“L’Europa è più sgradevole della Cina”. È solo l’ultima delle dichiarazioni provocatorie del presidente Usa Donald Trump rivolte all’Unione europea, fresco stavolta di un inaspettato accordo con il Dragone per sospendere l’escalation di dazi commerciali. Un accordo che con l’Ue, nonostante la pausa di 90 giorni in corso, sembra ancora lontano. Ma mentre Trump insulta a più riprese gli europei (nonché, sottilmente, anche i cinesi), sono proprio gli Usa a perdere smalto nella percezione globale: la loro popolarità è crollata di 27 punti percentuali dai tempi di Joe Biden, stando al Democracy Perception Index 2025. Un paradosso per chi aveva promesso di rendere l’America ‘Great Again’ (di nuovo grande).
Il sondaggio, realizzato dalla Alliance of Democracies Foundation in collaborazione con Latana e Nira Data in occasione del Democracy Summit in corso a Copenaghen, è stato condotto su oltre 110mila persone in 100 Paesi con l’obiettivo di capire come i cittadini percepiscano i valori democratici fondamentali – elezioni, solidità dello stato di diritto, libertà di parola e partecipazione – e la loro aderenza nella pratica.
Gli Stati Uniti crollano
Per gli Stati Uniti è un crollo: la maggior parte degli intervistati nel mondo ha cambiato drasticamente opinione sul Paese. Il punteggio netto di percezione globale degli Usa infatti è ora al -5%, a fronte del +22% di un anno fa.
Addirittura gli Stati Uniti sprofondano sotto la Cina e si collocano poco sopra la Russia, risalita al -9% dal -14% del 2024. Nel dettaglio, solo il 45% dei Paesi giudica gli Usa positivamente, rispetto al 76% dell’anno precedente.
Nel frattempo, la Cina ha registrato il 14% di buone opinioni rispetto al precedente +5%, risultando quindi per la prima volta più popolare degli Usa e raccogliendo percezioni per lo più favorevoli in tutte le regioni. Gli alleati degli Stati Uniti come Israele, Corea del Sud, Giappone, Polonia e Ucraina continuano a preferirli, ma si tratta di eccezioni: nell’Europa occidentale, in gran parte dell’Asia e dell’America Latina, e soprattutto in Medio Oriente e Nord Africa, la Cina è considerata molto più positivamente degli Stati Uniti. Nel Vecchio Continente, solo Lituania, Ungheria, Polonia e Regno Unito valutano Washington meglio di Pechino.
Sicuramente su questo risultato pesano gli insulti del tycoon, che ha più volte definito gli europei “scrocconi, cattivoni e parassiti“.

Trump: impopolarità record a livello mondiale
Non occorre andare lontano per capire il perché di questo cambiamento: è tutto merito di Trump. Dalle sue continue critiche all’Ue alle sue dichiarazioni controverse, dalla scomposta guerra dei dazi al crollo delle Borse fino all’addio agli aiuti umanitari (rinunciando, en passant, a varie forme di ‘soft power’), in tutto il mondo la reazione è stata netta.
La conferma viene dalla reputazione del presidente Usa, che a livello globale è meno popolare anche di Putin e Xi Jinping. In sostanza, il tycoon ha ottenuto il punteggio peggiore tra una serie di leader politici, culturali e spirituali – tra cui Elon Musk, Bill Gates, Papa Francesco, Taylor Swift e Kim Kardashian – risultando quello con l’immagine più universalmente negativa.
Nell’82% dei Paesi, il 57% in media delle persone lo giudicano in modo sfavorevole e solo il 27% positivamente. Dietro di lui Putin, che raccoglie percezioni nette negative nel 61% dei Paesi, e Xi Jinping con il 44%. Anche Elon Musk ottiene una percezione netta negativa complessiva, mentre Bill Gates sembra essere molto apprezzato con un punteggio netto positivo che supera sia Papa Francesco che Taylor Swift.
Trump è visto negativamente in quasi tutte le regioni del mondo, specialmente nei Paesi democratici. Solo nell’Africa sub-sahariana riceve un rating leggermente positivo. Putin, nel frattempo, è percepito altrettanto negativamente di Trump nei Paesi democratici, ma l’opinione è più neutrale in Asia e nella regione Mena (Middle East and North Africa), ed è leggermente positiva nei Paesi autoritari e in tutta l’Africa subsahariana.
Xi Jinping riceve invece valutazioni complessivamente molto meno negative, con opinioni leggermente positive nei Paesi autoritari, in particolare nell’area Mena e nell’Africa subsahariana. Nei Paesi democratici, compresa l’Europa, il leader cinese viene considerato negativamente, ma meno di Trump o Putin.

La democrazia è ancora la forma di governo preferita
“Non sono sorpreso che la percezione degli Stati Uniti sia diminuita così drasticamente, anche se trovo rassicurante che il sostegno all’ordine internazionale basato sulle regole rimanga forte in tutto il mondo”, ha commentato Anders Fogh Rasmussen, presidente di Alliance of Democracies Foundation ed ex segretario generale della Nato.
Infatti, nonostante il calo degli Usa, l’analisi mostra che la fiducia nella democrazia resta alta a livello globale: due terzi degli intervistati la considerano la forma di governo preferita. Ma ci sono ancora molte sfide che preoccupano i cittadini: la corruzione, la mancanza di trasparenza e l’influenza indebita di interessi particolari.
C’è poi un ampio sostegno a un ordine internazionale basato sulle regole: l’85% degli intervistati crede che i Paesi debbano rispettare le leggi internazionali, anche se questo limita la loro libertà d’azione. Un’opinione condivisa da persone sia negli Stati democratici che in quelli non democratici, comprese le grandi potenze come gli Stati Uniti, la Russia e la Cina.
Non tutti combatterebbero per difendere il proprio Paese
Tuttavia, ha sottolineato Rasmussen, rimangono contrastanti le opinioni sulla spesa per la difesa e la volontà delle persone di difendere il proprio Paese, definite “piuttosto preoccupanti, soprattutto in Europa “.
Nel Vecchio Continente, infatti, i cittadini di Paesi come Ucraina, Polonia, Norvegia, Georgia, Finlandia, Svezia, Paesi Bassi e Regno Unito sostengono l’aumento della spesa per la difesa, mentre quelli di Italia, Francia, Grecia, Austria e Belgio si oppongono. In Germania l’opinione pubblica è divisa.
Anche la disponibilità a difendere personalmente il proprio Paese in caso di attacco varia fortemente: in Europa, è alta in Norvegia, Grecia e Svezia, ma bassa in Francia, Belgio, Moldavia e Italia.
A livello globale, i Paesi autoritari mostrano maggiore prontezza (59%) rispetto alle democrazie (45%). Gli intervistati nella regione Mena hanno riportato la più alta disponibilità a combattere (69% tra quelli di età compresa tra 18 e 55 anni).

Infine, un campanello d’allarme non analizzato nel Democracy Perception Index ma comunque rilevante è una crescente disillusione da parte dei giovani della Gen Z, molti dei quali esprimono scetticismo verso la democrazia, con alcuni che preferirebbero forme di governo più autoritarie.
Anche per questo è particolarmente significativo il monito lanciato infine da Rasmussen commentando i risultati dell’Indice: “Ogni anno questo sondaggio conferma che i cittadini in tutto il mondo credono nella democrazia, ma coloro che hanno la fortuna di vivere nelle democrazie chiedono con forza che i loro governi mantengano le promesse”.