Tre dei principali leader europei si sono ritrovati a Chișinău nel giorno dell’indipendenza moldava. Emmanuel Macron, Friedrich Merz e Donald Tusk hanno preso parte alle celebrazioni per il 34° anniversario, in una cornice che sarebbe andata oltre la dimensione cerimoniale. Secondo la presidenza moldava, la loro presenza avrebbe voluto rafforzare la posizione della presidente Maia Sandu in un contesto segnato da accuse di ingerenze russe e dall’avvicinarsi delle elezioni parlamentari di settembre.
“Con la loro presenza, i partner europei riaffermano la loro fiducia nella Repubblica di Moldova e il loro sostegno al percorso europeo del Paese”, si legge in un comunicato della Presidenza moldava. La visita, a un mese dal voto del 28 settembre, viene interpretata come un segnale diretto a Mosca e come un incoraggiamento all’elettorato moldavo.
Un Paese in campagna elettorale tra ingerenze e promesse di piazza
Il voto di settembre non sarebbe un’ordinaria tornata elettorale: dovrebbe stabilire se la Moldova resterà ancorata al fronte pro-Ue guidato dal Partito Azione e Solidarietà (Pas) di Maia Sandu o se i partiti filo-russi riusciranno a erodere la maggioranza parlamentare. Secondo i sondaggi di luglio, il Pas disporrebbe del 39% delle intenzioni di voto, un margine che non garantirebbe la conferma dell’attuale maggioranza assoluta di 63 seggi su 101. Il Partito socialista, vicino a Mosca, si attesterebbe intorno al 14,9%, mentre il resto dell’opposizione apparirebbe frammentato in più blocchi.
Per Sandu, la minaccia sarebbe concreta. “La Federazione russa intende controllare la Repubblica di Moldova a partire dall’autunno e sta preparando interferenze senza precedenti nelle elezioni di settembre”, ha dichiarato in conferenza stampa a Chișinău lo scorso luglio. Le sue accuse si aggiungerebbero a precedenti denunce relative a presunti finanziamenti occulti di proteste, tentativi di acquisto di voti e campagne digitali di disinformazione.
Nel dibattito è rientrata anche la figura dell’oligarca in esilio Ilan Shor, che avrebbe promesso 3mila dollari al mese a chi manifestasse contro il governo: un annuncio che ha suscitato polemiche e aperto a indagini giudiziarie. Secondo le autorità, episodi di questo tipo mostrerebbero la capacità del Cremlino di esercitare influenza attraverso canali indiretti.
Il clima rimane incerto. La Moldova, storicamente vulnerabile a spinte interne e pressioni esterne, risentirebbe di proteste manipolate, campagne di disinformazione e cyberattacchi.
La contestazione interna
Se da un lato la visita dei leader europei viene presentata come un segnale di sostegno a Maia Sandu, dall’altro l’opposizione filo-russa l’ha definita un’ingerenza. Igor Dodon, ex presidente, ha scritto in un post su Facebook: “Una grande delegazione visiterà il Paese con l’unico scopo di sostenere la presidente uscente Maia Sandu e il suo partito in vista delle elezioni”. In un altro passaggio dello stesso intervento ha aggiunto: “Immaginate se Putin o Lukashenko fossero venuti per il Giorno dell’Indipendenza, in vista delle elezioni presidenziali del 2020. Avrebbe suscitato un tale scandalo, anche in alcune capitali europee”.
Secondo alcuni analisti, le dichiarazioni di Dodon intercetterebbero un sentimento diffuso in parte dell’opinione pubblica: l’idea che l’Europa stia esercitando pressioni dirette sulla politica interna moldava. Una percezione che si intreccia con la storica frattura geopolitica del Paese, tra chi guarda a Bruxelles e chi continua a guardare a Mosca. Secondo rilevazioni elettorali, i blocchi Patriottico (Socialisti e Comunisti) e Alternativa (accusato dal governo di legami occulti con il Cremlino) potrebbero ottenere insieme oltre 40 seggi, aprendo la strada a una possibile maggioranza alternativa se il Pas non riuscisse a mobilitare la diaspora, già decisiva in passato.
La contesa politica sembrerebbe quindi giocarsi anche sul piano della legittimità internazionale. Da una parte i leader europei ribadirebbero il sostegno a una “sovranità minacciata”, dall’altra i filo-russi denuncerebbero la visita come un’“intromissione”. Nel mezzo rimane un Paese che nel 1991 ha proclamato l’indipendenza dall’Unione Sovietica ma che, più di trent’anni dopo, continua a confrontarsi con il peso di quell’eredità.
Transnistria e il nodo della sicurezza
Ogni analisi sulla stabilità moldava passa inevitabilmente per la Transnistria. La regione secessionista a est del Paese, sostenuta da Mosca fin dalla guerra del 1992, resta un nodo irrisolto che limiterebbe la piena sovranità di Chișinău. Qui sono ancora presenti truppe russe e il separatismo continuerebbe a rappresentare un fattore di pressione costante. Il conflitto in Ucraina avrebbe aggravato ulteriormente le vulnerabilità di Chișinău. In questo contesto, la presenza dei tre leader assumerebbe anche un valore di deterrenza, un messaggio indirizzato a Mosca sul fatto che l’Unione non intenderebbe lasciare scoperto il proprio fianco orientale.
Le autorità moldave, consapevoli della delicatezza del momento, hanno introdotto restrizioni al traffico e misure di sicurezza straordinarie in occasione delle celebrazioni del 27 agosto. Ma, secondo i servizi di sicurezza, la minaccia andrebbe oltre l’ordine pubblico: il Paese sarebbe esposto a tentativi di destabilizzazione attraverso canali non convenzionali, dai media vicini a oligarchi pro-Cremlino fino alle rimesse di denaro destinate a partiti e proteste.
L’orizzonte europeo
Sul piano internazionale, la Moldova è candidata ufficiale all’adesione all’Ue dal 2022, ma il percorso rimane complesso. Negli ultimi mesi a Bruxelles si è discusso della possibilità di aprire un primo “cluster negoziale” prima delle elezioni, un’ipotesi che secondo diversi osservatori avrebbe favorito Sandu e il suo partito. L’idea, tuttavia, ha diviso gli Stati membri: alcuni diplomatici hanno avvertito che un’accelerazione legata al calendario politico interno rischierebbe di apparire strumentale.
Il referendum costituzionale dell’ottobre 2024, che ha approvato con un margine risicato del 50,4% l’inserimento in Costituzione dell’obiettivo di adesione all’Ue, ha confermato quanto il Paese resti spaccato sul tema. Nonostante il risultato incerto, il governo continua a descrivere l’avvicinamento a Bruxelles come una scelta irreversibile.
Sul piano economico e politico, i vantaggi potenziali dell’ingresso nell’Unione sono evidenti: accesso a fondi strutturali, possibilità di attrarre investimenti e una cornice di sicurezza rafforzata. La Polonia viene spesso citata come modello: un Paese che, da ex membro del Patto di Varsavia, ha beneficiato in maniera significativa dell’integrazione europea. Varsavia ha ribadito che nessuno dei partner orientali dovrà più trovarsi isolato di fronte a pressioni esterne.
Resta però il nodo dei tempi. L’allargamento dell’Ue è un processo complesso e condizionato dagli equilibri interni. Se per alcuni la candidatura moldava appare più gestibile di quella ucraina, altri avvertono del rischio di accelerazioni che potrebbero rivelarsi controproducenti. Intanto la presidenza Sandu lega gran parte della propria legittimità politica a questo percorso, rendendo l’integrazione europea un tema strutturale del dibattito interno.