Torna ad accendersi il dibattito europeo sulla mancata ratifica del Mes da parte dell’Italia. Durante la riunione dell’Eurogruppo a Bruxelles, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti avrebbe ricevuto nuove sollecitazioni da parte degli omologhi europei affinché l’Italia proceda alla ratifica.
L’Italia è l’unico Paese dell’Eurozona a non aver ancora ratificato la riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), bloccando di fatto l’operatività del nuovo strumento per tutti gli Stati membri. Una situazione che genera tensioni crescenti con i partner europei e che ha riportato al centro del dibattito politico italiano uno strumento finanziario nato durante la crisi del debito sovrano. Ma cosa è esattamente il Mes e perché il governo italiano continua a opporsi alla sua riforma?
Le origini del Mes: dalla crisi del debito alla stabilità finanziaria
Il Meccanismo europeo di stabilità nasce sulle ceneri della grande crisi finanziaria del 2008 e della successiva crisi dei debiti sovrani che ha colpito l’Europa. Nei primi mesi del 2010, quando la Grecia si trovava in gravi difficoltà nell’inserire i propri titoli sul mercato a causa del forte dissesto dei suoi conti pubblici, l’Unione europea si rese conto di non disporre di strumenti adeguati per affrontare crisi di questo tipo.
La decisione di istituire un meccanismo di stabilità fu presa a livello Ecofin il 9-10 maggio 2010, con la precisazione che la sua attivazione sarebbe stata soggetta a rigide condizioni, nel contesto di un sostegno congiunto Unione Europea/Fondo Monetario Internazionale. Inizialmente furono creati due strumenti temporanei: il Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (Mesf) e il Fondo europeo di stabilità finanziaria (Fesf).
Il trattato che ha formalmente istituito il Meccanismo europeo di stabilità è stato firmato il 2 febbraio 2012 dai 17 Stati che al tempo erano parte dell’area euro ed è entrato in vigore l’8 ottobre dello stesso anno. In Italia, il disegno di legge che ratificava il Mes venne presentato in Senato il 3 aprile 2012 e approvato definitivamente dalla Camera il 19 luglio dello stesso anno.
Come funziona il Meccanismo europeo di stabilità
Il Mes è un’organizzazione intergovernativa con sede in Lussemburgo, creata con un trattato affiancato (ma non incluso) a quelli europei. La sua funzione principale è concedere assistenza finanziaria ai Paesi membri che, pur avendo un debito pubblico sostenibile, abbiano difficoltà nel finanziarsi sul mercato.
Il Meccanismo può contare su un capitale di circa 700 miliardi di euro, di cui gli Stati membri versano un contributo pro quota. Con 14,33 miliardi di capitale versato e 125,4 miliardi di capitale sottoscritto, pari al 17,7% del totale, l‘Italia è il terzo maggior socio del Mes, dopo Germania (26,9%) e Francia (20,2%).
Per sostenere le richieste di assistenza, il Mes ha a disposizione una serie di strumenti: può erogare prestiti, acquistare sui mercati i titoli di stato del Paese in difficoltà o aprire linee di credito in via precauzionale. Negli anni della grande crisi economica e finanziaria, il Mes ha fornito assistenza a Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Cipro, Paesi che sono poi usciti dalla crisi anche grazie a questo supporto.
La riforma del Mes e il nodo della ratifica italiana
Nel 2017 è iniziata una discussione sulla possibile modifica del trattato istitutivo del Mes, che si è conclusa il 27 gennaio 2021 con la firma dei 19 Paesi dell’area euro a cui si è poi aggiunta la Croazia. Per entrare in vigore, questa riforma deve essere ratificata dai parlamenti di tutti e 20 gli Stati sottoscrittori. Al momento, tutti i Paesi hanno provveduto all’approvazione tranne l’Italia.
