Meloni tra Bruxelles e Trump: missione (im)possibile contro la guerra dei dazi

Con l’Europa pronta ai controdazi e gli USA sempre più protezionisti, la premier vola a Washington per disinnescare la miccia. Ma il tempo stringe
5 giorni fa
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Meloni Trump Canva Ipa Ftg
(IPA/Fotogramma)

“America First”, seconda stagione. E questa volta Donald Trump non aspetta nemmeno di tornare alla Casa Bianca per rispolverare la sua agenda protezionista: dazi su acciaio e alluminio, minacce alle automobili europee e un ventaglio di misure che hanno riacceso la miccia della guerra commerciale. L’Unione Europea non resta a guardare. Pur ribadendo la volontà di negoziare, Bruxelles si prepara ad applicare controdazi a partire dal 15 aprile su una lista selezionata di prodotti americani. Il conto lo pagheranno whisky, motociclette, e forse anche i jeans a stelle e strisce. Nel mezzo, un vertice straordinario a Lussemburgo con i ministri del Commercio Estero e una missione diplomatica cruciale: quella della premier Giorgia Meloni a Washington, con un’agenda sempre più calda.

Come rispondere ai dazi americani

Se l’Unione appare compatta nella necessità di rispondere a Trump, la questione su “come” farlo ha fatto emergere crepe evidenti. Francia e Germania puntano su una risposta dura e senza sconti: il ministro francese Saint-Martin vuole attivare lo strumento anti-coercizione, noto come Aci, e metterlo sul tavolo come deterrente forte e visibile. Un “bazooka” normativo approvato nel 2023 ma mai usato finora, che permetterebbe all’Europa di escludere le imprese americane dagli appalti pubblici e limitare la protezione della proprietà intellettuale. Dall’altro lato, Irlanda e Lituania predicano prudenza: usare l’Aci significherebbe passare da una fase dialettica a un conflitto economico pieno. Simon Harris, ministro irlandese, ha definito l’Aci “una bomba nucleare”, da tenere chiusa nell’hangar.

Anche la presidenza polacca, per voce di Michal Baranowski, propende per un approccio graduale: il piano A rimane la trattativa, il piano B è una reazione proporzionata. E nel mezzo, un’Europa che vuole evitare la spirale della ritorsione incrociata. Ma la linea morbida è difficile da tenere, soprattutto ora che la Commissione ha in mano una lista di prodotti americani da colpire. Tajani, in equilibrio tra la lealtà atlantica e la difesa degli interessi nazionali, si dice moderatamente ottimista: l’obiettivo è evitare che nella lista finisca il bourbon, per non provocare un effetto domino su vino e agroalimentare europeo.

Il bazooka anti-coercizione

Approvato nel dicembre 2023, lo strumento anti-coercizione (Aci) è il frutto delle ferite lasciate dalla crisi con la Cina sul dossier Lituania-Taiwan. Mai utilizzato, è pensato per scoraggiare atti di pressione economica da parte di Paesi terzi. In pratica, l’Unione può ora rispondere in modo strutturato a dazi arbitrari, embarghi, boicottaggi e barriere doganali mascherate da norme tecniche. L’attivazione dell’Aci prevede prima una fase di dialogo, poi, se necessario, l’imposizione di misure temporanee e mirate su beni, servizi, appalti, investimenti, norme sanitarie o ambientali.

L’efficacia dello strumento dipende dalla capacità dell’Ue di agire in modo rapido e coeso: è la Commissione a proporre le misure, ma serve l’approvazione del Consiglio. Le aziende e i soggetti coinvolti possono fornire informazioni riservate per documentare un caso di coercizione. Il principio guida è quello dell’interesse generale dell’Unione, che deve bilanciare efficacia e impatto economico. In teoria, è un’arma che può rafforzare la posizione negoziale europea. In pratica, può anche diventare un boomerang, soprattutto in un momento in cui i mercati sono già in fibrillazione. Bruxelles, per ora, tiene la sicura inserita, ma il dito si avvicina al grilletto.

Dazi e contro-dazi

Il tempo stringe. La lista dei prodotti americani soggetti ai controdazi Ue verrà adottata ufficialmente il 15 aprile. Da quel giorno, scatteranno i primi prelievi alle frontiere, mentre una seconda tranche di dazi è attesa per metà maggio. L’Italia ha tentato invano di ottenere un rinvio, con Tajani che proponeva di slittare tutto al 30 aprile per favorire i negoziati. La proposta è naufragata per motivi tecnico-giuridici, ma resta il segnale politico: Roma vuole evitare la guerra commerciale a tutti i costi.

Nel frattempo, la presidente Ursula von der Leyen ha messo sul tavolo un’offerta shock: azzerare i dazi reciproci su tutti i beni industriali. Automobili, plastica, farmaceutica, chimica, macchinari: tutto. Un’idea che Trump ha ignorato, probabilmente per non sconfessare la sua retorica protezionista. Ma la proposta resta valida. L’eurodeputata belga Van Brempt non ha dubbi: Trump vuole che l’Europa si inginocchi. Eppure la Commissione insiste sul dialogo. Maros Sefcovic, commissario al Commercio, ha spiegato che le tariffe americane colpiscono il 70% delle esportazioni europee verso gli Usa, pari a 380 miliardi di euro. Numeri che fanno tremare i polsi. Il dialogo è aperto, ma il tempo corre.

Meloni a Washington

In questo scenario infuocato si inserisce la visita della premier Giorgia Meloni a Washington, strategicamente collocata nel calendario proprio a ridosso dell’adozione dei controdazi Ue. Un’agenda densa, tra incontri istituzionali e contatti con l’amministrazione americana. Ma il vero obiettivo è uno: sventare l’escalation. Meloni, in perfetto stile pragmatico, punta a preservare il dialogo transatlantico, strizzando l’occhio tanto a Bruxelles quanto a Trump, con cui i rapporti sono tutt’altro che tesi.

L’Italia, tradizionalmente filoamericana, si trova ora a giocare di sponda. Se da un lato è schierata con l’Ue nel difendere le proprie imprese, dall’altro cerca una mediazione che consenta di smorzare i toni. La visita è anche l’occasione per ribadire l’interesse italiano verso il gas naturale liquefatto americano e per rafforzare la cooperazione su temi chiave come energia, difesa e innovazione. Ma sarà sufficiente per convincere Washington a rallentare la macchina dei dazi? Difficile, almeno finché Trump continuerà a vederli come strumenti correttivi piuttosto che come leve negoziali. La diplomazia italiana cammina sul filo, tra l’incudine della linea dura europea e il martello del populismo economico made in Usa.