Lagarde mette in guardia l’Ue. Il peggioramento dell’economia è un rischio concreto

"L’area euro è vulnerabile agli shock esteri", ma la presidente Bce non si sbilancia sulle mosse di Trump: "Valuteremo i fatti"
1 settimana fa
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Christine Lagarde Presidente Bce
Christine Lagarde presidente della Bce

Christine Lagarde ribadisce la linea degli ultimi trimestri: nessun percorso predefinito sui tassi di interesse, tutto dipende dalla situazione geopolitica. Un campo in cui, soprattutto dopo l’inizio della guerra in Ucraina, l’unica certezza è l’incertezza.

“Le prospettive economiche a medio termine sono incerte e dominate da rischi al ribasso. I rischi geopolitici sono elevati, con crescenti minacce al commercio internazionale”, ha detto ieri al Parlamento europeo la presidente della Bce nel suo intervento in commissione Econ (Commissione per i problemi economici e monetari). Lagarde ha aggiunto: “Gli alti livelli di apertura commerciale e di integrazione nelle catene di fornitura globali rendono l’area euro vulnerabile agli shock esteri, con potenziali barriere commerciali che pongono minacce alla produzione e agli investimenti”.

Lagarde su Trump: “Valuteremo i fatti”

Nelle sue parole è chiaro il riferimento di Lagarde a Donald Trump e ai dazi promessi dal vecchio/nuovo presidente Usa, che si insedierà a gennaio. Prevedere le reali mosse del tycoon è impossibile: le minacce commerciali sembrano concrete, ma non si può escludere che siano un gioco al rialzo per fare debito pubblico senza risentirne troppo sui mercati.

“Passando alle elezioni che hanno avuto luogo oltre Atlantico, prima di tutto, vorrei essere prudente perché dobbiamo vedere cosa viene effettivamente fatto, cosa viene consegnato, cosa viene legiferato, cosa viene implementato. E mentre le parole contano, sapete, c’è qualcosa: che non creano i fatti. Bene, penso che dobbiamo vedere i fatti per capire esattamente. Ma dobbiamo prepararci a questo”, ha detto la presidente della Banca Centrale Europea riferendosi a uno scenario di tensione commerciale con gli Usa.

Rivedremo la nostra posizione la prossima settimana, seguendo il nostro approccio dipendente dai dati e meeting-by-meeting. Pertanto non ci stiamo impegnando in anticipo per un percorso di tasso particolare”, ha poi aggiunto Lagarde ribadendo la situazione scomoda dell’Ue. Nell’attuale contesto politico e commerciale, le scelte di Francoforte e l’andamento dell’inflazione sono interconnesse alle altre potenze globali più di quanto avvenuto in passato.

Lagarde sulle prospettive dell’inflazione

“Si prevede che l’inflazione aumenterà temporaneamente nel quarto trimestre di quest’anno, poiché i precedenti bruschi cali dei prezzi dell’energia non saranno più considerati nei tassi annuali, prima di scendere fino all’obiettivo nel corso dell’anno prossimo. Le sfide che ci troviamo ad affrontare – ha proseguito Lagarde – ci impongono anche di ripensare il ruolo dell’Ue nell’affrontare le esigenze di investimenti strategici”.

L’attuale scenario potrebbe anche rappresentare un’occasione per l’Unione europea, che però deve vincere le divisioni interne e la sfida tecnologica. Lo ha ribadito ieri Lagarde nel suo intervento in commissione Econ: “Come hanno osservato Enrico Letta e Mario Draghi nei loro report, l’Europa è attualmente al di sotto del suo potenziale. Un’idea chiave che attraversa i report è che l’Europa è più grande delle sue parti costituenti. Investimenti congiunti dell’Ue ben definiti stimolerebbero la crescita potenziale e contribuirebbero alla stabilità macroeconomica”.

