L’Europa si trova oggi di fronte alla sua più grave crisi di sicurezza dalla fine della Seconda guerra mondiale. La minaccia russa, l’incertezza sulle future scelte strategiche degli Stati Uniti e la necessità di una risposta comune pongono l’Unione Europea di fronte a un bivio cruciale. La recente riunione ristretta, organizzata dal presidente francese Emmanuel Macron a Parigi, ha segnato una rottura rispetto alle tradizionali modalità di gestione delle crisi dell’Unione Europea, privilegiando un formato ristretto, piuttosto che a 27, alla presenza dei premier di Germania, Italia, Spagna, Polonia, Danimarca e Regno Unito (nonostante la sua uscita dall’Unione Europea cinque anni fa). All’Eliseo anche il segretario generale della Nato, Mark Rutte e i vertici Ue, Antonio Costa e Ursula von der Leyen.
Esclusi dal tavolo, invece, l’Ungheria di Viktor Orbán e la Slovacchia di Robert Fico, giudicati troppo vicini a Mosca per contribuire efficacemente a una strategia comune, così come gli Stati baltici, tra i più intransigenti nei confronti della Russia. Questo format ridotto riflette l’impazienza di alcuni governi nei confronti delle lunghe e spesso inconcludenti discussioni del Consiglio Europeo, dove l’unanimità spesso si traduce in compromessi diluiti o paralisi decisionale.
Il dilemma dell’intervento militare
Dietro la decisione di limitare il numero di partecipanti si cela un obiettivo preciso: elaborare una strategia per fronteggiare il futuro della sicurezza europea in un contesto in cui la protezione statunitense non è più garantita. L’annuncio di Donald Trump, Trump di voler negoziare direttamente con la Russia per concludere la guerra in Ucraina “immediatamente”, ha scosso profondamente le cancellerie europee. Il rischio di un accordo tra Stati Uniti e Russia senza il coinvolgimento dell’Europa o di Kiev ha costretto i leader del continente a un cambio di passo, ma l’incontro all’Eliseo non ha portato a un consenso chiaro sulle modalità per farlo.
La proposta di Macron di creare una “coalizione dei volenterosi” per garantire la sicurezza ucraina si scontra con la prudenza di altri paesi. Il premier britannico Keir Starmer ha aperto alla possibilità di inviare truppe in Ucraina per far rispettare un futuro cessate il fuoco, ma solo con il coinvolgimento degli Stati Uniti. Al contrario, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha definito il dibattito sull’invio di truppe “prematuro e inappropriato”, mentre il premier polacco Donald Tusk ha dichiarato senza mezzi termini che la Polonia non manderà soldati sul suolo ucraino, evidenziando come le forze polacche siano necessarie per difendere i confini con Kaliningrad e la Bielorussia.
Il tema ha evidenziato le difficoltà di costruire un fronte comune in Europa quando si tratta di decisioni militari. L’Ue non è strutturata per gestire operazioni belliche e le sue istituzioni sono orientate più alla governance economica che alla pianificazione strategica. La storia recente ha dimostrato che le operazioni militari europee avvengono spesso attraverso coalizioni di volontari, come accaduto in Libia nel 2011 con l’intervento di Francia, Regno Unito e Stati Uniti. Tuttavia, l’assenza di un chiaro coordinamento e di un piano comune sta rendendo difficile qualsiasi iniziativa su larga scala.
L’urgenza di un piano per la difesa europea
Se sul tema delle truppe il disaccordo è evidente, sul fronte del rafforzamento della difesa il vertice ha registrato una maggiore convergenza. Ursula von der Leyen ha sottolineato che “la sicurezza dell’Europa è a un punto di svolta” e che è necessaria una “mentalità di urgenza” per aumentare la spesa militare. Negli ultimi dieci anni, gli investimenti in difesa sono cresciuti costantemente, ma non abbastanza per garantire un’autonomia strategica del continente. La proposta della Commissione Europea di esentare le spese militari dai vincoli di bilancio dell’Ue ha trovato il sostegno di Scholz, che ha ribadito la necessità di attivare meccanismi straordinari per potenziare le capacità difensive europee.
