Lecornu salvo (per ora): la fragile sopravvivenza del governo francese tra sfiducia, pensioni e bilancio

Il premier francese sopravvive a due mozioni di sfiducia in Parlamento, ma la crisi di fiducia verso Macron e il rischio di paralisi restano aperti
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Il primo ministro francese Sebastien Lecornu (Afp)

Un voto dopo l’altro, la sopravvivenza politica di Sébastien Lecornu è passata attraverso una camera agitata e frammentata. In meno di ventiquattro ore, l’Assemblea nazionale ha respinto due mozioni di sfiducia: la prima, presentata da La France Insoumise, ha ottenuto 271 voti favorevoli, 18 in meno del quorum necessario di 289; la seconda, firmata dal Rassemblement National di Marine Le Pen, si è fermata a 144.

Il premier può tirare un sospiro di sollievo, ma la tregua è fragile.

La tensione in aula è stata evidente. Lecornu, spesso interrotto dalle opposizioni, ha difeso la legittimità del suo governo e accusato i promotori delle mozioni di “confondere la tribuna dell’Assemblea nazionale con una tribuna pubblicitaria”. “Le elezioni presidenziali arriveranno – ha detto – avrete l’occasione di fare campagna elettorale. Per ora non prendete in ostaggio il bilancio”.

Le sue parole sono arrivate al termine di un dibattito acceso, segnato da urla, cartelli e interruzioni. La presidente dell’Assemblea, Yaël Braun-Pivet, è stata costretta più volte a sospendere la seduta per ripristinare l’ordine.

Dietro la scena parlamentare si muove una dinamica più profonda: la crisi strutturale del potere esecutivo francese, costretto a navigare in un Parlamento senza maggioranza assoluta, dove ogni legge si trasforma in una trattativa a più livelli.

Come Lecornu ha evitato il baratro

Lecornu non era affatto certo di sopravvivere. A 39 anni, il premier più giovane della Quinta Repubblica si è trovato a gestire due governi in sette giorni: il primo, nominato da Emmanuel Macron, si era dimesso dopo poche ore dalla formazione, travolto dalle contestazioni interne. Il secondo è nato domenica, dopo un rapido reincarico, con la missione di costruire una maggioranza “funzionale”.

Il vero ago della bilancia si è rivelato il Partito Socialista, piccolo ma decisivo, che ha accettato di sostenere Lecornu in cambio di una sospensione della riforma delle pensioni, la più contestata tra le misure del macronismo.

La legge, approvata nel 2023 con l’uso dell’articolo 49.3 della Costituzione – lo stesso che consente al governo di approvare un testo senza voto parlamentare – aveva innalzato l’età pensionabile da 62 a 64 anni.

Martedì, alla vigilia del voto, Lecornu ha promesso di congelare la riforma fino alle presidenziali del 2027, attraverso un emendamento al bilancio della sicurezza sociale. È stato un gesto di equilibrio, più politico che tecnico, che ha convinto parte dei deputati socialisti a non unirsi al fronte delle sfiducie.
Tuttavia, la sospensione resta ambigua: non una cancellazione, ma un rinvio tattico. E il prezzo pagato dal governo è un nuovo segnale di debolezza.

Senza quella concessione, Lecornu avrebbe rischiato una caduta con conseguenze potenzialmente esplosive: la necessità per Macron di indire elezioni legislative anticipate, scenario che il presidente e la sua maggioranza centrista vogliono a ogni costo evitare. I sondaggi danno infatti il Rassemblement National come primo partito, in grado di capitalizzare il malcontento sociale e la stanchezza verso l’attuale governo.

“Il Rassemblement National attende il giorno della dissoluzione con impazienza crescente. Non vediamo l’ora di restituire le urne ai francesi”, ha dichiarato Marine Le Pen in aula. Il tono era di sfida, ma la realtà numerica non le ha dato ragione.

