di euro, vale a dire per il periodo dal 13 giugno al 17 settembre, e l’Ungheria ha 45 giorni di tempo per saldare.

La multa ungherese

A giugno la Corte di giustizia dell’Unione europea ha condannato l’Ungheria a pagare 200 milioni di euro perché “non ha rispettato” la legislazione europea, tra l’altro “in materia di procedure per la concessione della protezione internazionale e il rimpatrio dei migranti, cittadini di paesi extracomunitari soggiornanti illegalmente”.

Poiché il Paese non si è conformato alla sentenza del tribunale del dicembre 2020 riguardante la violazione delle disposizioni della direttiva sulle condizioni di accoglienza e la direttiva rimpatri, aveva ricevuto anche la multa giornaliera.

Un caso che ha destato non poche perplessità in Europa. La percezione dell’esecutivo europeo è che l’Ungheria non intenda sottostare alla volontà comunitaria perché intende dimostrare che la propria sovranità statale è superiore al diritto europeo. Fatto, questo, che è in linea con il commento di Viktor Orbán nei confronti del ministro dei Trasporti italiano Matteo Salvini.

Il sostegno di Orbán alle politiche antimmigrazione

Negli scorsi giorni, infatti, il ministro si è presentato al tribunale di Palermo per rispondere dei reati dei quali è accusato in relazione al caso Open Arms. La vicenda risale al 2019 e ruota attorno al blocco dell’omonima nave con a bordo 147 migranti soccorsi nel Mar Mediterraneo. Per diversi giorni, Salvini impedì lo sbarco dei migranti in Italia, in linea con la sua politica di “porti chiusi”. La nave rimase ferma al largo di Lampedusa per circa 19 giorni, durante i quali le condizioni a bordo peggiorarono.

Salvini è accusato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio. Secondo l’accusa, avrebbe abusato del suo potere negando ingiustamente l’ingresso alla nave e costringendo le persone soccorse a rimanere a bordo in condizioni critiche, violando i loro diritti fondamentali. Ora rischia sei anni di reclusione.

Il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha espresso il suo sostegno al leader della Lega. Lo ha elogiato per la sua ferma posizione contro l’immigrazione illegale e ha criticato l’Unione Europea per aver preso di mira chi cerca di proteggere i propri confini nazionali.

Ungheria: esempio per altri Stati?

Sulla scia di quanto sta accadendo in Ungheria, anche altri Paesi hanno iniziato a eludere le richieste europee in materia di gestione dei richiedenti asilo.

La Spagna ha collaborato con il Marocco per gestire i flussi migratori attraverso le enclavi di Ceuta e Melilla. Le misure includono il rafforzamento dei controlli alle frontiere e l’implementazione di operazioni congiunte con le forze marocchine per limitare le traversate illegali. Solo pochi giorni fa è stata segnalata l’espulsione di 39 migranti irregolari di nazionalità algerina e tunisina che intendevano entrare illegalmente a Ceuta.

La Polonia ha completato una barriera fisica lungo il confine con la Bielorussia. Questa barriera, alta circa 5,5 metri, è progettata per prevenire l’attraversamento illegale delle frontiere. La struttura è dotata di sensori e telecamere per monitorare i tentativi di attraversamento e recentemente il Paese ha annunciato che ne prolungherà la durata.

La Germania ha deciso di reintrodurre i controlli, limitando di fatto la circolazione prevista dall’accordo di Schengen, con lo scopo di frenare l’immigrazione irregolare e proteggere il Paese dal terrorismo islamico e dalla criminalità. “L’obiettivo è frenare l’immigrazione e proteggere dai gravi pericoli posti dal terrorismo islamico e dai reati gravi”, ha dichiarato la scorsa settimana la ministra degli Interni tedesca Nancy Faeser.

Poi, una proposta dal governo svedese prevede di aumentare a 30 mila euro la cifra elargita ai migranti che intendano svolgere un rimpatrio volontario. E non per ultimo in termini di importanza è il viaggio a Roma del primo ministro britannico Keir Starmer che ha incontrato la premier Giorgia Meloni per elogiare e apprendere il sistema di gestione migranti italiano. Un partenariato con giurisdizione europea vede l’Albania coinvolta con due hotspot che accoglieranno i migranti che arrivano dal Mediterraneo.

Il rischio è che l’intensificazione delle barriere poste ai migranti sia una conseguenza di politiche europee che si spostano sempre più a destra e che la Corte di Giustizia Ue sia costretta a intervenire. L’Ungheria è stata punita per la detenzione prolungata e le condizioni precarie nei centri di accoglienza ai confini con la Serbia: zone di transito che violavano i diritti umani. Ma nulla toglie il precedente ungherese non diventi un esempio per gli altri Stati membri.