L’idea di un maggiore coordinamento negli acquisti militari e nella produzione di armamenti è stata accolta favorevolmente, ma resta da vedere se si tradurrà in azioni concrete. In passato, tentativi di questo tipo sono stati ostacolati dalle differenze tra gli Stati membri e dalle loro priorità divergenti. L’urgenza della situazione attuale potrebbe però rappresentare l’occasione per un cambio di paradigma, spingendo l’Europa verso un’integrazione più profonda nel settore della difesa.
Il ruolo degli Stati Uniti
Uno dei temi sottostanti al vertice di Parigi è stato il rapporto con gli Stati Uniti. Sebbene l’Europa riconosca la necessità di rafforzare le proprie capacità difensive, nessun leader ha apertamente sostenuto una rottura con Washington. La Germania, in particolare, ha insistito sul fatto che “non ci deve essere una divisione tra sicurezza europea e americana”, segnalando che il supporto degli Stati Uniti rimane essenziale per la deterrenza contro la Russia.
Tuttavia, la crescente incertezza sulla politica estera statunitense, specialmente in caso di una nuova presidenza Trump, ha spinto molti governi europei a considerare scenari in cui il continente debba fare affidamento principalmente sulle proprie forze.
L’Italia e le perplessità di Meloni
L’incontro di Parigi ha riaffermato la necessità di un maggiore impegno europeo nella difesa, ma ha anche evidenziato le difficoltà nel raggiungere una posizione condivisa tra gli Stati membri. La premier italiana Giorgia Meloni ha partecipato al vertice con l’obiettivo di rappresentare il punto di vista dell’Italia, ma ha espresso riserve sulla struttura della riunione, ritenendo che l’esclusione di alcuni Paesi, in particolare quelli più esposti al rischio di un’estensione del conflitto, fosse una scelta controproducente. “La guerra in Ucraina l’abbiamo pagata tutti”, avrebbe sottolineato Meloni, ribadendo che le decisioni sulla sicurezza europea dovrebbero essere prese con un processo più inclusivo. Per l’Italia, la priorità rimane garantire sicurezza a Kiev, ma anche evitare soluzioni che possano alimentare ulteriori tensioni all’interno dell’Ue. In quest’ottica, Meloni ha sottolineato l’importanza di un confronto approfondito sulle varie ipotesi in discussione, evidenziando le criticità legate all’eventuale dispiegamento di truppe europee in Ucraina, una prospettiva ritenuta complessa e poco efficace. L’Italia ha manifestato perplessità su questa opzione, ritenendo necessario esplorare alternative che coinvolgano anche gli Stati Uniti, poiché la sicurezza europea rimane strettamente legata all’asse euro-atlantico.
La premier ha inoltre osservato come il dibattito sul ruolo dell’Europa nella difesa non sia una novità e come l’attuale spinta a rafforzare l’autonomia strategica europea sia stata preceduta da riflessioni analoghe da parte di figure di spicco nel panorama politico del continente. Meloni ha posto l’accento sulla necessità di un approccio pragmatico e focalizzato su obiettivi concreti, tra cui la protezione della sicurezza collettiva, la difesa dei confini europei e la tutela del tessuto produttivo del continente. Secondo la presidente del Consiglio, i cittadini europei chiedono risposte chiare e strategie efficaci, sottolineando come l’attenzione non debba concentrarsi esclusivamente su ciò che gli Stati Uniti possono fare per l’Europa, ma su ciò che l’Europa deve fare per rafforzare la propria capacità di autodifesa.
Infine, la premier ha ribadito che il vertice di Parigi non vada considerato come un formato anti-Trump. Al contrario, ha evidenziato come gli Stati Uniti stiano lavorando per favorire una soluzione pacifica del conflitto in Ucraina e come l’Europa debba assumersi le proprie responsabilità in questo processo. In questo contesto, Meloni ha espresso condivisione per il senso della parole del vicepresidente americano J.D. Vance, ricordando di aver espresso concetti simili in precedenza. Ancora prima di garantire la sicurezza in Europa, avrebbe sottolineato Meloni, è necessario sapere che cosa stiamo difendendo.