Parlando di investimenti e di Ue, le riflessioni si spostano sulla Germania che rischia di perdere il ruolo di locomotiva d’Europa sotto la scure della crisi dell’automotive e delle ricadute sul sistema.

Rivedere il freno al debito

Con i dovuti distinguo, quello che vale per l’Europa, vale per la Germania: Lagarde è d’accordo con il presidente della Bundesbank Joachim Nagel sul fatto che la Germania debba fare di più per sostenere i propri investimenti.

Ieri, in un’intervista al Financial Times, il numero uno della banca nazionale tedesca si è detto favorevole a riformare il cosiddetto freno al debito. Anche detto freno all’indebitamento (in tedesco Schuldenbremse) questo meccanismo è nato in Germania nel 2009 come emendamento al pareggio di bilancio. In seguito a queste modifiche è stato disposto che il disavanzo federale strutturale, e non il disavanzo ciclico, non avrebbe dovuto superare lo 0,35% del Pil a partire dal 2016. Per i Länder, invece, i deficit strutturali sono stati completamente vietati a partire dal 2020. Sia a livello centrale che a livello federale, sono ammesse eccezioni solo per i disastri naturali o le forti recessioni economiche. E l’attuale congiuntura economica non apre a scenari idilliaci.

Per questo, Nagel ha invitato il governo tedesco ad ammorbidire le rigide regole di spesa, raccogliendo il parere favorevole di Lagarde. Per entrambi, il freno all’indebitamento non può essere un ostacolo all’aumento della spesa pubblica per la difesa e l’ammodernamento delle infrastrutture: ampliare lo spazio fiscale per questi investimenti sarebbe un approccio “molto intelligente”, ha ribadito Nagel al Ft.

Berlino, Bruxelles e Francoforte

Le parole del presidente della Bundesbank mostrano come Berlino sia un’affidabile cartina tornasole della situazione europea: “Le attuali condizioni economiche della Germania sono più complesse rispetto all’inizio del secolo: sebbene allora la disoccupazione fosse più alta, non vi erano frammentazioni geopolitiche e il commercio globale era in crescita.

La banca tedesca aggiornerà ufficialmente le sue previsioni di crescita entro la fine del mese, ma Nagel ha anticipato che il 2025 sarà probabilmente “un altro anno di crescita debole” per l’economia tedesca, con una stima che si aggirerà intorno allo 0,4%. Sullo sfondo le elezioni che si terranno molto probabilmente a febbraio con la fine della coalizione semaforo che ha tenuto faticosamente insieme socialdemocratici, Verdi e liberali e sostenuto Olaf Scholz.

La fine dei Paesi frugali?

Incertezza significa anche rottura degli schemi a cui si è abituati. A Francoforte, incertezza significa che la “tradizionale” divisione tra Paesi frugali e non frugali oggi ha molto meno senso, come già visto su queste pagine. “Sono molto cauta sui confini geografici, sulle distinzioni di del Sud dal Nord, i Paesi frugali contro i non frugali, perché le cose cambiano nel corso del tempo. C’erano Paesi che dieci anni fa erano considerati i più vulnerabili e meno performanti. E la situazione è cambiata nel tempo“.

Ribadendo la particolarità del contesto, Lagarde ha aggiunto: “Un’unione fiscale sarebbe un miglioramento. Il tema ha davvero a che fare con il completamento dell’Unione monetaria: Abbiamo un’unione monetaria, ma non abbiamo un’unione fiscale. Ci sono diversi modi per arrivarci: gli eurobond sono un’opzione”, tra l’altro rilanciata nelle scorse settimane da 5 Paesi europei, tra cui l’Italia.

Sul punto la presidente Bce ha lanciato un appello: “Spetta davvero agli europei, rappresentati dagli eurodeputati, dal Consiglio e dalla Commissione, decidere in quale direzione andare. Ma è ovvio che da una prospettiva di unione monetaria, avere un’unione fiscale, sarebbe sicuramente un miglioramento”.

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