‘Måke Califørnia Great Ægain’, la risposta ironica degli attivisti danesi a Trump: cos’è la ‘hygge diplomacy’

Mentre il presidente Usa vuole la Groenlandia, il Paese scandinavo risponde con ironia: gli attivisti vogliono comprare la California. Mentre la politica danese cerca di non cadere nella trappola trumpiana dell'aggressività
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Denmarkification California attivisti
Immagine dal sito Denkmarkification

Mentre l’Unione europea non sa bene come affrontare il presidente Usa Donald Trump, la Danimarca ha una propria via che passa anche per l’ironia. Gli attivisti del gruppo Denmarkification hanno lanciato questa settimana un’iniziativa tra il serio e il faceto, più che altro una vera provocazione: se Trump vuole la Groenlandia, i danesi compreranno la California. L’iniziativa ha già raccolto quasi 240mila adesioni e punta ad arrivare a 500mila iscritti per sostenere il progetto di trasformare la California nella “Nuova Danimarca“.

Con un pizzico di sarcasmo, i promotori hanno immaginato un futuro in cui Los Angeles diventa “Løs Ångeles“, le piste ciclabili riempiono Beverly Hills e lo smørrebrød biologico diventa il nuovo street food californiano. Disneyland diventerebbe “Hans Christian Andersenland“, come tributo al celebre scrittore danese, e gli avocado toast non mancherebbero mai, visto che la California produce il 90% degli avocado americani. Non solo ma, piccola stoccata del gruppo, si potrebbero diffondere nel Paese americano “lo Stato di diritto, l’assistenza sanitaria universale e una politica basata sui fatti”.

Insomma, allo slogian trumpiano ‘Make Greenland Great Again’, gli attivisti rispondo con un sonoro ‘Måke Califørnia Great Ægain’.

Perché Trump potrebbe vendere?

D’altronde “sole, palme e pattini a rotelle” è proprio ciò di cui la Danimarca ha bisogno, quindi perché non farsi avanti? In fondo, sottolineano gli attivisti, il presidente non ama particolarmente la California, che ha definito come “lo Stato più rovinato degli Usa“, e negli anni ha ripetutamente litigato con i suoi leader. Perciò, in definitiva, è tutta una questione di prezzo. L’offerta, obiettivo del crowdfunding lanciato sul sito Denkmarkification, è di un trilione di dollari e una fornitura a vita di pasticcini danesi.

Calcolatrice alla mano, sono solo 200mila corone per ogni danese, ovvero meno di 27mila euro. Insomma, ha l’aria di un buon investimento.

Certo, ci sarebbe la questione della volontà popolare, ma i danesi evidenziano che questo non ha mai fermato il miliardario: se si convincerà a vendere la California, venderà la California.

Le pretese di Trump sulla Groenlandia

Ai primi di gennaio, ancor prima del suo insediamento ufficiale alla Casa Bianca, Trump ha riacceso l’interesse per la Groenlandia, ex colonia danese e oggi territorio autonomo appartenente al Regno di Danimarca, definendola di vitale importanza per la sicurezza americana e minacciando pesanti tariffe commerciali se Copenaghen non la cederà agli Usa. Ancora di più, non ha escluso l’uso della forza militare per ottenere l’isola, mentre suo figlio, Donald Trump Jr., negli stessi giorni l’ha visitata assicurando ai groenlandesi che “gli Usa li tratteranno bene”.

Il tycoon già durante il suo primo mandato aveva fatto delle ‘avances’ analoghe, prontamente e fermamente declinate. Tanto che, nel 2019, il presidente americano a causa di questi rifiuti aveva annullato un viaggio programmato nel Paese scandinavo.

Ora, la questione è tornata sul tavolo, con legislatori repubblicani che hanno persino presentato il ‘Make Greenland Great Again Act‘, che se approvato “ordinerebbe al Congresso di sostenere i negoziati di Trump con la Danimarca per acquisire immediatamente la Groenlandia”.

E ancora, nei giorni scorsi il deputato repubblicano Earl ‘Buddy’ Carter ha annunciato un disegno di legge per autorizzare l’acquisto della Groenlandia e ribattezzarla ‘Red, White and Blueland’: un gioco di parole con il nome anglosassone dell’isola, Greenland (terra verde) per creare un riferimento patriottico alla bandiera americana, rossa, bianca e blu. “Accoglieremo con orgoglio la gente della Groenlandia per unirsi alla nazione più libera mai esistita”, ha detto Carter.

Diplomazia hygge: la risposta della Danimarca a mire di Trump

Se l’iniziativa degli attivisti di Denmarkification è una provocazione, va detto che la Danimarca sta mettendo in campo una forma personalizzata di diplomazia per affrontare le pretese di Trump, che peraltro trovano sponda in un movimento indipendentista groenlandese che grazie ad esse ha ritrovato vigore.

