In attesa di capire cosa emergerà dal vertice di oggi tra Trump, Zelenksy e i rappresentanti Ue, il ministro degli esteri russo, Sergej Lavrov, ha lanciato un messaggio all’Occidente sfoggiando la felpa “Cccp” arrivando in Alaska per il summit di Ferragosto. La scritta è l’acronimo cirillico di “Urss”, l’Unione delle repubbliche socialistiche sovietiche e non rappresenta una provocazione estemporanea.
Prima dell’incontro, il segretario di Stato Usa, Marco Rubio, ha detto al ministro russo: “Mi piace la sua felpa”. Putin ha sorriso, convinto che il riferimento fosse al completo sfoggiato dal ministro durante la riunione ufficiale. Quando ha capito che il riferimento fosse alla felpa indossata da Lavrov prima di entrare nel summit, il presidente russo si è rivolto con tono ironico verso il suo ministro degli esteri definendolo: “Imperialista”.
Il giornalista propagandista russo Pavel Zarubin ha mostrato in tv le immagini inedite di questo momento, che ha generato sorrisi ad Anchorage e qualche risentimento a Kiev e in Europa.
🇷🇺🇺🇸 Rubio asked about Lavrov’s Soviet Union (CCCP) shirt.
Putin responded with a jokes that Lavrov is an Imperialist.
Everyone laughs. pic.twitter.com/p2IIosNEsx
— Lord Bebo (@MyLordBebo) August 17, 2025
Non solo: Ekaterina Varlakova, fondatrice del marchio che produce la felpa, ha raccontato ai media russi che già nella mattinata di venerdì il capo d’abbigliamento era andato esaurito. Le richieste, arrivate da tutta la Russia e anche dall’estero, sono ora gestite solo su prenotazione, con tempi d’attesa superiori a un mese.
Felpa “Cccp”, cosa significa
Per molti osservatori, la felpa indossata da Lavrov non è solo un richiamo all’identità nazionale, ma un messaggio rivolto ai negoziatori occidentali: la Russia è disposta a rispolverare logiche di potenza tipiche del secolo scorso per difendere i propri interessi, soprattutto nelle regioni considerate “proprie” come l’Ucraina. Lavrov, che in passato è stato consigliere sovietico, ha spesso rilanciato la nostalgia per l’Urss, la cui disgregazione è stata definita da Putin, nel 2005, come “la più grande catastrofe politica del XX secolo”.
Nel dicembre 1991 l’Ucraina tenne un referendum sull’indipendenza e il 90% dei votanti rispose “Sì”. Fu il colpo di grazia per l’Urss che fu sciolta il 26 dicembre 1991, mentre tutte le sue repubbliche diventarono stati indipendenti.
A distanza di oltre trent’anni, la scelta di indossare quella felpa rientra in una narrazione dove la simbologia abbigliamento diventa mossa tattica: “non cerchiamo mai di anticipare l’esito dei negoziati, sappiamo però di avere argomenti e una posizione chiara” ha dichiarato Lavrov in Alaska. Una posizione resa ancora più chiara da quella scritta sul suo petto.
Lavrov e l’eredità dell’Urss: cosa ha detto
Più volte Sergej Lavrov ha rievocato i tempi dell’Unione sovietica: dal discorso sul ritorno alle logiche della Guerra fredda alle dichiarazioni sulla “linea pericolosa” evocata nel 2023 all’Onu, il ministro ha spesso sottolineato il rischio di una nuova cortina di ferro e la legittimità dell’azione russa come risposta, quasi inevitabile, alle pressioni occidentali.
Per Lavrov, l’apertura della Russia verso l’Occidente, dopo il crollo dell’Urss, è stata “un errore riconosciuto persino a livello statale”. La scelta della felpa si inserisce, dunque, lungo un filone coerente di interventi pubblici che, dal palco diplomatico alla cronaca, rimettono al centro la simbologia sovietica come strumento di pressione e revanscismo.
Parlando con Eurofocus, il giornalista e scrittore americano Alan Friedman ha ricordato la natura “revanscista” della politica di Vladimir Putin, sostenendo che “lo zar non si femerà all’Ucraina”.
Von der Leyen: l’Ucraina “deve diventare un porcospino d’acciaio”
Nel simbolo Cccp trova spazio una rivendicazione d’appartenenza non solo territoriale — come ribadito più volte sulla questione Ucraina — ma anche ideologica. Il senso di continuità con l’Urss riafferma la visione di Mosca come crocevia tra memoria e potenza, uno spettro che si aggira ai confini orientali dell’Europa.
Non a caso, in questi mesi la parola “deterrenza” è stata una delle più utilizzate dai rappresentanti europei, convinti che non basterà raggiungere la tregua per tenere l’Europa al sicuro.
Un concetto ribadito ieri da Ursula von der Leyen, durante un punto stampa con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Bruxelles, dove la presidente della Commissione Ue ha specificato che “Non ci devono essere limiti alle forze armate ucraine, né limitazioni alla cooperazione con Paesi terzi o ricevere assistenza da Paesi terzi” e che “l’Ucraina deve diventare un porcospino d’acciaio” per scongiurare nuove offensive russe nei prossimi anni.
Intanto, l’attenzione internazionale si sposta su Washington, dove nel tardo pomeriggio di oggi si terrà un vertice tra Donald Trump, Volodymyr Zelensky e numerosi leader europei, tra cui la presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni, il cancelliere tedesco Friedrich Merz, il presidente francese Emmanuel Macron e la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen.
Per approfondire: I “Volenterosi” a Washington per gli accordi di pace tra Ucraina e Russia: cosa aspettarsi