Il doppio equilibrio tra Esecutivo e Parlamento

Dietro la resistenza di Lecornu c’è un equilibrio precario che coinvolge direttamente l’Eliseo. Macron ha evitato per ora un nuovo terremoto politico, ma il prezzo è una crescente paralisi decisionale.
Dal 2022, il presidente governa senza maggioranza assoluta. Ogni legge, ogni provvedimento passa da compromessi con forze avverse o ambigue. Lecornu ha promesso di non usare l’articolo 49.3 per approvare il bilancio 2026, un impegno politico pesante che mette il Parlamento al centro del processo.
Il testo arriverà in Commissione Finanze lunedì, prima di approdare in aula a fine mese.

La promessa di non ricorrere al “grilletto costituzionale” – così viene spesso chiamato il 49.3 – rappresenta un tentativo di riconciliare un’Assemblea nazionale frammentata, ma rischia di trasformarsi in un boomerang. Ogni discussione sul bilancio offrirà all’opposizione una nuova occasione per presentare mozioni di sfiducia, un’arma che, pur raramente vincente, può logorare il governo nel tempo.

In Francia, la mozione di sfiducia ha un alto valore simbolico. Anche quando non passa, lascia il segno. Nel caso di Lecornu, due in una settimana sono un segnale politico chiaro: la sua maggioranza è “tollerata”, non sostenuta.

Il premier lo sa. La sua strategia è quella della coabitazione soft: un esecutivo di minoranza che sopravvive accordo per accordo, rinunciando a una parte dell’agenda originaria pur di restare in piedi.

Questo approccio, tuttavia, non piace a una parte dell’opinione pubblica francese, che percepisce l’esecutivo come “sospeso” tra la continuità macroniana e un realismo imposto dalle circostanze.
La Francia è in un momento politico ibrido, dove ogni decisione è un compromesso e ogni compromesso è una perdita di forza.

Il rischio politico

Con la sopravvivenza formale del governo, la vera sfida inizia ora: il bilancio 2026. La legge di bilancio sarà il primo banco di prova per verificare se Lecornu è in grado di costruire una coalizione parlamentare di fatto.

Il premier ha promesso una discussione “aperta e democratica”, ma la realtà dei numeri è implacabile: senza il sostegno dei socialisti o di parte dei repubblicani, nessuna legge potrà passare.

In questo quadro, il rischio di paralisi legislativa è alto. L’opposizione di sinistra, guidata da Mathilde Panot (LFI), ha già annunciato una nuova mozione, questa volta contro Emmanuel Macron. È un gesto simbolico, quasi senza possibilità di successo, ma che servirà a tenere alta la tensione e a testare la lealtà dei centristi.

Nel frattempo, Lecornu deve gestire un’agenda economica complessa: un deficit ancora sopra il 5%, la necessità di rispettare le regole fiscali europee rientrate in vigore nel 2025 e la crescente pressione sociale.
Le proteste contro l’austerità si moltiplicano, i sindacati preparano nuovi scioperi, e la fiducia dei mercati verso Parigi dipende dalla capacità del governo di far passare un bilancio credibile.

Il premier ha promesso di evitare scorciatoie costituzionali, ma se il Parlamento si bloccasse, il 49.3 resterebbe l’unico strumento per evitare un default politico. Sarebbe però un colpo pesante per la sua credibilità, soprattutto dopo aver giurato di non usarlo.

Sullo sfondo, Macron osserva. Il presidente non può permettersi una crisi di governo a metà del mandato. Una caduta di Lecornu riaprirebbe il dibattito sulla legittimità dell’intero progetto politico centrista e costringerebbe l’Eliseo a un difficile esercizio di equilibrio: sciogliere l’Assemblea o tentare l’ennesima nomina di emergenza.

In entrambi i casi, l’effetto sarebbe quello di un Paese sempre più diviso, con una classe politica prigioniera dei propri numeri.

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