La Commissione europea torna a puntare il dito contro l’Italia per le condizioni di lavoro degli insegnanti con contratto a tempo determinato. Bruxelles ha inviato a Roma una lettera di costituzione in mora, primo passo di una possibile procedura d’infrazione, contestando la mancata applicazione delle direttive europee sul lavoro a termine. Il nodo centrale è la disparità di trattamento tra i docenti precari e quelli con contratto a tempo indeterminato, che violerebbe il principio di non discriminazione sancito dal diritto europeo.
La contestazione della Commissione europea
Secondo quanto comunicato da Palazzo Berlaymont, l’Italia non ha pienamente recepito le norme dell’Unione, poiché ai docenti a tempo determinato non viene riconosciuta una progressione retributiva graduale basata sull’anzianità di servizio, a differenza dei loro colleghi di ruolo. Questo trattamento differenziato viene considerato discriminatorio dalla Commissione, che ha richiamato il Governo italiano al rispetto della direttiva 1999/70/CE del Consiglio europeo, ovvero “per non aver adeguato la legislazione nazionale alla direttiva sul lavoro a tempo determinato”.
Il problema del precariato scolastico in Italia
Già lo scorso ottobre, la Commissione Ue aveva deferito l’Italia per l’uso abusivo di contratti a tempo determinato nel settore scolastico, mandando un primo avviso. L’attenzione dell’Europa si concentra anche sul personale amministrativo, tecnico e ausiliario (Ata), coinvolto in una spirale di contratti a termine successivi senza reali prospettive di stabilizzazione.
I numeri fotografano un problema strutturale. Secondo le stime dei sindacati, nel 2024 i docenti precari sarebbero circa 250mila, un dato nettamente superiore ai 160mila indicati dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara. Su un totale di 943mila insegnanti, l’età media di ingresso in ruolo è di 45 anni, la più alta in Europa.
L’analisi storica mostra una crescita costante del fenomeno: dai circa 100mila docenti a tempo determinato del 2015-16, ai 135mila del 2017-18, fino ai 212mila nel 2020-21 e ai 235mila nel 2022-23 (dati Tuttoscuola). Il trend conferma il fallimento delle politiche di assunzione e la difficoltà di garantire stabilità ai lavoratori del settore. Il ricorso a insegnanti precari è più frequente nel Settentrione: su un tasso medio nazionale del 25%, a Milano la precarietà riguarda il 37% degli insegnanti, a Lodi il 43%, mentre a Napoli è precario un insegnante su cinque (20%) e ad Agrigento uno su dieci (10%).
Il problema sollevato dall’esecutivo europeo non è il precariato in sé, ma il fatto che secondo la legge italiana, gli insegnanti a tempo determinato non hanno diritto ad una progressione retributiva progressiva in base ai periodi di servizio precedenti, a differenza degli insegnanti a tempo indeterminato. Anche per questo, gli istituti preferiscono non stabilizzare i docenti in modo da poterli pagare di meno. Un uso che è diventato “abuso”, come sottolineato da Bruxelles.
L’iter della procedura d’infrazione
L’Ue ha già messo in mora l’Italia in passato per la gestione del precariato scolastico. La prima lettera di costituzione in mora era stata inviata nel luglio 2019, seguita da un’ulteriore comunicazione nel dicembre 2020 e da un parere motivato nell’aprile 2023. Tuttavia, nonostante questi richiami, la situazione non è migliorata in modo significativo.
Ora, con la nuova procedura, Bruxelles aumenta la pressione su Roma, chiedendo interventi concreti per eliminare le discriminazioni e garantire il rispetto delle norme europee.
Le reazioni alla lettera di Bruxelles
Le organizzazioni sindacali e i rappresentanti degli insegnanti criticano aspramente la gestione del precariato scolastico. Vito Carlo Castellana, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti, ha commentato duramente la decisione della Commissione europea: “Una questione solo italiana, la piaga del precariato”. Ha poi aggiunto: “Preoccupante l’ennesima procedura d’infrazione contro l’Italia di Bruxelles per abuso di contratti a termine, già si è verificato in passato e nulla è stato risolto”.
La Gilda e altre sigle sindacali denunciano l’assenza di una strategia efficace per la stabilizzazione del personale. Il precariato prolungato non solo penalizza gli insegnanti, ma influisce negativamente sulla qualità dell’istruzione, con classi che ogni anno devono adattarsi a nuovi docenti privi di certezze lavorative.
Castellana ha ribadito: “Gli insegnanti italiani, che siano di ruolo o non di ruolo, svolgono allo stesso modo le loro funzioni, non possono esistere docenti di serie A e di serie B. Una prassi che crea discriminazioni e alimenta forti disparità”.
I possibili scenari
Se l’Italia non adotterà misure adeguate entro i prossimi due mesi, Bruxelles potrebbe decidere di inviare un parere motivato, passaggio che precede il deferimento alla Corte di Giustizia europea. Se la Corte dovesse condannare l’Italia, il Paese andrebbe incontro a sanzioni economiche.
Nel frattempo, il mondo della scuola attende risposte e il precariato continua a rallentare la crescita reddituale degli insegnanti e quella formativa degli studenti.