La riforma introduce alcune novità significative:
- Elimina il controverso Memorandum (principale motivo della resistenza italiana) che imponeva tagli e riforme lacrime e sangue in cambio degli aiuti, sostituendolo con una lettera d’intenti che assicura il rispetto delle regole del Patto di stabilità;
- Introduce la possibilità di utilizzare una parte dei fondi del Mes come paracadute (backstop) del fondo di risoluzione unico delle banche, con una linea di credito da 70 miliardi, a cui i Paesi potranno accedere se i loro fondi nazionali per le risoluzioni bancarie non sono sufficienti;
- Rafforza il ruolo del Meccanismo europeo di stabilità nei confronti della Commissione Ue, in caso di assistenza agli Stati in difficoltà;
- Consente al Mes di fare da mediatore tra Stati e investitori privati qualora fosse necessaria la ristrutturazione di un debito pubblico.
Perché l’Italia non ratifica la riforma
Una delle principali critiche mosse dal governo italiano riguarda la governance del Mes. L’organismo è guidato da un Consiglio dei governatori, composto dai ministri delle Finanze dell’area dell’euro, e da un Consiglio di amministrazione formato da nove funzionari esperti. Il governo italiano considera il Mes un’organizzazione caratterizzata da una componente di natura “privatistica”: i ministri delle Finanze non sono nominati né dalla Commissione europea, né dal Parlamento europeo e nemmeno dai parlamenti nazionali, essendo invece incaricati dai capi di governo.
Il vicepremier Matteo Salvini ha ribadito la linea dura della Lega: “Mes? No, grazie! Il Parlamento, anche grazie alla posizione ferma della Lega, che ha sempre combattuto il Mes sin dai tempi di Monti, ha già respinto il tentativo dell’Ue di metterci questo cappio al collo. Dalla sua trasformazione in ‘salva-banche’ non avremmo alcun vantaggio, perché le nostre banche godono di ottima salute”.
Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti ha persino proposto di “liquidare la quota italiana per riprenderci i nostri quindici miliardi con cui potremmo abbassare le tasse, fare investimenti e aumentare le pensioni, lasciando liberi gli altri di fare quello che vogliono”.
Anche Fratelli d’Italia mantiene una posizione contraria. Secondo il vicecapogruppo in Senato Raffaele Speranzon, il no al Mes è “una scelta di responsabilità verso l’Italia”, perché si tratta di “uno strumento profondamente inadeguato” e “privo di qualsiasi visione strategica utile alla crescita”, oltre a mettere a rischio “la sovranità economica degli Stati” con “commissariamenti mascherati“.
Le conseguenze del no italiano
La mancata ratifica da parte dell’Italia ha conseguenze significative per gli altri 19 Paesi:
- Isolamento diplomatico: l’Italia resta isolata in Europa, essendo l’unico Paese su venti a non aver ratificato l’accordo di modifica;
- Blocco dell’operatività del nuovo Mes: finché tutti gli Stati membri non avranno approvato la riforma, il meccanismo non potrà essere operativo. In sostanza, i fondi restano congelati per tutti;
- Mancanza di protezione per il sistema bancario: il sistema bancario europeo, incluso quello italiano, rimane privo di un’importante assicurazione rappresentata dal backstop per il fondo di risoluzione unico;
- Indebolimento della posizione negoziale italiana: rinviare ancora e sine die la ratifica del “nuovo” Mes rischia di creare non pochi problemi all’Italia in Europa e di indebolire la sua posizione negoziale su altri importanti dossier.
Una possibile via d’uscita?
L’ex presidente del Consiglio italiano Mario Monti ha proposto una possibile soluzione al problema. Il Professore fa perno proprio sulla motivazione addotta per il “no”, cioè il mancato coinvolgimento del Parlamento nel meccanismo decisionale: “Basterebbe che nella proposta di legge del governo per la ratifica, oppure in un ordine del giorno presentato contestualmente in Parlamento, figurasse un articolo del seguente tenore: ‘Il governo si impegna (oppure ‘Il Parlamento impegna il governo’) a non richiedere l’attivazione del Mes, senza specifica autorizzazione del Parlamento’“.
Tuttavia, al momento, la possibilità che Roma ratifichi la riforma del Mes nei tempi auspicati dai partner dell’Unione appare ancora remota, con il pressing di Bruxelles che si fa ogni giorno più serrato.