Se Denmarkification sostiene che debba essere la Lego ad accordarsi con gli Stati Uniti riguardo alla California, poiché “avere a che fare con bambini che fanno i capricci per i mattoncini mancanti li ha resi esperti nella negoziazione”, più seriamente la premier Matte Frederiksen sta adottando quella che il presidente finlandese Alexander Stubb ha definito “hygge diplomacy“. Il riferimento è a uno degli aspetti più noti e apprezzati della cultura danese (maglioni, candele, fuoco dei camini e bevande calde, intimità e rilassatezza). In campo diplomatico, si sta traducendo in un approccio discreto, “dietro le quinte”, pragmatico e rassicurante per evitare lo scontro diretto e pubblico, inevitabilmente aggressivo, con Trump.

La prima ministra danese ha anche postato una foto su facebook che simboleggia l’informalità e la mancanza di spigoli dell’approccio nazionale alla politica oltre che alla vita privata.

Hygge Frederiksen Matte Fb
Cena a casa di Mette Frederiksen. Da sinistra: il primo ministro norvegese Jonas Gahr Støre, il primo ministro svedese Ulf Kristersson, il presidente finlandese Alexander Stubb e la premier danese Mette Frederiksen. (Foto dalla pagina facebook di Mette Frederiksen)

In questo approccio rientra la reazione di Frederiksen dopo la telefonata con Trump il mese scorso, seguita da ulteriori esternazioni da parte del presidente e dei suoi: la danese ha cercato di rimanere misurata e calma e ha ribadito che gli Stati Uniti sono il più stretto alleato della Danimarca.

Nello stesso spirito rientra anche il tour diplomatico tra Berlino, Parigi e Bruxelles intrapreso subito dopo le uscite del tycoon da Frederiksen, che ha ricevuto il sostegno di leader come Emmanuel Macron, Olaf Scholz e Mark Rutte. Il messaggio è chiaro: l’Europa è unita e non cederà alle pressioni americane. E passa attraverso le immagini di concordia e amichevolezza tra i leader (un bacio dal presidente francese Macron, gli abbracci con il capo della Nato Rutte), che parlano più di mille dichiarazioni.

O dovrebbero, perché in realtà il tour della danese, basato su incontri bilaterali che non hanno coinvolto i vertici dell’Unione, farebbe pensare invece a una frammentazione del blocco. Il che vorrebbe dire cadere nella trappola del divide et impera che Trump sembra voler portare avanti con l’Europa proprio per indebolirla. Un pensiero legittimo, nonostante in occasione del suo incontro con il cancelliere tedesco Scholz, Frederiksen abbia dichiarato: “Voglio assicurarmi che tutta l’Europa stia unita. Non solo in relazione al regno di Danimarca, ma anche più in generale”.

Poi ci sono delle eccezioni a questa via morbida e calma con la quale il Paese sta cercando di non finire nella bagarre dei toni aggressivi: l’eurodeputato danese Anders Vistisen, esponente del partito nazionalista di destra Danish People’s Party, il 22 gennaio scorso in Aula ha affermato di voler usare “un linguaggio comprensibile” al presidente americano per opporsi alle sue pretese sulla Groenlandia, e l’ha mandato a quel Paese.

Un po’ più moderatamente, martedì sera Vistisen ha denunciato l’iniziativa legislativa di Carter presso il Congresso Usa, affermando che è assurda e che può minare i rapporti tra Washington e la Danimarca.

Groenlandia tra Danimarca e Usa

Nel frattempo, le pretese a stelle e strisce continuano ad essere respinte. Sia Frederiksen che il primo ministro della Groenlandia, Múte B. Egede, si sono opposti fermamente. Egede, in una conferenza stampa con la premier a Copenaghen, ha dichiarato: “La Groenlandia è per il popolo groenlandese. Non vogliamo essere danesi, non vogliamo essere americani. Vogliamo essere groenlandesi”.

A inizio settimana, il Parlamento dell’isola artica ha indetto elezioni anticipate per l’11 marzo. Erik Jensen, leader di uno delle due forze al governo, il partito socialdemocratico Siumut, ha dichiarato in un’intervista che intende procedere a un referendum sull’indipendenza nella prossima legislatura e attivare l’articolo 21 della legge sull’autogoverno della Groenlandia per negoziare i termini delle future relazioni con il Regno. Anche l’altro partito al potere, Inuit Ataqatigiit, capeggiato da Egede, vuole il referendum ma, almeno al momento, non ha espresso tempistiche.

Queste aspirazioni però cozzano con il fatto che attualmente l’isola ha bisogno dei sussidi che ogni anno arrivano dal governo danese e dall’Unione europea. E cozzano anche con le mire degli Usa, che hanno interesse a sfruttare il desiderio di indipendenza dei groenlandesi ma col solo fine di farli diventare cittadini statunitensi.